
21 marzo, Luigi Ciotti: "Liberiamo l'Italia da mafie e disuguaglianze"

31 ottobre 2024
Testimone senza volerlo. La mattina del 7 ottobre 2023, lo scrittore e politico palestinese Atef Abu Saif si trovava a Gaza per quella che avrebbe dovuto esse una visita di qualche giorno. Ministro della Cultura dell’Autorità nazionale palestinese fino allo scorso aprile, nato a Jabalia, nel nord della Striscia, ma residente a Ramallah, era arrivato nell’enclave per celebrare la Giornata del patrimonio palestinese e visitare alcuni familiari. "Stavo nuotando in mare quando ho sentito il rumore dei primi razzi", ricorda. Da lì è iniziata una fuga lunga quasi tre mesi con il figlio e la suocera in sedia a rotelle tra macerie e campi profughi, fino all’evacuazione in Egitto. Atef Abu Saif la racconta in Diario di un genocidio – 60 giorni sotto le bombe a Gaza, edito da Fuoriscena. L’abbiamo intervistato durante una breve trasferta in Italia.
È passato più di un anno dagli attacchi del 7 ottobre e dall’inizio dell’offensiva israeliana. Cosa resta di Gaza oggi?
Oggi Gaza non esiste più. Io ci sono nato e cresciuto, ma se dovessi tornarci adesso non la riconoscerei. Le strade, gli edifici, i giardini di cui ho memoria sono stati spazzati via. Tutto quello che rimane è un’enorme distesa di montagne di detriti e rottami. Non è da ricostruire, è da ricominciare da zero. Ma è importante ricordare che la guerra non è iniziata quel giorno, ma continua da 76 anni. Non si può imputare a tutti i palestinesi quanto è successo il 7 ottobre, come non si può giustificare l’attacco di Israele come una reazione al 7 ottobre. Dico spesso che la Nakba (“catastrofe” in arabo, termine usato per indicare l’esodo dei palestinesi del 1948, ndr) è come un mosaico. Un mosaico orribile intendo, non un’opera d’arte, composto da tanti piccoli pezzi. Ecco, Israele sta continuando ciò che ha iniziato nel 1948, ma in modo più intenso, violento e evidente.
Con quale obiettivo?
L’obiettivo è chiaro: cacciare i palestinesi da Gaza per occupare quel territorio. Alcuni esponenti politici israeliani lo dichiarano apertamente, hanno già presentato progetti per costruire case, parchi, spiagge. Ma non possiamo permettere che i palestinesi vivano ancora da rifugiati. Hanno dovuto lasciare le loro case per vivere nelle tende, ma non sono disposti ad andarsene dalla loro terra.
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