
Dare un nome a chi muore in mare

Paolo ValentiRedattore lavialibera

15 gennaio 2021
Molte volte la mafia è stata rappresentata come un virus: è una metafora usata e abusata nel tempo da molti osservatori, non stupisce quindi che venga ripresa con riferimento al Covid-19. L’immagine è però tanto efficace sul piano comunicativo, quanto ingannevole sul piano analitico. La mafia non è un virus, si comporta e si diffonde secondo altre logiche, che non sono però indifferenti al contesto della pandemia. Le mafie hanno mostrato di saper approfittare delle situazioni di crisi e di emergenza: è avvenuto in occasione di catastrofi naturali e terremoti, così come nei casi in cui l’ordine politico e sociale è apparso sotto tensione, indebolito o minacciato nella sua tenuta. In tali momenti, le mafie non fanno altro che amplificare la loro tipica offerta di servizi di protezione e di intermediazione, utili per far fronte alle incertezze.
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Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull'Aspromonte jonico. Tramite il "denaro volante", sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani. Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei. L'ultimo numero de lavialibera offre la mappa aggiornata degli affari della 'ndrangheta, così per come l'hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l'operazione Eureka