L'Aja (Olanda), 27 giugno 2011. La Corte penale internazionale si pronuncia sul mandato di cattura di Muammar Gheddafi. A decidere, da sinistra a destra, i giudici Sylvia Steiner, Sanji Mmasenono Monageng e l'italiano Cuno Tarfusser. Foto di Robert Vos/Epa
L'Aja (Olanda), 27 giugno 2011. La Corte penale internazionale si pronuncia sul mandato di cattura di Muammar Gheddafi. A decidere, da sinistra a destra, i giudici Sylvia Steiner, Sanji Mmasenono Monageng e l'italiano Cuno Tarfusser. Foto di Robert Vos/Epa

I processi contro i crimini di guerra hanno degli effetti collaterali (positivi)

La fine della pena di morte in Ruanda, la pace tra etnie, il ritorno di bambini deportati. Accusare i criminali di guerra può produrre conseguenze inattese. Il racconto di tre giudici dei tribunali internazionali

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

Aggiornato il giorno 21 febbraio 2024

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Indagini complesse su delitti gravissimi, pressioni e minacce, testimoni traumatizzati, sospetti in fuga, Stati non collaborativi. Eppure, nonostante difficoltà e limiti, la giustizia internazionale può contribuire alla pace. Lo sostiene chi, in base alla propria esperienza, ha lavorato per anni nei tribunali per giudicare i crimini di guerra. Tre giudici italiani, Flavia Lattanzi, Fausto Pocar e Cuno Tarfusser, spiegano a lavialibera il contributo fornito dai procedimenti contro gli uomini portati alla sbarra al termine di conflitti, un contributo che va oltre le condanne dei responsabili, il riconoscimento dello status di vittime e un risarcimento a chi ha patito.

“Sul lungo periodo una sentenza può contribuire allo sviluppo del diritto e a evitare nuovi reati, anche in scenari diversi”, spiega Pocar

"In Ruanda si è pervenuti ad abolire la pena di morte", racconta Lattanzi, a lungo professoressa di diritto internazionale all’Università di Roma Tre. Ha fatto parte del collegio del Tribunale internazionale per il Ruanda sulla guerra, avvenuta nel 1994, tra le etnie hutu e tutsi, col genocidio dei tutsi e l’uccisione di più di mezzo milione di persone nel giro di pochi mesi. In seguito è stata anche al Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia. Entrambe le corti sono state create ad hoc dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per quei conflitti avvenuti negli anni Novanta. In quel periodo storico è stato firmato lo Statuto di Roma (era il 17 luglio 1998) che ha dato vita alla Corte penale internazionale (Cpi), con sede all’Aja (Olanda), per perseguire i "crimini più gravi, motivo di allarme per l’intera comunità internazionale", si legge nel documento: quelli contro l’umanità, quelli di guerra, il genocidio e l’aggressione.

Guerra in Ucraina, un tribunale speciale per Putin

In questo tribunale (da non confondere con la Corte internazionale di giustizia, sempre all’Aja) ha lavorato per oltre dieci anni Cuno Tarfusser, oggi sostituto procuratore generale a Milano: "Non ci sono studi specifici, ma empiricamente posso affermare che le sentenze hanno avuto degli effetti", dichiara. Questi effetti possono avvenire anche in tempi lunghi o in territori diversi. "I processi internazionali possono avere un impatto anche al di fuori dello scenario in cui si è svolto il crimine – aggiunge Pocar, professore emerito di diritto internazionale alla Statale di Milano, presidente del Tribunale per l’ex Jugoslavia, componente della Corte d’appello per il Ruanda e ora giudice ad hoc della Cpi in un procedimento sulle presunte violazioni da parte della Russia di alcune convenzioni internazionali per fatti accaduti nell’Ucraina orientale a partire dal 2014 –. Spesso la giustizia interviene dopo un conflitto e non è detto che ci sia un risultato immediato. Sul periodo più lungo può contribuire allo sviluppo del diritto e a evitare nuovi crimini, anche in scenari diversi. Ad esempio, se vi è la condanna di un capo di Stato come quella pronunciata dalla Corte speciale della Sierra Leone contro il presidente liberiano Charles Taylor, è possibile che gli effetti si verifichino in un altro Stato il cui leader prenda in considerazione il rischio di una condanna".

 A livello di giustizia internazionale, bisogna fare alcune distinzioni tra i principali tribunali, entrambi con sede all’Aja (Olanda), cioè la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia.

