
Dare un nome a chi muore in mare

Paolo ValentiRedattore lavialibera

11 marzo 2020
Questo è un frangente difficile, molto delicato, ma è anche un'occasione per riflettere, per guardarci dentro e per guardarci di più attorno. Per riconoscerci di più, tutti, nella nostra fragilità, che è la premessa per costruire una società più umana e più giusta.
Questa è un'occasione anche per vivere fino in fondo la nostra idea di cittadinanza, cioè essere i promotori e assieme i custodi del bene comune: in questo caso la salute pubblica, la salute di ciascuno di noi.
Seguiamo, dunque, le indicazioni che ci vengono date dagli scienziati per contenere il contagio, fatte proprie anche dal Governo e dalle istituzioni.
Non dimentichiamo che prima che una questione di regole e di legalità è una questione di resposabilità, corresponsabilità e, lasciatemelo dire, anche di vita. Sono gli ingredienti indispensabili della speranza, che è un bene essenziale, ma fragile. Un bene che ha bisogno dell'impegno di ciascuno di noi.
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Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull'Aspromonte jonico. Tramite il "denaro volante", sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani. Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei. L'ultimo numero de lavialibera offre la mappa aggiornata degli affari della 'ndrangheta, così per come l'hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l'operazione Eureka
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