Copertina numero 24. Foto di Jonathan Hobin
Copertina numero 24. Foto di Jonathan Hobin

I bambini giocano alla guerra

Per cambiare gioco e "fare sorridere il mondo" bisogna non avere fame, freddo e paura, dice il poeta tedesco Bertolt Brecht. Perché i conflitti è meglio prevenirli che curarli

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

21 dicembre 2023

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Scrivere di pace è difficile quasi quanto scrivere di guerra. Non c’è mai un bianco e un nero, è sempre tutto più complicato. Non è corretto neppure parlare di pace al singolare. Come guerre, il termine andrebbe declinato al plurale: paci. Ce ne sono di giuste, che portano diritti e uguaglianza, ma anche di ingiuste, come quelle imposte dai più forti sui più deboli. Di stabili e instabili. "Gli effetti della pace sulle popolazioni non sono sempre positivi", ricorda la storica Gabriella Gribaudi. Molto dipende dalle condizioni dettate dai vincitori e dalla capacità delle parti di riconoscere e metabolizzare le violenze inflitte e subite. Più spesso il ricordo dei drammi passati finisce per proporne di nuovi nel presente, in una catena senza fine, nonostante i presunti progressi compiuti dall’umanità. A volte la giustizia internazionale può contribuire a creare nuovi equilibri, così come i processi di riconciliazione, ma sempre dopo tragedie enormi e costi umani altissimi.

Vignetta di Gianlo
Vignetta di Gianlo

Le guerre si ripetono al pari di errori, interessi e odi su cui si fondano, quasi fossero iscritte nel nostro esistere come genere umano. I bambini giocano alla guerra./ È raro che giochino alla pace/ perché gli adulti/ da sempre fanno la guerra,/ tu fai “pum” e ridi;/ il soldato spara/ e un altro uomo/ non ride più. Così inizia la poesia di Bertolt Brecht evocata sulla copertina di questo numero.

È un errore credere che la dimensione bellica annulli tutte le differenze interne a un paese. L’Italia ha conosciuto i collaborazionisti di Salò e i partigiani, il fascismo e la resistenza. Solo nel racconto di propaganda, o nella memoria postuma, non esistono crepe

A stabilire le paci, come il loro opposto, sono soprattutto le élite. Le popolazioni a volte sono contrarie all’uso delle armi, ma il dissenso non riesce a emergere e quando ci prova è bandito e perseguitato. Lo sanno bene i disertori russi, o i parenti israeliani delle vittime di Hamas del 7 ottobre che chiedono di fermare le armi contro Gaza.
È un errore credere che la dimensione bellica annulli tutte le differenze interne a un paese. L’Italia ha conosciuto i collaborazionisti di Salò e i partigiani, il fascismo e la resistenza. Solo nel racconto di propaganda, o nella memoria postuma, non esistono crepe. È un’altra cosa che abbiamo imparato: al fronte non c’è mai solo un “noi” contrapposto a un “loro”. All’interno delle comunità spesso sorgono i problemi più spinosi sulla lettura del conflitto e sul modo di affrontarlo. Invece il dibattito europeo e italiano, sulle guerre russo-ucraina e israelo-palestinese, replica spesso contrapposizioni semplificanti, favorito da un giornalismo cui è negato il libero accesso ai luoghi del conflitto. E che conta un numero inaccettabile di professionisti uccisi.

La frustrazione dei gruppi pacifisti italiani, variegati a loro volta, è riassunta nelle dichiarazioni di Alex Zanotelli, che lo scorso 10 dicembre ha fatto appello alla disobbedienza civile e ad «avere il coraggio di andare in prigione». In fondo, quando la guerra è scoppiata è sempre già troppo tardi. Avremmo bisogno di una pace giusta e preventiva.
Continua Brecht: C’è un altro gioco/ da inventare:/ far sorridere il mondo,/ non farlo piangere./ Pace vuol dire/ che non a tutti piace/ lo stesso gioco,/ che i tuoi giocattoli/ piacciono anche/ agli altri bimbi/ che spesso non ne hanno,/ perché ne hai troppi tu;/ che i disegni degli altri bambini/ non sono dei pasticci;/ che la tua mamma/ non è solo tutta tua;/ che tutti i bambini/ sono tuoi amici./ E pace è ancora/ non avere fame/ non avere freddo/ non avere paura.

Da lavialibera n. 24

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