La Corte internazionale di giustizia (International court of justice, ICJ) è un organismo giudiziario delle Nazioni unite. Può esaminare le controversie giuridiche tra Stati o fornire pareri su questioni sottoposte da organi e agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Le sentenze della Corte internazionale di giustizia non implicano condanne detentive, ma delle decisioni che lo Stato membro delle Nazioni Unite si impegna a rispettare.

La Corte penale internazionale (International criminal court, Icc) è un tribunale che giudica i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il crimine di aggressione e il genocidio e tenta di perseguire i diretti responsabili, politici e militari: i processi, però, possono cominciare soltanto in presenza degli imputati, e non in contumacia. I condannati rischiano pene detentive.

L’atto fondativo è lo Statuto di Roma, sottoscritto nel 1998, ma non ratificato da Stati potenti come Usa, Russia, Cina, India, Israele. A differenza della Corte di giustizia internazionale, non è un organismo dell’Onu, ma ha dei legami: il Consiglio di sicurezza dell’Onu può “denunciare” alcuni Stati o situazioni alla procura della Corte penale internazionale.

Conseguenze dei processi

Flavia Lattanzi, professoressa di diritto internazionale e giudice del Tribunale internazionale per il Ruanda e poi di quello per l'ex Yugoslavia
Flavia Lattanzi, professoressa di diritto internazionale e giudice del Tribunale internazionale per il Ruanda e poi di quello per l'ex Yugoslavia

Lattanzi ricorda come in Ruanda si sia giunti ad abolire la pena capitale grazie a un impulso specifico del tribunale, con la consegna dei sospetti o degli imputati a condizione che non venissero giustiziati: "Questa abolizione ha certamente contribuito a pacificare le due etnie". Secondo la giurista ci sono anche altri fattori: "Hanno anche contribuito sia le migliaia di testimoni nei processi del tribunale, comprese le vittime dirette sopravvissute alle torture, agli stupri, alle persecuzioni, eccetera, sia soprattutto le sentenze del Tribunale internazionale, che hanno evidenziato l’istigazione al genocidio a opera della leadership al potere e la strumentalizzazione da parte sua soprattutto di giovanissimi hutu, perfino bambini istigati a uccidere i loro coetanei".

L'eroe di Hotel Rwanda torna in libertà

Ricorda inoltre l’apporto delle mamme dei bambini hutu e tutsi: "Proprio perché rese consapevoli dalle sentenze della tragedia occorsa e del coinvolgimento anche di tanti bambini come esecutori e come vittime, hanno deciso di mettersi insieme per educare i loro figli alla tolleranza, alla convivenza e, dunque, alla pace, nel tentativo della ricostituzione di un popolo unico".

Sulla base dell’esperienza alla Cpi, Tarfusser si è fatto un’opinione: "Ho seguito almeno due procedimenti su guerre civili sorte in concomitanza con le elezioni presidenziali, al momento del passaggio di potere. Posso dire che da quando abbiamo fatto questi due procedimenti, in Kenya e in Costa d’Avorio, le transizioni sono state relativamente più pacifiche, con tensioni sì, ma senza guerre civili". Secondo lui in Africa è anche diminuito il ricorso ai bambini soldato: "Non è più stato così acuto dopo la condanna di Dominic Ongwen", l’ex capo dell’Esercito di resistenza del Signore, milizia di matrice cristiana, attiva soprattutto in Uganda, Sud Sudan e altri Stati africani, che sfruttava giovanissimi in armi e spose bambine. Tarfusser ricorda che per questo procedimento è stato contestato un “reato nuovo”, "quello dei matrimoni forzati. Le bambine-soldato facevano da supporto logistico ai mariti e avevano un dovere di fedeltà matrimoniale-sessuale".

Le mamme di hutu e tutsi, consapevoli della tragedia grazie ai verdetti, hanno deciso di educare i figli alla tolleranza e alla convivenza

I magistrati osservano effetti positivi in Africa, ma si può dire lo stesso per quanto riguarda il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpij), in un territorio dove ancora covano rancori tra le etnie che, di tanto in tanto, sfociano in episodi di violenza? "Forse in misura minore – afferma Lattanzi –, ma anche il Tpij è riuscito a contribuire al ristabilimento della pace nei territori". Le condanne di politici come Radovan Karadžić, alti ufficiali come Ratko Mladić e capi di milizie sono state molte e anche pesanti. "Soprattutto per la Bosnia, dov’è stata commessa la maggior parte dei crimini da parte di serbi e croati contro la popolazione musulmana (come il massacro di Srebrenicandr), il Tribunale ha avuto un certo successo per un periodo abbastanza lungo, anche grazie alla collaborazione di una corte suprema bosniaca con presenza di giudici internazionali. Ma che possa proseguire non è così sicuro", sostiene Pocar.

