La Corte di Cassazione. Foto di Michele Bitetto (Unsplash)
La Corte di Cassazione. Foto di Michele Bitetto (Unsplash)

Prescrizione, perché se ne parla (e si litiga) tanto?

Uno dei nodi della riforma della giustizia, che l'8 luglio approda in Consiglio dei ministri, è la prescrizione dei reati. La nuova ministra della Giustizia Marta Cartabia punta a una nuova soluzione dopo lo stop voluto dal Movimento cinque stelle. Tutto quello che c'è da sapere

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Aggiornato il giorno 7 luglio 2021

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Aggiornamento: Uno dei nodi della riforma della giustizia, che l'8 luglio approda in Consiglio dei ministri, è la prescrizione dei reati. La nuova ministra della Giustizia Marta Cartabia punta a una nuova soluzione dopo lo stop voluto dal Movimento cinque stelle: la legge Spazzacorrotti, promossa dall'ex guardasigillli pentastellato Alfonso Bonafede, l'ha interrotta dopo la sentenza di primo grado. La revisione della giustizia penale è un pilastro delle riforme a cui è vincolato il Recovery plan, il piano di aiuti messo in campo dall'Unione europea per la ripresa post Covid che destina all'Italia oltre 190 miliardi di euro. Bruxelles esige che i tempi della giustizia italiana siano tagliati del 25 per cento. In caso di fallimento, il nostro Paese dovrebbe restituire i fondi.

La prescrizione dei reati è da mesi un terreno di scontro tra le forze politiche. Dal 1° gennaio 2020 è entrata in vigore l’ultima riforma inserita nella legge “Spazzacorrotti” voluta dal governo M5s: nei processi per i reati commessi a partire da quest’anno, il calcolo della prescrizione si interrompe dopo la sentenza di primo grado. Da settembre le associazioni di avvocati penalisti denunciano i rischi della sua introduzione e qualche politico sostiene le loro ragioni. Negli ultimi giorni l’argomento è diventato “caldo” (e Google Trends segna un’impennata nelle ricerche di questa parola). Incalzate da Italia Viva, tre formazioni al governo (M5s, Pd e Leu) trovano un accordo per una variazione che però non soddisfa il partito di Matteo Renzi. Andiamo per gradi.

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Cosa è la prescrizione del reato?

Quando lo Stato rinuncia a perseguire un reato perché si ritiene sia passato troppo tempo dal suo avvenimento, questa è la prescrizione. In casi così, il processo termina con una sentenza di proscioglimento “per estinzione del reato” (che non equivale all’assoluzione, come è spiegato al prossimo paragrafo).

Alla base di questa norma ci sono alcuni principi: il tempo trascorso potrebbe aver fatto venire meno l’allarme suscitato da quel comportamento oppure il responsabile potrebbe anche aver cambiato radicalmente vita e aver diritto all’oblio. Il tempo necessario alla prescrizione del reato si calcola a partire dalla pena massima prevista per quel tipo di reato, ma con alcune eccezioni, tra cui queste:

  • nel caso di delitto (reati più gravi), il tempo non può mai essere inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione (più lievi), non può mai essere inferiore a 4 anni;

  • per i reati puniti con l’ergastolo, non esiste prescrizione;

  • per alcuni reati particolarmente gravi, i termini di prescrizione sono il doppio della pena prevista (ad esempio per il sequestro di persona a scopo di estorsione, pena massima 30 anni, il reato si prescrive in 60 anni; l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, pena non inferiore ai venti anni, si prescrive in 40 anni).

A prescriversi sono soprattutto alcuni reati particolarmente difficili da scoprire o che danno vita a processi complessi. Secondo le statistiche del ministero della Giustizia su dati del 2014, si tratta soprattutto di reati societari o reati contro la pubblica amministrazione (ad esempio corruzione, peculato…).

Nota bene: prescrizione non equivale ad assoluzione

Se un reato è prescritto, i giudici pronunciano una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato. Questa formula è diversa dall’assoluzione. In entrambi i casi non viene stabilita nessuna condanna, ma nel secondo caso viene stabilito che l’imputato è innocente perché nel corso del processo è stato appurato così. Nel primo caso, invece, il reato viene considerato ormai troppo vecchio e quindi non più perseguibile: La colpevolezza (o l’innocenza) dell’imputato non è accertata. Il codice di procedura penale, inoltre, stabilisce che se nel corso del processo sono emerse le prove dell’innocenza, nonostante il reato sia prescritto deve essere pronunciata una sentenza di assoluzione nel merito perché prevale il principio del favor innocentiae (cioè a favore dell'innocenza).

