Photo by Carles Rabada on Unsplash
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"Per gli italiani, la sola arma valida dell'antimafia è il carcere duro"

Gli italiani sembrano fidarsi solo del carcere duro, il 41 bis, di cui sanno ben poco. Pessimo segnale per la politica. In anteprima i dati del rapporto di Libera "Il triangolo pericoloso" in uscita domani

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra della Salute, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

15 febbraio 2021

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Alla luce delle tabelle riportate nel rapporto di Libera Il triangolo pericoloso relative all'efficacia nella lotta alla mafia e alla corruzione, si salva solo il carcere e in particolare il carcere “duro”, il 41bis. Non viene promossa l’azione del governo, né la politica, si presume, dei partiti. 

La pensano così, pur con percentuali differenti, intervistati di tutti gli schieramenti politici, di ogni parte del territorio nazionale, di tutte le età, di tutte le professioni. Con piccole eccezioni per gli studenti, i giovani e le casalinghe soltanto il 41bis è ritenuto uno strumento efficace nella lotta alle mafie. Nonostante i numeri sembrano non prestarsi a incertezze o equivoci interpretativi non è semplice commentare questi risultati dell’indagine. Viene da chiedersi quanto le risposte di coloro che sono stati interpellati siano il frutto di una conoscenza o almeno di una sufficiente informazione sull’azione del governo e della politica contro la corruzione e contro i poteri mafiosi.

Se correttamente applicato il 41bis è una misura efficace anche perché la solitudine e la privazione delle relazioni possono aiutare un cammino interiore di cambiamento e di autentico pentimento. È una misura raffinata e deve essere applicata con grande attenzioneRosy Bindi - Ex presidente Commissione antimafia

È legittimo porsi la stessa domanda sulla fiducia manifestata nei confronti del 41bis: quanti conoscono i veri obiettivi e il reale funzionamento di questa che sicuramente è una delle misure più efficaci che il nostro ordinamento prevede per combattere le mafie? Quello che tutti chiamano il carcere duro non è un tributo pagato al desiderio di vendetta che potrebbe maturare in una comunità offesa e privata di persone, di ricchezza, di bellezza, di democrazia dalla violenza mafiosa. Lo Stato democratico non si vendica contro i suoi cittadini, anche se si macchiano delle colpe più odiose e compiono i reati più gravi. La nostra Costituzione concepisce la pena come un percorso riabilitativo perché nessuno si perda, ma venga restituito alla comunità, dopo aver pagato i suoi errori, ricostruito e rinnovato.

Questo principio di civiltà giuridica e democratica il nostro legislatore lo ha applicato anche quando ha previsto, in particolare per i capi mafiosi, di scontare la pena detentiva in un regime di completo isolamento dal mondo esterno e dal resto della comunità carceraria. Misura richiesta da chi conosceva e conosce bene il funzionamento delle organizzazioni mafiose. Un capo mafia resta tale anche dal carcere e continua a esercitare il suo potere non meno di quando è libero o latitante, e dalla mafia si esce solo con la decisione di collaborare con lo Stato. Se correttamente applicato il 41bis è una misura efficace anche perché la solitudine e la privazione delle relazioni più importanti possono aiutare un cammino interiore di cambiamento e di autentico pentimento. È una misura raffinata e deve essere applicata con grande attenzione, non sopporta abusi e soprattutto non concede nulla alla mentalità giustizialista e forcaiola.

Per sconfiggere le mafie, tuttavia, non saranno mai sufficienti né le sentenze dei tribunali né le prigioni, ed è per questo che la bocciatura delle politiche e della politica contro la corruzione e le mafie è davvero preoccupante. Questa bocciatura, anche se può essere in parte frutto di una diffusa sfiducia, magari un po’ qualunquista, nella politica e nei partiti, purtroppo ha un fondamento. La lotta alla mafia e alla corruzione sembra scomparsa dall’agenda politica dei partiti: quasi mai pronunciata durante le campagne elettorali non rappresenta una priorità nelle strategie per il futuro.

La pandemia, che ormai da un anno ha confiscato l’Italia non meno del resto del mondo, sta aprendo praterie alle mafie, eppure il contrasto alla loro invasione non è contemplato. Lo stato di emergenza che si rinnova di trimestre in trimestre è indubbiamente giustificato per contrastare la diffusione del virus e le conseguenze che sta provocando sul piano economico. Non è altrettanto giustificato il ricorso a procedure che sospendono le garanzie in nome di un’efficienza che solo così sarebbe assicurata. La nuova normativa sugli appalti, per esempio, ha intaccato tutti il punti sensibili ben conosciuti come i varchi più spesso attraversati dai mafiosi e dai corruttori.

L’enorme quantità di denaro pubblico che è stato e che verrà messo in circolazione in ogni settore economico, sanitario, sociale potrebbe essere sprecato a favore della corruzione e della mafia se i varchi non vengono blindati e se non verranno previsti meccanismi adeguati di controllo. Se questo non avverrà rischiamo di riconsegnare il contrasto alle mafie soltanto alle inchieste giudiziarie e alle aule di tribunali, ma sarà davvero troppo tardi. Magari per riconquistare una maggiore sintonia con il Paese reale potrebbe essere utile ridisegnare le priorità e porre ai primi posti dell’agenda politica la lotta alla corruzione e alla mafia.

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