I bambini ucraini deportati ritornano a casa

Fausto Pocar, professore emerito di diritto internazionale alla Statale di Milano, presidente del Tribunale per l'ex Jugoslavia, componente della Corte d'appello per il Ruanda e ora giudice ad hoc della Cpi
Fausto Pocar, professore emerito di diritto internazionale alla Statale di Milano, presidente del Tribunale per l'ex Jugoslavia, componente della Corte d'appello per il Ruanda e ora giudice ad hoc della Cpi

All’Aja, la procura della Corte penale internazionale ha avviato da anni alcune indagini su presunti crimini in Ucraina e in Palestina prima dello scoppio degli ultimi conflitti. Lo sta facendo nonostante uno dei suoi limiti principali: grandi e influenti nazioni come Stati Uniti, Russia, Cina, India, Pakistan e Israele non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma, quindi non sono sottoposti alla sua giurisdizione. "Se consideriamo la Corte come uno strumento internazionale per la tutela dei diritti umani, la sua autorità copre una parte minoritaria della popolazione mondiale", sottolinea Pocar. Inoltre, alcuni componenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu possono bloccare l’avvio di indagini e procedimenti: è successo così, ad esempio, coi veti di Russia e Cina alle inchieste sui crimini commessi in Siria.

Giustizia riparativa, dare senso al dolore delle vittime

Eppure la Cpi ci prova, almeno sui fronti attuali. Kiev, che ha firmato lo Statuto di Roma ma non l’ha mai ratificato, nel 2014 ha dato mandato alla Corte di indagare su quanto stava avvenendo sul suo territorio. Da lì è nato il mandato di cattura contro Vladimir Putin per due crimini di guerra, la deportazione e il trasferimento di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia. Non si potrà, invece, perseguire Mosca per l’aggressione: "Quando è stato introdotto questo reato, è stato inserito anche un articolo che ne frena l’applicazione – illustra Tarfusser –. Si può procedere soltanto se l’aggressore e l’aggredito hanno ratificato lo statuto, e la Russia non l’ha fatto". Putin non può neanche essere processato in contumacia.

Tuttavia, fa notare la professoressa Lattanzi, il mandato di arresto ha già prodotto alcuni effetti: "Anzitutto il fatto che qualche centinaio di fanciulli deportati siano tornati a casa e poi il fatto che Putin, dal momento in cui il mandato è stato annunciato, non sembra si sia più recato molto all’estero. Probabilmente teme la cattura anche da Stati non parti dello Statuto di Roma". "Dal punto di vista della reputazione il fatto che una persona sia tecnicamente un latitante e che la sua libertà di movimento sia molto limitata – Putin non può mettere piede in occidente e in molti Stati africani – non è poco", evidenzia Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international (organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani) in Italia. La Russia, di tutta risposta, ha inserito nella lista dei ricercati alcuni magistrati della Cpi.

Una lunga storia di impunità 

"La pace in cambio di impunità non è una buona pace, vuol dire che i responsabili dei crimini saranno ancora al loro posto in futuro"Riccardo Noury - Portavoce Amnesty Italia

"Dopo il mandato di arresto per Putin, alcuni commentatori hanno ritenuto le indagini un ostacolo alla pace rovesciando il principio secondo cui 'non c’è pace senza giustizia'. Per alcuni può esserci pace anche senza. Tuttavia, se vengono commessi crimini, è importante che gli organi giudiziari si attivino – afferma Noury –. La pace in cambio di impunità non è una buona pace, vuol dire che i responsabili dei crimini saranno ancora al loro posto in futuro. D’altronde la storia dei ripetuti conflitti tra Israele e Hamas è anche una storia di impunità: qualsiasi tentativo di indagine si scontra con un’enorme opposizione anche semplicemente all’idea di processare un capo politico per crimini di guerra".

Neanche Israele ha mai ratificato lo Statuto di Roma, ma lo ha fatto la Palestina nel 2015 e così la procura dell’Aja può indagare sui crimini commessi nei Territori e su quelli commessi dai palestinesi fuori dai confini. Un fascicolo è stato aperto nel 2021 e a ottobre il procuratore Karim Ahmad Khan si è detto "pronto a lavorare con parti statali e non statali per perseguire la responsabilità" dei crimini commessi da Hamas e dalle forze israeliane a Gaza: "Il mio unico obiettivo deve essere quello di ottenere giustizia per le vittime e di sostenere la mia solenne dichiarazione ai sensi dello Statuto di Roma come procuratore indipendente, esaminando in modo imparziale le prove e rivendicando i diritti delle vittime, che si trovino in Israele o in Palestina".

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