14 marzo 2020
"Siamo solo all'inizio di questa epidemia, che dappertutto accelera e si intensifica". Il presidente francese Emmanuel Macron ha rotto gli indugi giovedì sera, in diretta televisiva, dopo circa tre settimane di comunicazioni confuse e prese di distanza da quanto sta avvenendo in Italia.
“La situazione qui in Francia è indecifrabile”, racconta Francesca, presidente dell’associazione DeMains Libres di Marsiglia e membro della rete europea promossa da Libera Chance (Civil hub against orgaNised crime in Europe). “Abbiamo affrontato la fase 1 delle misure di protezione dal contagio parlando di un problema relegato a qualche caso e poi – quasi d’improvviso – ci hanno comunicato che il numero dei positivi erano aumentati, che si passava alla fase 2 ed era quindi necessario rispettare alcune regole comportamentali come lavarsi spesso le mani”.
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Giovedì sera, con il discorso di Macron a reti unificate è iniziata la fase 3. Il presidente ha chiesto ai francesi di “limitare al massimo gli spostamenti” per contrastare la diffusione del Covid-19 e annunciato la chiusura di scuole e università da lunedì. Ha confermato invece le elezioni municipali che domenica 15 marzo porteranno alle urne milioni di francesi. “In radio come a scuola, il problema sanitario è descritto come qualcosa che non riguarda la Francia se non a causa delle relazioni sociali e commerciali con gli italiani. Insegnando italiano – continua Francesca – ho visto quanti studenti francesi hanno smesso di venire a lezione e, allo stesso tempo, quanto poco la scuola ci abbia informato sulle norme da attuare con gli alunni”. Questa percezione di distanza dal problema coronavirus potrebbe però finire presto: i casi confermati in Francia sono già più di 2800 e i morti saliti a 61. Il presidente Macron – anche se non impone ancora l’obbligo a rimanere a casa – invita tutti a diventare più responsabili.
"Si diceva fosse solo un'influenza"
Nel frattempo Spagna, Danimarca, Austria, Albania, Marocco, Tunisia, Turchia e Canada hanno annullato tutti o gran parte dei voli da e per l’Italia o almeno verso le regioni dove si è registrato il più alto numero di contagi. La Spagna è corsa ai ripari solo nelle ultime ore: dopo giorni di silenzio, venerdì 13 marzo il capo del governo Pedro Sánchez ha infine dichiarato lo stato d’allarme. I casi positivi sono cresciuti rapidamente, sfiorando la soglia 3mila, collocando il Paese al secondo posto in Europa, dopo l’Italia, per numero di contagi. Una reazione tardiva, secondo il racconto di Nadia, avvocato spagnolo ed attivista della rete CHANCE: “A parte l’annullamento dei voli, per giorni ci hanno solo detto che stavano studiando nuove misure, niente più”. “Per la manifestazione dell’8 marzo il governo ci ha richiamato alla calma – continua Nadia –, si diceva fosse soltanto un’influenza e che non ci fosse reale pericolo. Subito dopo la manifestazione i casi invece si sono moltiplicati a grande velocità e ora il tema è percepito in tutta la sua gravità”. Secondo l’attivista in Spagna la popolazione sta facendo molta fatica a transitare dalla convinzione che “non succede nulla, non serve preoccuparsi” a “la situazione è grave, resta a casa, lavati le mani, non toccare nessuno e non avvicinarti agli altri”. Conclude Nadia: “Si inizia a pensare che ciò che sta accadendo in Italia possa succedere qui, anche se in fondo non riusciamo ancora a crederci”.
La distanza del Regno Unito dall’Unione europea si misura anche nella singolare reazione all’emergenza coronavirus. A Londra la vita scorre come se nulla fosse. Lo racconta Barbara, giornalista e attivista della rete Chance attraverso l’associazione FIRM UK: “L’unico consiglio che ci ha dato il sindaco è di lavarci le mani spesso, possibilmente cantando la canzone Happy Birthday in modo da lavarle abbastanza a lungo. Si posso prendere bus e metro senza problemi e continuare ad andare a lavorare mantenendo le proprie abitudini di sempre”. Il primo ministro Boris Johnson punta all’immunità di gregge. Il consigliere scientifico del premier, Sir Patrick Vallance, ha dichiarato che per raggiungere l’obiettivo occorre che il 60 per cento dei britannici contragga il virus. I dati rivelano però che i posti di terapia intensiva disponibili nel Regno unito sono ben al di sotto della media europea, 6,6 ogni 100 mila abitanti e che quindi un improvviso aumento dei casi potrebbe portare al collasso del sistema sanitario nel giro di poche settimane.
