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Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

1 settembre 2025
Perché quella a Gaza non era una guerra, ma uno sterminio di fronte al quale i media non si sono schierati dalla parte delle vittime, facendo quindi il gioco dei carnefici. Gedi e Repubblica non sono stati diversi dagli altri e per me era insostenibile.
Si parla di Gaza quel tanto che basta a non disturbare il genocidio, come se ci fosse una pellicola protettiva, anche linguistica, attorno ai fatti. Nessun giudizio, nessun aggettivo, mai una parola emotivamente carica, tutto lontano dalla prima pagina
È semplice: si parla di Gaza quel tanto che basta a non disturbare il genocidio. È come se ci fosse una pellicola protettiva, anche linguistica, attorno ai fatti. Non si trovano mai nei racconti un esercito o un carro armato israeliano che uccide i palestinesi, perché sono sempre i palestinesi che "rimangono uccisi" in un raid. Si finge un linguaggio tecnico parlando di blitz e incursioni: mai un massacro, una mattanza, una carneficina. E poi si pubblica tutto lontano dalla prima pagina. Ci sarà pure un modo per raccontare un fatto enorme, che si ricorderà per secoli, che non sia la cronaca a pagina 15 del giornale? Pensiamo all'arsenale comunicativo che è stato dispiegato per la guerra in Ucraina, con foto, titoli, interviste, editoriali e vignette. Putin ci ha messo un paio d'ore a diventare un sanguinario con cui non si può scambiare una parola. Invece a gennaio 2024, mentre scrivevo il primo libro per People, Gaza, la scorta mediatica, sulla Striscia i giornali davano spazio a cento fatti e nessun giudizio. Quello dei palestinesi è stato un genocidio senza aggettivi, mai una parola emotivamente carica.
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