Un'esercitazione con lo javelin. Credits: Steve Dock
Un'esercitazione con lo javelin. Credits: Steve Dock

Le armi in Ucraina fanno gola a mafie e criminali

Il mercato nero del materiale bellico inviato a Kyiv preoccupa Ue e Nato che guardano al precedente dei Balcani, dove una gran quantità di pistole e fucili è finita nelle mani dei civili per poi essere venduta o rubata. Molto appetibile, per la criminalità organizzata e no, potrebbe essere lo javelin: il lanciarazzi anticarro diventato il simbolo del sostegno statunitense

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

3 agosto 2022

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Da potente alleato contro la Russia a strumento a disposizione di mafie, criminali e terroristi: è il possibile destino dello javelin, il lanciarazzi anticarro a guida infrarossi diventato il simbolo del sostegno statunitense a Kyiv. Adesso, riporta il Financial Times, la possibilità che una parte delle armi usate e inviate in Ucraina finisca sul mercato nero preoccupa le forze dell’ordine europee e anche la stessa Nato. Non un’ipotesi remota ma “una certezza”, commenta a lavialibera  Dennis Vanden Auweele, ricercatore del Flemish peace institute, istituto di ricerca specializzato nel traffico di armi, soprattutto da fuoco. Una certezza che deriva dall’esperienza: per Europol, la maggior parte delle armi tutt’oggi trafficate illegalmente all’interno dei confini dell’Unione proviene dai Balcani.

La maggior parte delle armi trafficate illegalmente nell'Ue proviene dai Balcani. Marca Zastava, un'azienda serba, erano una pistola e un fucile custodite in un arsenale in cui erano raccolte le armi appartenenti a diversi proprietari, tra cui l’ex gip di Bari, De Benedictis

Di quella zona erano – per esempio – i lanciarazzi M80 Zolja ritrovati dai carabinieri calabresi tra le rocce dell’Aspromonte nel febbraio del 2022. E marca Zastava, un'azienda serba in funzione fino al 2008, erano una pistola e un fucile custodite in una tenuta agricola di Andria, in Puglia: un arsenale in cui erano raccolte le armi appartenenti a diversi proprietari, tra cui l’ex giudice per le indagini preliminari di Bari, Giuseppe De Benedictis.

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“In molti casi si tratta di un’eredità delle guerre nella ex Jugoslavia – prosegue Vanden Auweele –. Durante e dopo i conflitti una gran quantità di pistole e fucili è andata nelle mani dei civili, per poi essere venduta o rubata”. Uno scenario che per il ricercatore si ripeterà in Ucraina. E molto appetibili per la criminalità, organizzata e no, saranno proprio gli javelin: potenti, portatili e di alta qualità, molto costosi. “Non mi stupirebbe se tra qualche anno dei criminali li usassero per rapinare una banca o un convoglio portavalori”, dice Vanden Auweele.

Armi in Ucraina sotto i riflettori dal 2014

Secondo il quotidiano finanziario britannico, Ue e Nato starebbero facendo pressione per tracciare meglio il materiale bellico fornito a Kyiv, anche se in realtà la questione non è nuova. Negli scorsi anni l’Europol si è più volte detta preoccupata riguardo alla possibilità che l’Ucraina diventasse un'importante fonte di kalashnikov e fucili analoghi per il mercato illegale europeo. Un report pubblicato lo scorso dicembre dal Flemish peace institute documenta che il problema della circolazione illecita di armi da fuoco nel Paese è datato e ha molteplici cause, legate ai vari conflitti che si sono susseguiti nella zona nel XX secolo. Ma si è aggravato con l’invasione russa della Crimea nel 2014. Di conseguenza, il numero delle armi sequestrate al confine tra Ucraina e Polonia ha subito un’impennata, balzando da 106 nel 2015 a 190 nel 2016, fino ad arrivare a 607 nel 2017. Ora il sostegno militare che gli Stati occidentali stanno fornendo all’Ucraina pone nuove sfide: si stima che dall’inizio dell’attacco Kyiv abbia ricevuto, tra fucili, carri armati, razzi e munizioni, aiuti per dieci miliardi di dollari. 

