Ezio Bosso (Foto Flavio Ianniello)
Ezio Bosso (Foto Flavio Ianniello)

La bacchetta (magica) per una società ideale

Ezio Bosso, musicista, è morto a 48 anni. In un'intervista a lavialibera, a gennaio, ricordava come la musica sia capace di valicare i confini e di come l'orchestra rappresenti "la società ideale dove tutti imparano ad ascoltare"

Francesca Dalrì

Francesca DalrìGiornalista, il T quotidiano

Aggiornato il giorno 15 maggio 2020

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"Hai presente quella vignetta pseudo di sinistra con tre persone, una alta, una bassa e una di altezza media, che guardano una partita da dietro una staccionata, in piedi su delle casse di legno?". La vignetta in effetti è piuttosto nota ed è spesso utilizzata per spiegare la differenza tra uguaglianza (dare a tutti la stessa cassa e mantenere così intatte le disparità) ed equità (dare di più a chi ha meno per portare tutti alla stessa altezza). "Ecco, io questa idea la trovo razzista". Ezio Bosso è così: semplice e diretto. In un momento storico dove si rischia l’assuefazione allo sterile baccano della politica, lui è una di quelle persone che la politica, quella alta e vera, la fa tutti i giorni. "Non è vero che dobbiamo stare tutti allo stesso livello per vedere lo stesso orizzonte – prova a spiegare meglio – . Io sono su una sedia a rotelle, ma da qui vedo cose che tu non riesci a vedere e viceversa. Sono proprio le nostre diverse altezze o, fuor di metafora, competenze che messe assieme formano la società migliore". Dopotutto in quella vignetta il problema non sono le altezze, ma la staccionata. Ezio Bosso, 48 anni, nasce a Torino da una famiglia operaia. "A casa esisteva un unico concerto: quello dell’armata rossa che mio papà ascoltava tutte le domeniche", racconta divertito. Ciononostante comincia da subito a fare musica: "Mi ricordo quando di nascosto andavo a toccare il pianoforte di mia zia o la chitarra di mio fratello". Nato come pianista, è oggi direttore d’orchestra. Vive a Bologna in un meraviglioso appartamento ricco di archi e spazi aperti. Dove, a proposito di barriere, non esistono porte. "In realtà due porte ci sono: nella stanza degli ospiti e in bagno: magari non tutti apprezzano". 

Una nuova orchestra europea

Un anno fa ha dato vita alla Europe philharmonic orchestra. Era il 20 gennaio 2019 e a Bologna si radunavano 51 musicisti provenienti da tutta Europa per un concerto in ricordo di Claudio Abbado, il grande direttore d’orchestra scomparso cinque anni prima proprio in questa città. "Ci siamo ritrovati portando ognuno se stesso e il proprio modo di lavorare. Con qualcuno ci siamo rivisti dopo 25 anni. Dopo quattro giorni di musica intensa e vita comune ho capito di essere diventato abbastanza grande per reggere un diverso progetto. Così è nata questa orchestra. In fondo, oltre alla musica, è questo quello che ci ha insegnato Abbado".

Non tutti i musicisti della Europe philharmonic orchestra hanno avuto l’opportunità di lavorare con Abbado, ma tutti, anche i più giovani, sentono di conoscerlo. Perché Abbado, oltre a essere un direttore conosciuto in tutto il mondo, è stato un infaticabile costruttore di orchestre, prima di tutto giovanili, e promotore di progetti sociali, come il coro Papageno nato all’interno del carcere di Bologna. Per tutta la vita ha cercato di fare musica che scaturisse dall’ascolto reciproco e di portarla fuori dai teatri, a chiunque avesse voglia di ascoltarla. 

Un nome, un programma

Siamo ancora qua a scornarci sull’Europa, mentre la musica scavalca i confini e sopravvive a tutti gli uomini. È un potere
enorme, è il valore sociale ed eterno della musica che ci ha insegnato AbbadoEzio Bosso

Scegliere il nome dell’orchestra nata sui suoi insegnamenti non è stato difficile. E proprio in questa scelta traspare una concezione politica, prima di Abbado e ora di Bosso, della musica: l’Unione europea non esisteva ancora e il muro di Berlino divideva a metà il cuore dell’Europa quando Abbado contribuì alla fondazione della European community youth orchestra, oggi Orchestra giovanile dell’Unione europea. "Siamo ancora qua a scornarci sull’Europa, mentre la musica scavalca i confini e sopravvive a tutti gli uomini. È un potere enorme, è il valore sociale ed eterno della musica che ci ha insegnato Abbado". Non è la prima volta che Bosso lo afferma. Invitato nel 2018 al Parlamento europeo per una riflessione sullo stato della cultura europea non evitò di ricordare ai politici in ascolto che la musica è la vera radice dell’Europa. "È un dato di fatto – afferma deciso –. Basta pensare a Mendelsshon, un tedesco innamorato dell’Austria che compone la Sinfonia italiana. Et voilà: l’Europa è già fatta! Proprio per questo ci siamo chiamati Europe philharmonic orchestra: per raccontare un’Europa amica dell’armonia della musica, filarmonica appunto. Questo non è solo un nome, è una piccola azione".

