
Referendum 8 e 9 giugno, come votare da fuorisede e i quesiti

7 maggio 2025
Come ogni anno, anche questo 9 maggio ricorre la giornata dell'Europa, istituita per celebrare "l'unità e la pace" nel Continente. Dall'altra parte del Mediterraneo, però, dopo oltre 50mila morti, Israele si prepara a espandere e intensificare ulteriormente l'invasione su Gaza, con la prospettiva di trasferimenti forzati della popolazione e un'occupazione permanente. Da questa urgenza nasce l'iniziativa "L'ultimo giorno di Gaza", promossa da un gruppo di intellettuali italiani, tra cui Paola Caridi (leggi l'intervista sul conflitto a Gaza), Tomaso Montanari e Francesco Pallante, con l'obiettivo di fare del 9 maggio una giornata di mobilitazione fisica e online per "rompere il silenzio colpevole" e chiedere che lo sterminio dei palestinesi si fermi prima che sia troppo tardi. "Senza il mondo Gaza muore – si legge nell'appello –. Ed è altrettanto vero che senza Gaza siamo noi a morire. Noi, italiani, europei, umani. Per ripudiare l’Europa delle guerre antiche e contemporanee, per proteggere l’Europa di pace nata da un conflitto mondiale, esiste un solo modo: proteggere le regole, il diritto, e la giustizia internazionale. E soprattutto guardarci negli occhi, e guardarci come la sola cosa che siamo. Umani".
A Gaza è in corso una strage. Anche di giornalisti
Come lavialibera abbiamo deciso di rispondere a questo appello. Lo facciamo traducendo e pubblicando un testo che il giovane scrittore palestinese Hassan Abo Qamar ha scritto da Gaza pochi giorni fa. La versione in inglese è stata pubblicata sul portale We Are Not Numbers, che dal 2014 raccoglie gli scritti di autori palestinesi emergenti. La raccolta in italiano, edita da Nutrimenti, sarà disponibile dal 9 maggio con il titolo Non siamo numeri.
Un mito greco racconta di un vaso nel quale erano sigillati tutti i mali che conosciamo: guerre, carestie, malattie, disperazione. Un giorno, una ragazza di nome Pandora, mossa dalla curiosità, lo aprì liberando nel mondo ogni forma di sofferenza. Provò disperatamente a richiuderlo, ma ci riuscì soltanto quando il vaso era già quasi vuoto. Solo una cosa rimase dopo che il coperchio fu sigillato: la speranza.
"Qui, la speranza è un'arma a doppio taglio: ci tiene in vita, ma è anche un sedativo che ci fa morire lentamente"
A Gaza, questo è tutt'altro che un mito: è realtà quotidiana. Qui, la speranza è una spada a doppio taglio: continua ad alimentare il battito del cuore del malato, consola la madre di un bambino scomparso, dà forza agli studenti che soffrono sotto l'assedio. È ciò che un padre usa per nutrire i figli affamati e rassicurare la moglie angosciata. I media e i leader israeliani la manipolano usandola come sedativo. Offrono promesse vuote per rassicurare i mediatori, placare l'indignazione internazionale e intorpidire la popolazione quanto basta per sopportare la prossima catastrofe. Queste illusioni non sono pensate per curare, ma per indebolire lo spirito.
Amnesty: "Genocidio, il dovere di dire basta"
Ogni volta si ripete lo stesso copione. Distruzione. Morte. Poi, le parole. Negoziati. Cessate il fuoco. "Svolte". Parole che danzano sugli schermi delle televisioni come farfalle, delicate e fugaci. Intanto, Israele approfitta di questi giorni "tranquilli" per espellere quante più persone possibile e commettere i massacri più orrendi, nascosti dietro la cortina di fumo dei titoli sulla "tregua". Paradossalmente, l'attenzione mediatica sulla possibilità della pace diventa copertura per altri crimini di guerra. È come una carota appesa davanti a un cavallo morente: un'illusione di sopravvivenza.
