(Kio Azuma/Unsplash)
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Questione di classe

Il sistema educativo italiano accentua le disuguaglianze. Il percorso scolastico è influenzato dal contesto sociale e familiare ma è nel passaggio dalle medie alle superiori che si crea una frattura difficilmente sanabile

Marco Romito

Marco RomitoRicercatore

Davide Romanelli

Davide RomanelliGrafico

31 marzo 2022

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In Italia, in misura maggiore rispetto a quanto avvenuto in altri paesi europei, la scolarizzazione di massa e l’eliminazione dei percorsi scolastici “vicolo cieco” – avvenuta con la riforma della scuola media (1962) e con la liberalizzazione degli accessi all’università (1969) – non hanno ridotto in modo significativo le disuguaglianze educative in base alle condizioni sociali e familiari di studenti e studentesse.

A scuola di disuguaglianza: guarda il video

Se guardiamo ai titoli di studio più elevati, sappiamo che si iscrive all’università l’81 per cento dei diplomati italiani che hanno almeno un genitore laureato e solo il 35 per cento degli studenti che hanno genitori con al massimo la licenza media. Queste differenze, che si ampliano ulteriormente se si considerano i dati relativi al conseguimento effettivo di una laurea di secondo livello, dipendono soprattutto dalle scelte fatte dagli studenti al termine delle scuole medie. Il passaggio dal primo al secondo ciclo della scuola secondaria, infatti, costituisce nel nostro Paese uno snodo cruciale di riproduzione delle disuguaglianze sociali. È lì che bisogna innanzitutto guardare se vogliamo capire per quale motivo in Italia ci sia una mobilità sociale sostanzialmente bloccata.

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A scuola di disuguaglianza

Gli studenti di ceto popolare hanno circa il 60 per cento di probabilità in meno di iscriversi in un percorso di tipo liceale rispetto a chi proviene dai ceti medio-alti. Questo ha un impatto decisivo non solo sulle chances di iscrizione all’università (vi si iscrive l’80 per cento dei liceali, contro il 30 per cento dei diplomati tecnici e solo l’11 per cento dei diplomati professionali), ma anche sulle competenze in lettura e matematica (che sono molto più alte tra i liceali, rispetto agli studenti iscritti in altri tipo di percorsi), con conseguenze evidenti sia sull’occupabilità, sia sulla capacità di partecipare a pieno titolo alla vita sociale e politica, in un’epoca in cui cresce la necessità di disporre di strumenti cognitivi adeguati per orientarsi.

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Del resto, i processi di differenziazione di tipo simultaneamente scolastica e sociale che prendono corpo nel passaggio dalla scuola media a quella superiore, hanno anche conseguenze importanti dal punto di vista dei processi di costruzione identitaria. Studi recenti hanno mostrato quanto sia forte tra gli studenti di ceto popolare che frequentano gli istituti tecnici e professionali l’idea che l’università sia un ambiente di apprendimento “altro”, verso cui non sono destinati (il 92 per cento dei liceali dichiarano di voler andare all’università, contro il 52 dei diplomati tecnici e il 34 dei diplomati professionali). Tra questi, chi accede all’università sperimenta con frequenza esperienze di isolamento sociale, senso di inadeguatezza, ansia e sofferenze di tipo emotivo che in molti casi sfociano nella rinuncia agli studi. In un quadro di questo tipo, la ricerca accademica ha anche mostrato che, se da un lato la differenziazione dei percorsi educativi è legata ai complessi fenomeni attraverso cui si riproducono le biografie familiari e sociali; dall’altro le procedure istituzionali di orientamento scolastico e universitario rafforzano ulteriormente il legame tra origini sociali e destini educativi, adattandosi alle aspirazioni familiari e ai meccanismi impliciti di selezione educativa che gli studenti incontrano nel passaggio da un livello di istruzione all’altro. Insomma, gli studi che da molti anni si occupano di disuguaglianze in istruzione ci segnalano quanto problematico sia il modo in cui è oggi è strutturata la scuola secondaria di secondo grado italiana.

Forzare in un’età ancora precoce la differenziazione educativa ha conseguenze importanti non solo sulle opportunità di apprendimento, ma anche sugli orizzonti socio-culturali ai quali gli studenti possono avere accesso. Nei paesi con livelli più bassi di disuguaglianza, infatti, la scuola secondaria mantiene un “tronco comune” fino ai 16 o ai 18 anni di età. Forse sarebbe quello l’esempio da seguire.


Per approfondire

  • Argentin, G. La nostra scuola quotidiana. Bologna, Il Mulino, 2021
  • Benadusi, L. e Giancola, O. Equità e merito nella scuola, Milano, Franco Angeli, 2021
  • Romito, M. Una scuola di classe. Orientamento e disuguaglianza nelle transizioni scolastiche, Milano, Guerini e Associati, 2016
  • Romito, M. First-Generation Students. Essere i primi in famiglia a frequentare l’università, Roma, Carocci, 2021

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