Una donna su una sedia a rotella in una casa accessibile (Foto di Marcus Aurelius da Pexels)
Una donna su una sedia a rotella in una casa accessibile (Foto di Marcus Aurelius da Pexels)

La doppia sfida per i disabili in periferia: poche case adeguate e servizi inaccessibili

Da più di 30 anni ci sono leggi specifiche, ma ancora oggi in Italia il patrimonio residenziale resta inadeguato per milioni di cittadini disabili. Ai margini delle città la scarsità di servizi e infrastrutture può amplificare l'esclusione sociale

Flavia Bevilacqua

Flavia BevilacquaGiornalista

18 agosto 2025

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Marco è nato a Milano nel 1979. Quando aveva otto anni la sua famiglia ha lasciato il proprio appartamento in corso Buenos Aires, una delle strade principali di Milano e delle vie commerciali più lunghe e ricche d'Europa, per un’altra casa, messa a disposizione dal Comune, a Quinto Romano, in periferia ovest della città. Per arrivare al portone del loro primo appartamento, infatti, bisognava salire cinque gradini e per i genitori di Marco stava diventando sempre più difficile portarlo in braccio fino all’ingresso. La casa a Quinto Romano, invece, è un appartamento accessibile. Marco, infatti, è una persona con disabilità fisica: vive con una forma di atrofia muscolare spinale da quando è piccolo.

Marco Rasconi è rimasto a vivere nella periferia milanese tutta la vita. Ora abita in un quadrilocale in zona San Siro, messo a disposizione dal progetto Cenni di Cambiamento, il più grande intervento di housing sociale residenziale in Europa. Da quando ha 19 anni, Rasconi ha deciso di dedicarsi al miglioramento delle politiche sociali di promozione dei diritti delle persone con disabilità, tra cui il diritto all’abitabilità. “L'accesso alla casa oggi è difficile per tutti in Italia, sia nel fitto che nell'acquisto. Ma per le persone con disabilità diventa ancora più complesso”, dice, che è membro attivo dell'Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (Uildm) e fa parte di Leda Milano, l’associazione territoriale di Leda Lombardia.

Nonostante leggi specifiche vigenti da più di trent’anni, in Italia il patrimonio residenziale resta largamente inadeguato rispetto ai milioni di persone con disabilità presenti sul territorio. Ma vivere nelle aree meno servite, fuori dai centri storici, la scarsità di servizi e infrastrutture consolidate può amplificare questa discriminazione sociale.

Vivere in periferia con una disabilità

“Le persone con disabilità si impoveriscono perché in Italia non c’è un sistema di welfare adeguato. È un po' un cane che morde la coda, perché, impoverendosi, non dispongono delle risorse economiche per permettersi gli interventi finalizzati ad abbattere le barriere architettoniche. E così sono sempre più isolate”Iginio Rossi - Coordinatore "Community Inu - Città accessibili a tutti"

Vivere in una casa non accessibile significa dipendere da altri anche per azioni quotidiane, con un impatto psico-emotivo ma anche sociale e finanziario. L’isolamento contribuisce a ridurre le opportunità culturali e lavorative delle persone con disabilità, che già presentano tra i più bassi tassi di occupazione (32,5 per cento contro il 62,9 per cento della media nazionale) e tra i più alti tassi di marginalizzazione: una persona disabile su tre è infatti a rischio povertà o esclusione sociale.

“Le persone con disabilità si impoveriscono perché in Italia non c’è un sistema di welfare adeguato. È un po' un cane che morde la coda, perché, impoverendosi, non dispongono delle risorse economiche per permettersi gli interventi finalizzati ad abbattere le barriere architettoniche. E così sono sempre più isolate”, dice Iginio Rossi, architetto, urbanista e docente universitario italiano, coordinatore della “Community Inu – Città accessibili a tutti” dell’Istituto nazionale di urbanistica.

Spesso, alla ricerca di costi degli affitti e degli interventi infrastrutturali più abbordabili, le persone con disabilità e le loro famiglie si spostano in zone più lontane dal centro città. Ma negli anni associazioni e figure politiche hanno sottolineato come nelle zone di periferia urbana, che rientrano spesso nelle cosiddette aree urbane marginali, l’esclusione ambientale è ancora più potenziata.

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Non solo case, ma anche servizi accessibili

“Quando si parla di diritto alla casa, l’accessibilità dei servizi nel quartiere è un tema che rimane un po’ sottotono. Pensiamo anche solo ad un servizio fondamentale come la sanità. A Quinto Romano, dove sono cresciuto, ci sono tantissime persone anziane e non c'è un medico. Come fanno persone con disabilità fisica a spostarsi?”, dice Rasconi.

Secondo dati Istat elaborati da Openpolis, quasi il 60 per cento delle famiglie in periferia dichiara difficoltà nel raggiungere il pronto soccorso (contro il 47 per cento nelle zone centrali), oltre il 19 per cento per cento denuncia problemi per accedere a farmacie (contro il 12,6 per cento) e più del 30 per cento incontra barriere nell’uso dei mezzi pubblici (contro il 7,7 per cento). “Quindi meraviglioso che ci siano realtà di housing in periferia come quella in cui vivo io, ma manca un ripensare anche l’offerta dei servizi in senso accessibile. Quindi magari la casa la trovo più facilmente in periferia, ma poi ti manca tutto il resto”, aggiunge Rasconi.