“Nel Regno Unito – sostiene Barbara – sono stati fatti molti tagli nei fondi al comparto; inoltre non è nella cultura della gente qui richiedere il parere del medico qualora ci siano sintomi influenzali, e quindi probabilmente sono presenti molti più casi di quelli che si pensa”. Secondo l’ultimo report dell’Oms, del 13 marzo, si contano nel Paese, 594 casi di contagio e 8 morti, numeri tra i più bassi in Europa.
"Il consiglio? Lavarsi le mani cantando Happy Birthday"
Non troppo dissimile l’approccio adottato in Germania. “A me, come a molti italiani che vivono a Berlino – racconta l’attivista di Chance, Giulia –, sembra di vivere una situazione schizofrenica: da un lato, ascoltiamo i racconti che ci arrivano dall’Italia mentre, dall’altro, vediamo che le misure di prevenzione qui si riducono a pochi divieti sui grandi eventi o, ad esempio, a chiusure specifiche di scuole dove si sono registrati casi di coronavirus”. Finora le attività commerciali sono andate avanti, le scuole lavorano a pieno ritmo ed è solo alla libera iniziativa di alcune aziende private che si deve la chiusura delle attività o il passaggio al telelavoro. Anche se la cancelliera Angela Merkel ha avanzato l’ipotesi di un’infezione che raggiunga il 60/70 per cento della popolazione, la vita dei tedeschi continua a mancare di misure preventive e sono pochissime le procedure di assistenza per chi voglia segnalare casi di possibile contagio. “Ho letto tantissime interviste di tedeschi allarmati – racconta Giulia – mi ha colpito quella di una giovane madre di Berlino che, saputo che il maestro d’asilo di suo figlio era stato contagiato, e trovandosi il bambino e lei stessa con la febbre, ha cercato di contattare le strutture preposte ai test per il Covid-19. Non poteva permettersi di lasciare il bambino in coda al freddo per ore e ha deciso di mettersi in auto-isolamento. Dopo tre giorni dalla segnalazione ancora nessuno l’ha contattata”.
La maggior parte quindi delle precauzioni dipendono da decisioni autonome del singolo cittadino e dal suo senso di responsabilità individuale. Ad oggi la Germania è il quarto paese del Vecchio continente per numero di contagiati, arrivati a soglia 2.369 secondo l’Oms, ma si colloca al fondo delle classifiche per il numero di morti, che sarebbero solo 6. In questa condizione non è però peregrino pensare che le statistiche siano condizionate dal modo in cui i dati sono rilevati.
C’è da dire che la Germania possiede il numero più alto d’Europa di posti letto per la terapia intensiva, 29,2 ogni 100mila abitanti (contro i 12,5 dell’Italia, che comunque vanta un’ottima performance). “La comunità italiana a Berlino è molto preoccupata di ciò che sta accadendo – conclude Giulia – soprattutto perché non si percepisce nessuna allerta a livello istituzionale. Nel frattempo però la carta igienica e i disinfettanti sono spariti dai supermercati”.
Solo nelle ultime ore si è deciso per la chiusura generalizzate delle scuole anche in Germania. Nel Paese sono le singole regioni a decidere autonomamente sugli istituti scolastici e i 16 Länder tedeschi hanno scelto di tenere gli istituti chiusi fino al 20 aprile. In Germania, secondo Giulia, è diffusa comunque la convinzione che il coronavirus farà parte della nostra vita per molto tempo, e che sarà così anche in Italia, dove si sta chiudendo tutto.
Ha collaborato Giulia Baruzzo, referente settore internazionale di Libera
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