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La prescrizione tra polemiche e riforme

Nel corso degli anni, alcuni casi hanno suscitato forti reazioni. Fino al 2005 i termini della prescrizione erano fatti a scaglioni: ad esempio, i reati con una pena di almeno dieci anni si prescrivevano in 15 anni. Poi, in quell’anno, il governo Berlusconi ha introdotto la cosiddetta legge “ex Cirielli” riducendo di fatto i termini di prescrizione per molti reati equiparandoli alla pena massima prevista per quei casi.

Alcuni casi giudiziari – ad esempio il proscioglimento di Stephan Schmidheiny, ex proprietario della Eternit Italia processato per i morti e i tumori provocati dall’amianto – hanno rilanciato il problema e la politica ha cercato una soluzione. D’altronde la prescrizione dà alcune garanzie agli imputati, sì, ma può anche deludere le attese delle vittime e vanificare anni di lavoro dello Stato.

Nel 2017 l’allora ministro Andrea Orlando ha introdotto alcune sospensioni al calcolo del tempo: ad esempio, non bisogna prendere in considerazione i tempi di attesa del deposito delle motivazioni delle sentenze o l’arrivo di documenti richiesti all’estero tramite rogatoria. La riforma ha permesso inoltre di aumentare i tempi della prescrizioni di alcuni reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione o l’induzione indebita.

Nel 2019 la legge chiamata “Spazzacorrotti”, promossa soprattutto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e frutto di un accordo tra M5s e Lega, ha stabilito che il corso della prescrizione dovesse essere sospeso dalla data della sentenza di primo grado. Questa norma è entrata in vigore dal 1° gennaio 2020 e si applicherà nei processi per i reati commessi da quest’anno. Nelle intenzioni del governo, questo dovrebbe garantire la certezza della pena, evitando i proscioglimenti al termine dei processi di appello o in Cassazione.

I dati della prescrizione

I dati del Ministero della Giustizia (riportati dal Sole 24 Ore a settembre) mostrano come nel corso del 2018 i procedimenti penali prescritti siano stati 117.367 (in calo rispetto ai 136.888 del 2016). Di quel dato, 29.862 sono quelli prescritti in Corte d’appello e Cassazione. La maggior parte delle sentenze di proscioglimento per estinzione del reato avviene nei processi di secondo grado (le prescrizioni in Corte d’appello sono aumentate del 12%), dove si prescrive quasi un processo su quattro (a Venezia e Torino si arriva al 40% circa, seguite da Catania, Perugia e Roma). Ciò significa che la maggior parte dei processi (quasi il 75%) si prescrive prima della sentenza di primo grado, fase su cui la riforma di Bonafede non interviene. Anzi, la nuova norma provocherà un aumento dei fascicoli da trattare in Cassazione, allungando i tempi della giustizia (vedi le dichiarazioni del primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone nel paragrafo sotto).

Dall'Annuario statistico della Corte di Cassazione del 2019 emerge che i processi "definiti con prescrizione" sono stati 861 nel 2019 (pari all'1,7 per cento di tutti i processi penali trattati dalla Corte suprema), in netto aumento rispetto ai 646 del 2018 (pari all'1,1% dei procedimenti di quell'anno) e ancora di più rispetto ai 422 del 2009 (pari all'0,9%). I casi caduti in prescrizione sono soprattutto i delitti contro il patrimonio diversi dai furti (rapine, estorsioni, usura, riciclaggio...) con 177 casi, seguiti da 96 processi per reati contro la pubblica amministrazione.

Stando alla seconda indagine sul processo penale realizzata da Eurispes in collaborazione con l'Unione delle Camere Penali, basata sul monitoraggio di 13.755 processi, “la prescrizione è un motivo di estinzione del reato che incide per il 10% sui procedimenti arrivati a sentenza e rappresenta poco più del 2% del totale dei processi monitorati”. Come dire, una percentuale molto bassa.

I contrari

Il 30 settembre 2019 l’Unione delle Camere penali italiane, cioè l’organizzazione di avvocati specializzati in diritto penale, ha lanciato un suo allarme: “Il cittadino resterà in balia della giustizia penale per un tempo indefinito, cioè fino a quando lo Stato non sarà in grado di celebrare definitivamente il processo che lo riguarda – scrivono in un comunicato -. È chiaro a tutti gli addetti ai lavori, anche alla magistratura, che l’entrata a regime di un simile, aberrante principio determinerebbe un disastroso allungamento dei tempi dei processi, giacché verrebbe a mancare la sola ragione che oggi ne sollecita la celebrazione”.