Secondo Rasconi, questo accade perché i grandi interventi di accessibilità sono delegati a enti locali e associazioni del terzo settore, mentre manca ancora una politica nazionale omogenea sul tema. “Io sono fortunato, ma se ti sposti tra quartieri, o anche tra regioni da Nord e Sud Italia, fai un viaggio indietro nel tempo”, dice Rasconi, che racconta: “Un ragazzo meridionale con disabilità di Cenni mi ha detto ‘Vengo via dalla Calabria se no qua ci muoio’. Ma anche a Milano: conosco ragazzi che sono stati quattro mesi senza uscire di casa perché non c’era stata una manutenzione dell’ascensore e loro non potevano pagarla. Immagina rimanere mesi chiusi in casa: si impazzisce, no?”

Quante case mancano e possibili soluzioni

“Il problema è che non ci sono case”Vincenzo Falabella - presidente della Federazione Italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie (Fish)

Per poter avere accesso alle graduatorie per l'assegnazione di una casa popolare ad oggi la condizione di disabilità fa effettivamente punteggio. “Il problema è che non ci sono case”, dice Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie (Fish) e consigliere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro con deleghe per l’inclusione e l’accessibilità.

Secondo i principali portali immobiliari:

  • a Milano solo 440 alloggi su oltre 12.000 affitti sono dichiarati accessibili;
  • a Roma 196 su 3.500;
  • a Firenze appena 35 su 1.780.

Molte piattaforme non permettono neanche di filtrare l’accessibilità e quando gli appartamenti sono etichettati come tali, spesso lo sono solo per un certo tipo di disabilità, denunciano le associazioni.

Per quanto riguarda le case popolari, Falabella spiega che gran parte del patrimonio immobiliare italiano risale infatti a prima della fine degli anni ‘80 e non era stato pensato in termini di accessibilità. “Per attuare un piano di lottizzazione per nuove costruzioni di case popolari ci vorrebbero almeno vent'anni. Anche solo rendere accessibili tutti gli appartamenti e case sfitti di proprietà comunale nelle grandi città richiederebbe molto tempo e soldi, rischiando in periferia anche l’effetto gentrificazione se non c’è una certa attenzione del Comune”, spiega Falabella.

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Case accessibili in periferia: fondi limitati, progetti a scadenza

“Non ci può essere rigenerazione urbana autentica se non è accessibile a tutti. È il momento di trasformare le periferie inclusive da esperimenti localizzati a modello permanente di giustizia sociale”Adriano Falabella

Negli anni sono state proposte a livello nazionale varie misure di supporto ai cittadini italiani con disabilità in cerca di una casa, ma la loro efficacia è stata limitata da problemi strutturali e mancanza di fondi. Già nel 1998 il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, istituito per offrire contributi per il pagamento degli affitti a famiglie in disagio economico, inclusi individui con disabilità, negli anni è stato distribuito in maniera disomogenea, con territori che ancora oggi non riescono a soddisfare adeguatamente la domanda.

Anche la legge “sul Dopo di Noi”, promulgata nel 2016 per favorire l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, ha riscontrato mancanza di pianificazione adeguata e risorse. La Legge di Bilancio 2022 ha introdotto il bonus Barriere Architettoniche, un’agevolazione fiscale su spese per interventi finalizzati a rendere gli edifici più accessibili a persone con disabilità. Ma nel 2024 il numero degli interventi coperti dalla detrazione fiscale è stato diminuito, oltre ad essere state modificate le modalità di fruizione del bonus, rendendo più complesso l'accesso all’agevolazione.

“Ad oggi tutti questi strumenti non hanno la ricaduta che dovrebbero nella platea nazionale. E anche quando le finanze vengono stanziate, gli enti statali non hanno risorse amministrative e molte pratiche si impantanano. Ma quando non funziona la macchina amministrativa a pagarne le conseguenze sono gli ultimi”, dice Falabella.

Per quanto riguarda le periferie, nel 2023 è stata promulgata per la prima volta un’iniziativa dedicata specificatamente alla disabilità, con lo stanziamento di un Fondo per le periferie inclusive da 10 milioni di euro. I progetti finanziati dal Fondo, selezionati in Comuni con più di 300mila abitanti, dovevano essere finalizzati ad abbattere barriere fisiche, sociali, culturali dei quartieri, coinvolgendo attivamente i residenti delle periferie.

“L’iniziativa è stata di certo innovativa, ma serve molto di più”, dice Falabella, secondo cui come minimo il Fondo debba essere rifinanziato e reso parte integrante della programmazione ordinaria di politiche pubbliche. “Non ci può essere rigenerazione urbana autentica se non è accessibile a tutti. È il momento di trasformare le periferie inclusive da esperimenti localizzati a modello permanente di giustizia sociale”, dice Falabella.

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