Foto di Marc Schaefer/Unsplash
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L'Italia che a(r)ma i regimi

L'Italia fornisce armamenti a governi che violano i diritti umani, un export che vale miliardi di euro. Molto stretti i legami con l'Egitto, la prima meta della nostra produzione bellica

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Davide Romanelli

Davide RomanelliGrafico

13 luglio 2022

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Sulla carta, l’Italia promuove i principi democratici. Nei fatti, arma i regimi autoritari. La nostra industria ha fornito bombe, navi da guerra, aerei e munizioni a governi responsabili di violazioni dei diritti umani documentate da diverse organizzazioni non governative, come l’Arabia Saudita, definita da Amnesty international il «regno della crudeltà».
 
È quanto emerge analizzando i dati relativi alle licenze che l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) ha rilasciato alle aziende italiane negli ultimi sei anni. Si scopre così che dal 2016 al 2021 il valore delle autorizzazioni individuali alle esportazioni, cioè quelle concesse alle singole imprese per esportare un determinato prodotto verso un certo Paese, è stato di 40,5 miliardi di euro. Di questi, 20,8 miliardi, cioè più del 51 per cento, sono stati sborsati da Stati classificati come autoritari o regimi ibridi dal Democracy index: la classifica redatta ogni anno dall’Economist intelligence unit, gruppo di ricerca della compagnia che pubblica il settimanale The Economist. In percentuale, il record a favore degli Stati autoritari rispetto alle democrazie è stato raggiunto nel 2018, quando il valore dell’export di armi destinate ai regimi ha toccato i 3,2 miliardi di euro su un totale di 4,8 miliardi: il 66,67 per cento. 
 
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I legami con l’Egitto che frenano la verità su Regeni


Dal 2019 la quota si è ridotta, ma la flessione va letta tenendo conto di un fatto: la nostra industria sta ancora smaltendo le commesse incassate negli anni precedenti, come mostra il valore delle esportazioni effettive. Infatti, la cifra che fornisce la stima dei prodotti passati dalle dogane e diretti verso questi Stati non è diminuita, al contrario nel 2016 il valore ammontava a 356 milioni di euro e nel 2021 a 3,2 miliardi. Non solo. I governi non democratici continuano a essere clienti importanti delle nostre imprese. Nel 2019 e nel 2020, per esempio, l’Egitto si è aggiudicato dall’Italia elicotteri e fregate: due commesse da 871 e 991 milioni che hanno fatto del paese nordafricano la prima meta della nostra produzione bellica. Dati che permettono di capire meglio anche l’operato del governo in politica estera. Non a caso, nel 2021 i genitori di Giulio Regeni – il giovane ricercatore ucciso al Cairo nel 2016 e per la cui morte in Italia sono indagati quattro agenti delle forze di sicurezza egiziane – hanno presentato in procura un esposto contro il governo italiano per violazione della legge 185 del 1990, quella che vieta «l’esportazione di armamenti verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa». 

La guerra in Ucraina legittima il riarmo

«Il problema – spiega a lavialibera Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa, nonché componente della Rete italiana pace e disarmo – è che solo un embargo stabilito dalle Nazioni unite, dall’Unione europea o dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ferma di fatto le autorizzazioni all’export». 
 

Le armi inviate in Ucraina finiranno sul mercato nero e, successivamente, nelle mani delle organizzazioni criminali italiane. 

Non è un rischio «ma quasi una certezza, direi che è inevitabile», dice a lavialibera Dennis Vanden Auweele, ricercatore del Flemish Peace Institute. È già successo con il conflitto dei Balcani: secondo l'Europol, infatti, la maggior parte delle armi oggi trafficate in Europa arrivano da quella zona, anche se avere una stima è impossibile


 

Prassi europea

 
La prassi non è solo italiana, ma europea. Fare una comparazione a livello Ue però è impossibile «perché – prosegue Beretta – per evitare confronto e trasparenza gli Stati continuano a inviare al Consiglio europeo dati non omogenei che non rispondono ai criteri stabiliti. Da diversi anni più della metà delle vendite di armamenti di tutte le aziende militari con sede nei Paesi dell’Unione è diretta in Medio oriente o in Africa settentrionale, le zone di maggior tensione nel mondo. Fornendo armi ai regimi autoritari, le nostre imprese non contribuiscono alla sicurezza dell’Europa, ma rafforzano le capacità militari di questi regimi, alimentano la corsa al riarmo e le tensioni nei territori. Un circolo vizioso che porta enormi profitti alle aziende, ma aumenta l’insicurezza e i conflitti».
 

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