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29 maggio 2025
Nelle celle delle carceri italiane si vive senza respiro. Lo raccontano i numeri, le immagini e le parole che descrivono un sistema penitenziario sempre più in affanno, in cui manca il respiro della legalità costituzionale, della dignità, del senso della pena come percorso di reinserimento sociale e non come vendetta. Questa è la fotografia che Antigone offre delle carceri italiane in “Senza respiro”, il suo 21esimo rapporto sulle condizioni di detenzione. Fotografia, ma anche allarme. Perché se i detenuti respirano a fatica, anche chi lavora in carcere – agenti, educatori, direttori, medici – è sempre più allo stremo. Una situazione dove cresce il disagio e la tensione.
"Notizie dal carcere": la rubrica de lavialibera a cura di Antigone
Il tasso reale di sovraffollamento è del 133 per cento, con 16mila persone che non hanno un posto regolamentare
Al 30 aprile 2025 erano 62.445 le persone detenute, a fronte di 51.280 posti regolamentari. Ma se si tolgono quelli non disponibili, oltre 4mila, si arriva a un tasso reale di sovraffollamento del 133 per cento, con 16mila persone che non hanno un posto regolamentare all’interno delle carceri. Ma se il tasso medio di affollamento è quello, in 58 istituti si supera il 150 per cento. Il carcere milanese di San Vittore è al 220 per cento, cioè ci sono 220 detenuti laddove ce ne dovrebbero essere 100. Negli ultimi due anni peraltro, mentre le persone in carcere sono aumentate di 5mila unità, la capienza effettiva è calata. Il numero dei detenuti nell’ultimo periodo cresce di circa 300 unità ogni due mesi. Numeri che rendono fallace ogni discorso che cerca soluzioni all’attuale situazione attraverso l’edilizia penitenziaria. Se si considera che le carceri italiane hanno in media proprio 300 posti, ogni due mesi che passano avremmo bisogno di un nuovo istituto penale.
Mentre il sovraffollamento toglie il respiro, dal governo le uniche iniziative sul carcere sono quelle che lo vedono come soluzione a problemi sociali di ogni tipo. Fin dal suo insediamento nell’ottobre del 2022, infatti, sono stati creati numerosi nuovi reati e varati altrettanto numerosi aumenti di pene. Con il decreto sicurezza che, tra le altre norme, introduce anche il nuovo delitto di rivolta penitenziaria, che si applicherà anche alle proteste condotte pacificamente in forma non violenta, sono in arrivo migliaia di anni di carcere, con pene altissime, superiori nel massimo edittale anche ai maltrattamenti in famiglia. Soltanto nel 2024 si sono verificati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta nelle carceri. Supponendo che in media quattro detenuti partecipino a ogni episodio e che ciascuno venga condannato a quattro anni di carcere, arriveremo a circa 24mila anni aggiuntivi di carcere contro 6mila persone, già detenute, alle quali sarà peraltro precluso l’accesso a misure alternative, così come già avviene per i reati di mafia e terrorismo.
Decreto sicurezza, salto nel vuoto per la democrazia
I numeri del carcere aumentano anche a fronte di una popolazione detenuta che cambia. I reati gravi, in testa gli omicidi, sono sempre meno in Italia. Per cui in carcere ci finiscono soprattutto i più fragili: il 51 per cento dei detenuti con condanna definitiva ha meno di tre anni da scontare, e molti di loro non avrebbero dovuto entrarci affatto. Sono poveri, stranieri, tossicodipendenti, persone senza difesa tecnica o persone con problemi psichiatrici pregressi. Alcuni hanno meno di un anno di pena, eppure stanno in cella. Le donne, pur essendo solo il 4,3 per cento della popolazione detenuta, pagano un prezzo alto: la maggior parte di loro sono recluse in sezioni femminili all’interno di carceri per la maggior parte adibiti alla popolazione maschile e questo comporta sezioni piccole e attività assenti. Alcune di queste donne vivono dietro le sbarre con i propri bambini: 11 al 30 aprile, numero destinato a crescere con le nuove norme che cancellano la possibilità di rinviare la pena per le madri, o che potrebbero rimanere invariati con la disposizione, anche questa contenuta nel decreto sicurezza, che prevede la possibilità di togliere i figli alle donne che in carcere dovessero turbare la vita detentiva, senza che questa turbativa sia ben individuata o senza che sia necessariamente grave.
E poi ci sono i ragazzi. Oggi gli istituti penali per minorenni (ipm) ospitano 611 giovani – mai erano stati così tanti prima d’ora. Quasi metà di loro sono minori stranieri non accompagnati. Il 65 per cento è in custodia cautelare. Numeri cresciuti a dismisura dall’approvazione del decreto Caivano che, Antigone lo sosteneva all’epoca e quanto accaduto gli ha dato ragione, ha cambiato radicalmente e forse in maniera irreversibile un sistema a cui tutta l’Europa guardava con interesse. Un sistema capace di lasciare che il carcere fosse l’extrema ratio e di guardare in primo luogo al costruire percorsi di reinserimento sociale per questi ragazzini.
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Ma non è solo il sovraffollamento il problema. Cresce infatti l’uso di psicofarmaci, si dorme in pieno giorno, le attività si svuotano. Il governo risponde al sovraffollamento trasferendo i ragazzi nelle carceri per adulti o costruendo nuovi ipm in sezioni degli istituti ordinari, come accaduto di recente nel carcere di Bologna. Misure punitive, non educative.
Il respiro costituzionale alla base della funzione della pena si sta perdendo. Il linguaggio pubblico si è fatto crudele e il carcere è trattato come una trincea.
Quanto sta accadendo al sistema penitenziario non è solo una questione di numeri. Il respiro costituzionale alla base della funzione della pena si sta perdendo. Il linguaggio pubblico si è fatto crudele e il carcere è trattato come una trincea. Si criminalizzano le proteste, si umiliano i detenuti, si esaspera il ruolo degli agenti. In una situazione in cui, peraltro, il personale penitenziario è sotto organico e in sofferenza ovunque. Mancano 96 direttori e ci sono carceri con un educatore ogni 150 detenuti. La polizia penitenziaria è insufficiente, stressata, mal distribuita.
Per questo sul carcere c’è bisogno di intervenire con estrema urgenza. Antigone nel suo rapporto presenta tre proposte per invertire la rotta: un atto di clemenza per i detenuti con meno di due anni da scontare, si tratta di 17mila persone; misure collettive straordinarie da parte dei consigli di disciplina, che potrebbero sollecitare provvedimenti di grazia e misure alternative per tutti coloro che hanno da scontare meno di due anni; l'introduzione di un principio chiaro: nessuno deve entrare in carcere, salvo casi eccezionali, se non c’è un posto regolamentare. Non si possono continuare a stipare persone in posti che non esistono, occupando con letti anche le aree di socialità o le aule scolastiche, o aggiungendo la terza branda nei letti a castello, obbligando le persone a dormire a due metri da terra e a pochi centimetri dal soffitto.
Di fronte a questa situazione, Antigone lancia un appello, per costruire una grande alleanza che coinvolga tutti coloro che vogliano muoversi nel solco dell'articolo 27 della Costituzione, a partire dalle università, dalle associazioni, dal mondo delle professioni e dai sindacati. Il carcere non va trasformato in una trincea di guerra, scrive il presidente Patrizio Gonnella nel suo editoriale, ma bisogna fare in modo che il sistema penitenziario torni a respirare per non rischiare una pericolosissima implosione.
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