Le persone di Gaza conoscono questo copione, lo portano inciso sui volti. Per un momento, alla parola "cessate il fuoco", le sopracciglia si alzano, gli occhi brillano di speranza. "Forse, questa voltà sarà diverso. Forse, questa volta potremo vivere – vivere davvero –, o almeno morire con dignità, piuttosto che continuare questa mezza vita che siamo costretti a sopportare". Ma quel momento non dura mai. Si dissolve quando i negoziati falliscono e la realtà si riaffaccia. No, non questa volta. Non ancora. C'è ancora altra sofferenza da patire. Qui a Gaza viviamo ancora rinchiusi in quel vaso. I mali che Pandora ha liberato secoli fa ci circondano nella forma dell'occupazione criminale israeliana.
"Il cibo che entra basta solo a nutrire l'orgoglio degli ufficiali israeliani che si vantano della loro 'umanità' per aver concesso ciò che dovrebbe essere un diritto fondamentale"
Questo ciclo di sofferenza non è alimentato solo dai titoli dei giornali. La speranza a Gaza si misura anche in metri di strada. Respira attraverso i valichi di Rafah, Erez e Kerem Shalom, attraverso quei cancelli che non sono altro che metallo e cemento. Sono le vene del corpo schiacciato di Gaza. Quando sono aperte, un filo di sangue scorre. Entra pochissimo cibo, che non basta a sfamare nessuno se non l'orgoglio degli ufficiali israeliani che si vantano della loro "umanità" per aver concesso ciò che dovrebbe essere un diritto umano fondamentale. La verità è che anche questa è una speranza vana.
Dal 6 maggio 2024, con rare eccezioni, nessuno di questi valichi è stato aperto alle persone. Vengono aperte solo come i cancelli di una gabbia controllata, una fattoria mostruosa dove essere umani sono rinchiusi ma non nutriti. Delle migliaia di studenti che sperano di continuare gli studi all'estero, solo una manciata esce. Delle migliaia di bambini malati e feriti, pochissimi ottengono una seconda possibilità. Il passaggio è crudelmente limitato. Quasi nessuno può sperare nella libertà.
Fotoinchiesta: Sumud, resistere per esistere a Gaza
In questi minuti, studenti brillanti che hanno già ottenuto una borsa di studio all'estero guardano i loro sogni disintegrarsi. Alcune università hanno già ritirato l'offerta perché non possono aspettare più a lungo. Altri vedono le scadenze avvicinarsi con la velocità dei sogni che svaniscono e la lentezza dei giorni trascinati dalla guerra. Sono tenuti in vita dalla speranza, e allo stesso tempo muoiono lentamente di speranza.
Poi ci sono le famiglie che guardano i loro cari scivolare via, figli e figlie che muoiono per mancanza di medicinali. Una bambina è stesa sul letto, il suo petto si alza e abbassa con fatica. Chinato al suo fianco, suo padre la guarda con gli occhi pieni di lacrime e le sussurra: "Troverai pace nell'altro mondo". Lui, intrappolato qui, dovrà sopportare l'inferno di vederla andar via, senza poter fare altro che guardare.
"Qui, il vaso di Panora non è un mito. È un'amara realtà, dove le persone sono lasciate nel limbo, né veramente vive, né abbastanza morte da meritare di essere piante"
La gente di Gaza aspetta. Aspettano un timbro su un documento, la conferma di una notizia, la fine dei bombardamenti, qualsiasi cambiamento in questo mondo ipocrita e spregevole che, incapace di ucciderli velocemente, permette loro di sopravvivere negando però una vita degna di questo nome. Preferisce ucciderli lentamente e dolorosamente, utilizzando la stessa arma che li tiene in vita: la speranza. Questo mondo che non ha il coraggio di guardare in faccia le proprie colpe e sopportare il peso della verità si nasconde dietro false promesse di pace e titoli ingannevoli. Sceglie di rimandare lotte necessarie e diritti dovuti da tempo. Ma non può cancellare il fatto che siano inevitabili.
Qui, il vaso di Panora non è un mito. È un'amara realtà, dove le persone sono lasciate nel limbo, né veramente vive, né abbastanza morte da meritare di essere piante.
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