Dall'inizio della guerra, gli Stati occidentali hanno fornito all’Ucraina aiuti militari per dieci miliardi di dollari

“Tutte queste armi atterrano nel sud della Polonia, vengono consegnate al confine e poi suddivise per attraversare la frontiera in diversi veicoli: furgoni, camion e a volte auto private”, ha spiegato al Times un ufficiale. Da quel momento in avanti scompaiono dai radar: non si sa dove vadano, né in che mani finiscano. “È difficile evitare il traffico o il contrabbando – ha ammesso Jana Cernochova, ministra della difesa ceca –. Non abbiamo raggiunto l’obiettivo nella ex Jugoslavia e probabilmente non succederà neanche in Ucraina”.

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Il precedente dei Balcani e il ruolo della 'ndrangheta

La storia di quanto accaduto nei Balcani è un buon esempio. Le armi in dotazione alle varie fazioni in guerra nella ex Jugoslavia, a cui si sono aggiunti gli oltre 700mila fucili d’assalto finiti nelle mani dei civili albanesi durante gli scontri del 1997, hanno iniziato a spostarsi dalla zona verso l’Europa a partire dai primi anni 2000, molto lentamente. “Le persone avevano ancora paura ed erano emotivamente legate alle loro armi, con cui loro stessi o i loro genitori avevano combattuto – spiega Vanden Auweele –. Non erano disponibili a cederle così facilmente”. Per fare un paragone: in Croazia in quegli anni vennero implementati sette programmi per incentivare la popolazione a consegnare le armi ma ne collezionarono meno di diecimila. Il contesto è cambiato d’improvviso nel 2008, quando la crisi economica ha convinto in molti a disfarsi del loro bottino di guerra in cambio di denaro. I Balcani hanno così assunto un ruolo centrale nel commercio illegale delle armi da fuoco: fare una stima delle dimensioni del mercato è difficile, di certo “un solo fucile nelle mani sbagliate basta per essere pericoloso”. E, stando alle cronache, le armi usate in ex Jugoslavia hanno rifornito mafiosi e terroristi: negli attacchi di Parigi del 2015, per esempio, gli attentatori avrebbero imbracciato due fucili M70 prodotti dalla serba Zastava. “Quando in Europa sentiamo parlare di un assalto con kalashnikov, nella maggioranza dei casi in realtà si tratta di M70 provenienti dalla Serbia”, suggerisce Vanden Auweele.

"Durante e dopo le guerre nella ex Jugoslavia una gran quantità di pistole e fucili è andata nelle mani dei civili, per poi essere venduta o rubata" Dennis Vanden Auweele- ricercatore del Flemish peace institute

In Italia il "vaso di Pandora" del passaggio illecito di armi proveniente da quell’area geografica è stato scoperchiato da un’operazione condotta nel 2015 dai carabinieri di Tolmezzo, racconta a lavialibera l’ex comandante della compagnia Stefano Bortone: l’indagine ha portato al sequestro di una grande quantità di armi a due operai friulani e si è poi allargata fino a individuare un canale di importazione illegale di pistole e munizioni provenienti dai Balcani e destinate ai collezionisti. La criminalità organizzata in quel caso non c’entrava ma nel nostro Paese è “la principale  protagonista della fornitura di armi illegali”, scrivono in un report del 2018 Francesco Strazzari e Francesca Zampagni. Di solito lo scambio di qualche arma accompagna quello di grosse quantità di droga. E la più coinvolta nel traffico sembra essere la ‘ndrangheta, presente nei Balcani – e  soprattutto in Bosnia – sin dagli anni Novanta. Mentre i gruppi criminali albanesi sarebbero gli unici stranieri che riforniscono le mafie nostrane. "Chi ha bisogno di armi serie cerca un intermediario albanese, che viene inviato ad acquistare un campione e lo testa per poi finalizzare l'acquisto", spiega una fonte a Strazzari e Zampagni.

"Tracciare le armi è la priorità"

“Il caso dei Balcani dovrebbe farci riflettere sulle conseguenze che l’invio di armi in Ucraina avrà nel lungo periodo”, conclude Vanden Auweele che per limitare il mercato nero propone di “consentire ai cittadini di conservare legalmente i fucili, purché li registrino, anche al termine del conflitto. Al momento la priorità è tracciarli: sapere quanti sono, dove sono e di chi sono”.

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