In vista dell’entrata in vigore della riforme hanno cominciato una serie di proteste e coinvolto alcuni politici. In questa fase il Partito democratico, alleato di governo del Movimento 5 Stelle, ha mantenuto una posizione critica rispetto alla riforma della prescrizione, ma interlocutoria, convinto che una riforma per accelerare i tempi della giustizia sia necessaria e possa risolvere i problemi sollevati dalla novità. Di diverso atteggiamento Forza Italia, che tramite il suo responsabile alla giustizia Enrico Costa ha promosso alcune iniziative legislative, e soprattutto Italia Viva di Matteo Renzi che, da forza di governo, critica con vigore la norma voluta da Bonafede.

Venerdì 31 gennaio 2020 il primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone ha segnalato il rischio di un “significativo incremento del carico penale (vicino al 50%) che difficilmente potrebbe essere trattato”, pari a quel dato, 25mila circa, corrispondente ai processi che si prescrivevano in appello e ora dovranno andare avanti, aumentando il carico di lavoro e rallentando la macchina giudiziaria. Per questa ragione “risulta pertanto necessario porre allo studio e attuare le più opportune soluzioni normative, strutturali e organizzative tali da scongiurare la prevedibile crisi”, misure acceleratrici “non solo nella parte del processo successiva al primo grado, ora non più coperta dalla prescrizione, ma anche in quella anteriore, soprattutto nelle fasi dell'indagine e dell'udienza preliminare” in cui si prescrivono la maggior parte dei reati.

Il giorno dopo a Milano il procuratore generale della Corte d’appello, Roberto Alfonso, ha spiegato che la riforma “presenta rischi di incostituzionalità” e “viola l’articolo 111 della Costituzione” sulla ragionevole durata del processo. Condivide l’idea secondo cui “la sospensione del corso della prescrizione non servirà sicuramente ad accelerare i tempi del processo, semmai li ritarderà ‘senza limiti’”. Per questo sprona “il legislatore con urgenza e con sapienza” ad adottare "una soluzione che contemperi le due esigenze: la tutela della persona offesa e la garanzia per l'imputato di un processo di ragionevole durata”.

Cosa succede adesso? La battaglia sui “lodi”

Da una parte il governo composto da M5s e Pd vuole preparare una riforma per rendere più rapidi i processi rendendo così meno probabile la prescrizione dei reati. È il cosiddetto “lodo Conte” che prevederebbe uno stop dopo la sentenza di condanna di primo grado (e una sospensione di due anni in caso di assoluzione). La sera di giovedì 6 febbraio, però, M5s, Pd e Leu si accordano sulla proposta formulata da un altro Conte, Federico Conte, deputato di Leu, che intende bloccare la prescrizione dopo due sentenze di condanna (in primo e secondo grado). Neanche questa proposta sembra andare bene a Matteo Renzi e al suo partito.

Due emendamenti al decreto legge “Milleproroghe”, uno della deputata di Italia Viva Lucia Annibali (da cui il nome “lodo Annibali”) e uno del senatore Costa (Fi), puntano al rinvio dell’entrata in vigore della riforma (il primo al 1° gennaio 2021, il secondo al giugno 2021). Costa, inoltre, ha proposto un disegno di legge per riportare la situazione alle condizioni precedenti alla riforma Bonafede. Italia Viva potrebbe votare questo Ddl, la cui discussione è programmata il 24 febbraio alla Camera.

Da Bonafede a Cartabia: la nuova veste della prescrizione 

Ora Marta Cartabia, la ministra della Giustizia subentrata all'ex guardasigilli del Movimento cinque stelle Alfonso Bonafede, propone una soluzione diversa. Il meccanismo inserito nella riforma penale della Giustizia prevede l'interruzione del decorso della prescrizione del reato con la sentenza di primo grado, come previsto da Bonafede. Ma se nei gradi successivi viene superato il tempo limite di due anni per l'appello e un anno per la cassazione (con eventuale proroga per i reati più gravi e i processi molto complessi), viene dichiarata l'improcedibilità. Che è diversa dalla prescrizione: in caso di improcedibilità il reato non si estingue, ma si blocca il processo. Si tratta di una mediazione che, nella speranza di Cartabia, dovrebbe mettere d'accordo tutti i partiti. Ma i Cinque stelle non sembrano disposti a scendere a compromessi e hanno annunciato che non voteranno la riforma così com'è. In particolare, i deputati del Movimento chiedono che ai reati più gravi, come l'omicidio, si aggiunga la corruzione. 

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