Colombia, pace fatta. Anzi no

Gli accordi di pace tra governo e Farc non hanno fermato le violenze che continuano a colpire i più vulnerabili, chi difende i diritti ambientali, leader indigeni e rappresentanti degli studenti

Emiliano Cottini

Emiliano CottiniReferente del settore internazionale di Libera - area America Latina

Giulia Poscetti

Giulia PoscettiReferente del settore internazionale di Libera - area America Latina

10 luglio 2020

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Lo scorso 22 giugno una bambina di dodici anni della comunità indigena Embera Chamí, nel dipartimento di Risaralda, Colombia, ha subìto un abuso sessuale da parte di alcuni membri dell’esercito nazionale del Battaglione San Matteo. Il caso ha fatto molto scalpore ma, rispetto ad altri centinaia di episodi passati volutamente sotto silenzio, invisibilizados come si usa dire nel paese, questo almeno è venuto alla luce, in tutta la sua crudezza.

Gli accordi di pace tra governo e Farc 

In Colombia la firma degli accordi di pace tra governo e guerriglieri delle Farc, avvenuta il 24 novembre 2016, non ha fermato le violenze, che continuano a colpire soprattutto due fasce della popolazione: quelle più vulnerabili e povere e coloro che sono impegnati a tutelarle, quindi donne e uomini che difendono i diritti ambientali, leader indigeni delle comunità rurali o rappresentanti sociali e studenteschi. “In Colombia, per questa ragione, non parliamo di post-conflitto ma di post-accordi” spiega Camilo Zuluaga, familiare di desaparecida, che vive in Italia da 20 anni. Promotore del Nodo Territoriale della Comisión de la Verdad, Camilo ha conosciuto la violenza da molto vicino. “Mia madre e mio padre erano militanti nel gruppo guerrigliero Epl (Ejército Popular de Liberación), organizzazione politico-militare tra quelle che firmò gli accordi di pace con il governo nel 1990 e che partecipò alla costituente del 1991 – racconta –. Mio padre, comandante e membro della segreteria del partito, senatore dal 1991 al 1994, sostenne la fine della lotta armata e la democratizzazione del conflitto. Anche mia madre sosteneva la fine della lotta armata e nel 1989 fu sequestrata, torturata e fatta sparire da uomini della tristemente famosa XX° Brigata Charry Solano dell’Esercito colombiano”.

In Colombia la firma degli accordi di pace tra governo e guerriglieri delle Farc nel 2016, non ha fermato le violenze, che continuano a colpire soprattutto due fasce della popolazione: quelle più vulnerabili e povere e coloro che sono impegnati a tutelarle 

Nel Paese le violenze non sono mai cessate, anzi hanno registrato un aumento esponenziale nel periodo della quarantena imposta dalla pandemia. Secondo i dati stimati da Indepaz (Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz) si parla di un assassinio ogni due giorni: da inizio 2020, 153 difensori, 6 loro familiari, 25 ex combattenti Farc firmatari degli accordi di pace. Molti attivisti denunciano che l’isolamento nelle proprie abitazioni e comunità sta facilitando la possibilità di colpire chi è già nel mirino dei gruppi armati, protagonisti di un conflitto articolato su più livelli. Da una parte militari e paramilitari, nati per fare il “lavoro sporco” e come mercenari dell'élite politica ed imprenditoriale, dall’altra i narcos e la guerilla, che in buona parte ha optato per la smobilitazione a partire dagli accordi di pace.  

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La violenza sistematica in Colombia

L’esercizio della violenza viene tuttora attuato con ogni mezzo, desapariciones (sparizioni) - 80.000 sono ad oggi i desaparecidos secondo la stima riportata nella Cartografia de las Desapariciones Forzadas en Colombia - e dezplazamientos internos (sfollamenti interni) - almeno 79 milioni sono gli sfollati interni nel paese a causa dei conflitti e delle violenze dal 2010 al 2019, secondo i dati dell’Unhcr - sono alcuni dei fenomeni più evidenti. 

“I gruppi guerriglieri stanno abbracciando la democrazia, la maggior parte della popolazione è stanca della violenza, ma rimangono forti gli interessi di pochi e potenti settori che temono il cambiamento sul controllo dei territori e la fine dei loro privilegi – denuncia Camilo Zuluaga –. Gli omicidi ai danni dei leader sociali, dei difensori dei diritti umani e ambientali, così come dei guerriglieri che hanno lasciato le armi nel 2016, servono a cercare di mantenere alto il conflitto, a minare la costruzione di una pace stabile e duratura e a sottolineare che non ci sono alternative possibili”.

