21 settembre 2022
Roma brucia! Da metà giugno a metà luglio ci sono stati almeno 174 roghi. Il più grave lo scorso 9 luglio, quando un incendio è divampato nella periferia est della città. A prendere fuoco anche i depositi di autocompattatori, che da anni aspettano di essere rimossi per ragioni di sicurezza, e gli sfasci abusivi di autodemolizione su via Palmiro Togliatti. Sulla natura degli incendi indaga la procura di Roma, che ha acquisito i dati dell’Arpa e valuta l’ipotesi di disastro ambientale. Per avere un’idea del rischio per la salute, basti pensare che dopo l’incendio i livelli di diossina e di altri composti tossici e cancerogeni sono stati 35 volte superiori a quelli stabiliti dall’Oms. Per questo la procura indaga non solo sulla natura dolosa dell’incendio, ma anche sulle eventuali responsabilità per la mancata manutenzione della città. Se ci sia stato dolo e se la regia sia unica ancora non è stato accertato. Sicure sono invece le mancanze sulla manutenzione: gli idranti fuori uso, l’assenza di personale tra i vigili del fuoco e di attenzione, investimenti e controlli per garantire la sicurezza di chi vive nelle periferie.
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Senza dubbio non possiamo affermare, come incautamente hanno fatto il sindaco Roberto Gualtieri e altri esponenti del centrosinistra, che gli incendi vengono appiccati per scoraggiare e intimidire la giunta nella sua decisione di fare l’inceneritore a Roma. Una boutade che non trova riscontro nelle indagini e nelle sentenze. Perché allora il sindaco continua a fare considerazioni tanto sbagliate quanto fuorvianti? Forse per non affrontare il dibattito che ha voluto eludere con una scelta che ha spaccato la città e allontanato moltissimi sostenitori e promotori della sua giunta. Angoscia l’assenza di una visione altra rispetto a quella che ci vede ancorati
a un modello di sviluppo insostenibile socialmente e ambientalmente, che si fonda sull’esclusione e sull’ingiustizia per difendere gli interessi di pochi a qualunque costo.
Ci sono alternative da considerare. Il termovalorizzatore di San Vittore può essere migliorato e si possono realizzare discariche di ambito
Ma quando, come e perché è stato deciso di costruire un inceneritore per Roma? L’annuncio è stato dato lo scorso aprile e da subito è stato evidente che realizzarne uno da 600mila tonnellate all’anno sarebbe stato impossibile senza una scorciatoia per aggirare il piano rifiuti regionale, che esclude il ricorso all’incenerimento dei rifiuti. Per eluderlo, il governo Draghi ha inserito nel decreto Aiuti la possibilità per il sindaco di procedere in deroga alla normativa regionale, come una specie di “commissario straordinario”. Peccato che la scelta del primo cittadino sia del tutto incoerente rispetto agli impegni presi in campagna elettorale con le forze sociali che hanno sostenuto la sua candidatura: puntare finalmente sull’economia circolare, investendo risorse in progetti che abbiano come obiettivo la neutralità climatica e l’azzeramento delle emissioni climalteranti.
Optare invece per una tecnologia obsoleta, definendola addirittura innovativa, non solo tradisce l’impegno con gli elettori ma conferma i limiti e l’assenza di visione dell’attuale classe dirigente. Certo è molto più facile dire che solo così è possibile liberare la città dai rifiuti, rispetto a lavorare per ridurre i consumi, costruire gli impianti che mancano, alzare il livello di differenziata e riciclo, riformare l’Ama (società che gestisce raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti) e avviare una campagna culturale per informare e formare i cittadini sull’importanza di cambiare alcuni stili di vita.
Inevitabile che una scelta del genere e il metodo con cui è stata portata avanti aprano crepe politiche. Tra il Pd e il M5s, sia a livello nazionale sia regionale. Tra il Pd e i suoi alleati, sia in consiglio comunale sia in quello regionale. Tra il Pd e la Cgil e gli ambientalisti in città. Tra il Pd e le reti sociali, delusi dalla mancanza di iniziativa sulle priorità di Roma.
Caro prefetto, l'inceneritore non batterà le mafie a Roma
Le alternative per evitare che i rifiuti rimangano in strada esistono da tempo. Come hanno ricordato lo scorso luglio in conferenza stampa la Cgil di Roma e Lazio insieme a Legambiente, presentando il dossier Capitale circolare. Ad esempio, investire su sei nuove filiere impiantistiche per recuperare materia dai rifiuti indifferenziati abbasserebbe il quantitativo, ridurrebbe la produzione complessiva di immondizia di 12 punti percentuali entro i prossimi 13 anni, arrivando a un ammontare di meno di 1,5 milioni di tonnellate. La raccolta differenziata passerebbe al 72 per cento entro il 2035 (rispettando così l’obiettivo europeo del 65 per cento di riciclo). Per sostenere il percorso si potrebbe costituire una multiutility regionale dell’economia circolare, a partire dai soggetti e dagli impianti pubblici esistenti attualmente nel Lazio. L’inceneritore già presente a San Vittore può essere implementato, realizzando discariche di ambito.
Ignorare le alternative significa rompere il patto di fiducia costruito con una parte grande della città, contraria e disposta a dar battaglia per evitare di investire soldi pubblici su progetti che aumentano le emissioni di CO2? e contribuiscono a riscaldare ulteriormente la temperatura, scoraggiando e impedendo le riforme strutturali necessarie per un’economia circolare. È questa l’unica strada possibile per garantire la salute pubblica, il diritto alla città e la giustizia climatica.
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