25 giugno 2020
Spesso sotto minaccia di arresto o di violenza, Francis Sakwa, keniano di 33 anni, è un attivista che si batte in difesa dei diritti umani nelle baraccopoli di Nairobi documentando e denunciando casi di brutalità da parte della polizia, episodi di impunità politica, ingiustizia economica e sociale. Le violenze della polizia, insieme agli scontri tra comunità, sono tra i principali problemi che affliggono i diritti umani nello Stato africano, denunciano organizzazioni non governative come Amnesty International. Insieme ad altri attivisti Sakwa affronta un tema complesso, l’impunità delle forze dell’ordine in fase di emergenza, in Kenya, paese dove la prima colpa è nascere poveri. “Sono parte di un movimento sociale in una delle baraccopoli più grandi della città, un movimento impegnato nel contrasto alla corruzione, per i diritti delle donne, per un processo di miglioramento dell’accountability e governance della città”, spiega in un’intervista per lavialibera.
Sakwa, data l’emergenza globale legata al Covid-19, in che situazione si trova Nairobi e più in generale il tuo Paese, il Kenya?
L’emergenza Covid-19 ha rappresentato per il governo un’opportunità di spaccare i movimenti sociali in Kenya impedendo qualunque tipo di incontro: hanno introdotto un coprifuoco ferreo e nessun tipo di movimento è stato permesso in città. Tempi e spazi sono stati limitati e bloccati in città, come nell’intero Paese. È stata ostacolata anche la solidarietà da parte delle associazioni e dei movimenti attivi che non fossero le grandi organizzazioni non governative riconosciute dal governo. Così gli aiuti sono stati mal distribuiti o addirittura non dati alle fasce della popolazione che più ne hanno tuttora bisogno. In aggiunta è stato bloccato ogni rientro lavorativo – in particolare per i lavoratori informali – rendendo così la situazione ancora più difficile. Però ci sono anche aspetti positivi. Per esempio, l’uso dei social media e delle nuove piattaforme digitali si è diffuso. Rimanere bloccati in un posto specifico ha aiutato ad attivare formazioni e incontri virtuali tra movimenti e persone dello stesso territorio a mettersi in contatto. Questo ha portato a due importanti risultati: una maggior consapevolezza a livello sociale e a organizzare momenti di protesta anche tramite supporti digitali come i video. In questo momento i movimenti non si sono ancora riorganizzati, qui il coprifuoco è ancora attivo, però è stato importante che le persone abbiano ripensato un dibattito, anche in luoghi simbolici come la baraccopoli di Mathare (la più antica della città, e seconda per grandezza con circa 500 mila abitanti, ndr).
In Italia è terminato da poco lockdown. Il mondo vive una fase senza precedenti, a cui si aggiunge la forza di un movimento come “Black lives matter” che ha trovato una risposta anche tutta europea contro il razzismo. Qual è il tuo punto di vista su un movimento di scala internazionale come questo? Qual è la reazione a Nairobi, a partire dal ruolo che la polizia ha in Kenya?
In Kenya ci sono due tipi di forze dell’ordine distinguibili per l’uso o meno della divisa. Direttamente legate alla classe politica, sono il braccio duro contro le classi più povere soprattutto nelle baraccopoliFrancis Sakwa
Teniamo presente che le questioni da affrontare sono due. La prima riguarda la protesta, in risposta all’uccisione di George Floyd, per la quale abbiamo organizzato immediatamente un presidio di fronte all’ambasciata statunitense proprio perché la riteniamo una battaglia comune. Dall’altra parte bisogna comprendere che in Kenya le uccisioni per mano delle forze dell’ordine sono divenute ormai “normali”. A partire dal 2007 abbiamo iniziato a manifestare in protesta alle uccisioni extragiudiziali, ovvero senza alcun previo procedimento giudiziario. In Kenya sono presenti due tipi di forze dell’ordine distinguibili per l’uso o meno della divisa. Direttamente legate alla classe politica, sono il braccio duro contro le classi più povere, criminalizzandole, soprattutto nelle baraccopoli. In questo caso il Covid 19 è stata una scusa per la polizia per brutalizzare le persone. Secondo quanto riportato dalla Independent policing oversight authority (Ipoa) sono già diciassette le persone uccise dall’inizio del coprifuoco.
La proporzione con i morti per la pandemia è di 5 a 1 in aree come la baraccopoli di Mathare. Tuttavia nonostante il lockdown, questo rimane un problema enorme. Per questo quando dico che dopo la morte di Floyd una reazione c’è, ma non è quella che vi aspettate, è perché ci siamo abituati. Ci siamo abituati a forze dell’ordine che con il beneplacito delle forze politiche uccidono.
Quali sono ora le vostre priorità per continuare a puntare alla giustizia sociale? Facendo rete con le altre realtà sociali?
Abbiamo già molte collaborazioni e gruppi attivi a livello nazionale e internazionale per la promozione della giustizia sociale, grazie anche a grandi ong come Amnesty International. In questo momento il benessere e la salute sono la nostra priorità. Facciamo raccolte fondi online – crowdfunding – per cibo e affitti rivolti alle persone che non hanno più nulla. Senza aiuti pubblici in questo momento la stessa sopravvivenza di molte persone è a rischio. La priorità sono queste persone.
Se potessi lanciare un appello, cosa diresti?
Il Covid è una malattia e come tale è arrivata, un giorno passerà. In questo momento abbiamo bisogno di concentrarci e organizzare il futuro. Il Covid è un problema che in questa ottica fa già parte del passato e noi abbiamo bisogno di pensare a cosa ci sarà poi. Promuovendo innovazione per il futuro. Contro tutte le violenze, contro tutti i razzismi.
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