Secondo Maria Cardona, storica attivista della Cpdh (Comisión Permanente de Derechos Humanos) e militante del Partito Comunista Colombiano, ciò che accade è dovuto all’attuazione solo parziale degli accordi di pace. “La firma degli accordi è un fatto storico, però l’implementazione è del tutto insufficiente. Soprattutto da quando è al potere il Presidente Duque (2018), che io definisco “il burattino di Alvaro Uribe”, sono enormemente aumentate le violenze e le violazioni dei diritti umani, l’abuso della forza e le repressioni violente delle manifestazioni socialii”.

Gli omicidi selettivi che avvengono in Colombia hanno l’obiettivo, dichiarato esplicitamente nel 2017 da Fernando Londoño un esponente politico della destra colombiana, di smantellare gli accordi di pace Maria Cardona - attivista

Gli omicidi selettivi

Maria Cardona ha perso due fratelli, uno, Silvio, agricoltore attivo nelle lotte per la proprietà delle terre in Colombia, sparito l’altro Luis Alberto, economista, militante del Partito Comunista Colombiano e consigliere comunale nel municipio di Cincinna per il partito dell’Unione Patriotica, ucciso. Oggi denuncia: “il Governo non ha rispettato gli impegni presi. E non lo ha fatto perché utilizza come pretesto i risultati del referendum del 2016, occasione in cui aveva vinto il “no” all'accordo di pace. Il non aver garantito negli accordi l’incolumità degli ex combattenti ha fatto sì che ad oggi, 30 giugno 2020, 280 di essi siano stati assassinati. Di questi, la maggioranza stavano promuovendo esperienze di auto organizzazione nelle comunità indigene e rurali del paese. Gli omicidi selettivi che avvengono in Colombia hanno l’obiettivo, dichiarato esplicitamente nel 2017 da Fernando Londoño un esponente politico della destra colombiana, di smantellare gli accordi di pace”.

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In Colombia si lavora per rendere reale la pace, ma gli ostacoli e le violenze sono ancora moltissimi. “Gli accordi di pace del 2016 tra il governo colombiano e le Farc sono parte di un percorso lungo di democratizzazione del potere. Uno dei passaggi più significativi di questa firma è l’aver coinvolto le FARC-EP, il gruppo guerrigliero più grande e antico, ma anche per aver istituito il Sistema Integrale di Giustizia, Riparazione e non Ripetizione. Non è solo la fine delle ostilità con un gruppo politico militare, ma la possibilità per tutta la società colombiana di conoscere ciò che è stato, aprire percorsi di giustizia riparativa e avere il diritto di seppellire i propri cari o almeno sapere (ufficialmente) che fine hanno fatto”, spiega Camilo Zuluaga, che ha ben chiare le complessità del processo di pace: “In un conflitto tanto lungo, oltre 50 anni, i motivi alla base della lotta armata si sono spesso dimenticati. L’individuazione delle responsabilità e la lettura della storia recente sono state sempre definite ed adeguate alle necessità del potente di turno. Ecco che il lavoro della Comisión de la Verdad (Cev) è fondamentale per porre le basi di una storia che sia condivisa. Un lavoro fondamentale che riconosce le vittime del conflitto come asse portante del processo”. 

"Paramilitari e gruppi criminali, che si finanziano attraverso il narcotraffico e la corruzione, in questo momento appaiono ancora più forti" Maria Cardona - attivista

La Cev sta lavorando all’incontro tra soggetti che fino a poco tempo fa si ammazzavano l’un l’altro, promuove incontri tra vittime e responsabili, invitando a uno sforzo di convivenza con l’obiettivo della “no repetición”. Intanto paramilitari e gruppi armati sono ancora operativi: “Collaborano con i poteri statali e gestiscono traffici e interessi economici di rilevanza nazionale. Incidono negativamente nell’economia statale attraverso le mafie del narcotraffico. Fanno affari con le terre sottratte alle comunità rurali, impedendo l’effettiva sostituzione delle coltivazioni illegali (coca), che era stata stabilita negli accordi di pace – spiega Maria Cardona –. È per questo che il maggior numero degli omicidi e delle violazioni dei diritti umani si stanno registrando nelle zone rurali del paese, dove i contadini e le popolazioni indigene rifiutano i trattamenti con glifosato (erbicida ad ampio spettro), chiedendo che si proceda attraverso l’estirpazione manuale e la sostituzione con coltivazioni lecite. Sfortunatamente paramilitari e gruppi criminali, che si finanziano attraverso il narcotraffico e la corruzione, in questo momento appaiono ancora più forti, grazie alla presenza di membri dell’esercito degli Stati Uniti proprio nelle zone dove si sta conducendo la lotta per la sostituzione delle coltivazioni illecite”.

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