Al momento l’orchestra è nomade, ma questo non scoraggia i musicisti dall’intraprendere almeno due viaggi al mese per ritrovarsi ogni volta in una città diversa. Al mattino ci sono le prove a sezioni, mentre nel pomeriggio si suona tutti insieme. Si comincia alle 14, ma non si sa quando si finirà. "I musicisti pensano che dipenda dalle mie forze – racconta Bosso divertito –, contano sul fatto che mi stanco prima degli altri, ma la verità è che quando comincio a fare musica non mi fermerei più". Si mangia tutti assieme e bene. C’è pure un asilo nido comune e, sarà una casualità, ma la stragrande maggioranza dei musicisti è donna. L’orchestra si è data anche una piccola costituzione: è una comunità fondata sull’ascolto. "Questa orchestra è per me la rappresentazione di una società ideale dove imparare ad ascoltare. In fondo la polifonia stessa è nata come fenomeno politico per conciliare e valorizzare le differenze: le diverse correnti della Chiesa si stavano scannando con il canto gregoriano che è monodico e prevede un’unica voce per tutti e così ci si è inventati il contrappunto, che in politica è il contraddittorio. Cantando tutti assieme la stessa ode al Signore con voci differenti si è riusciti a valorizzare le singolarità, non le individualità. Più politico di così!".

Un progetto utopico?

Ezio Bosso (Foto Ennevi)
Ezio Bosso (Foto Ennevi)

Raccontato così, quello di Bosso sembra un progetto senza ombre. Ma la meraviglia lascia presto il posto al disincanto e Bosso ne è consapevole. "Perché esista questa orchestra, come società ideale, occorre un lavoro costante e continuo che peraltro non accetta scorciatoie. Perché, come tutte le cose importanti e belle, è fragile e potrebbe benissimo prendere anche tutti i peggiori difetti della società attuale come l’invidia e l’incompetenza".

Immagina se non ci fosse la musica quanto saremmo degenerati. La musica continua a essere l’ancora di salvezza per non andare alla deriva

Tra questi Bosso include anche i social media che, a suo dire, rappresentano il primo muro da abbattere: "Così la smettiamo di scrivere soliloqui in cui decidiamo quello che è giusto o sbagliato e torniamo a guardarci in volto". Il direttore si è scontrato in prima persona con la brutalità che non di rado circola suquesti mezzi di comunicazione. Riassumendo la vicenda, dopo essersi imbattuto in un articolo su Mozart dal titolo acchiappa click, falso nel contenuto e nella verità storica, ha provato a dire la sua. La replica è stata una serie di insulti. Un’esperienza a cui probabilmente pochi sono sfuggiti. "Ci sono rimasto male perché ciò che chiedevo era solo di leggere bene l’articolo – racconta amareggiato –. È per questo che poi fatichiamo a ritrovare la vera politica: perché nella discussione non c’è più il contenuto, è rimasto solo il contenitore. Che dentro ci sia oro o immondizia non importa più. D’altronde l’analisi non può rientrare nei caratteri stringati di Twitter". I social media sono, però, anche un potentissimo mezzo di comunicazione. "Ma comunicazione di cosa? Non fanno altro che riproporci quello che vogliamo vedere e alimentano il nostro lato narcisistico, che è poi il nostro lato peggiore! Ci preoccupiamo tutti di Salvini quando dovremmo preoccuparci di noi stessi. Il mostro non è Salvini, ma l’algoritmo di Facebook di cui noi facciamo parte e che tutti noi alimentiamo".

Di fronte a questo scenario, come dovrebbe aiutarci un’orchestra? Non sarebbe meglio concentrarsi su questi problemi? "Immagina se non ci fosse la musica quanto saremmo degenerati – afferma deciso –. Molto più di quanto già non lo siamo. La musica continua a essere l’ancora di salvezza per non andare alla deriva perché ci dà un senso di trascendenza e trasfigurazione, di responsabilità dell’altro, ci insegna il sacrificio e l’impegno. Per cui non solo ha senso fare musica e stare in un’orchestra, ma ce n’è proprio bisogno. Purché i musicisti e i direttori non confondano il piedistallo con un podio. E poi i concerti servono a farci spegnere il cellulare, riattivare il cervello e far tornare a battere il cuore. Chiunque viene a un concerto apre una porta con se stesso, una porta che magari non pensava nemmeno di avere. Quante persone mi hanno ringraziato per questo!".

Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020

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