28 aprile 2023
Gli attori principali sono chiamati hawaladar: possono essere cambiavalute, gestori di caffè o ristoranti, barbieri. Sono gli intermediari e i garanti nei rapporti tra i migranti e i trafficanti. A uno di loro il padre di Zanyar Mustafa Mina aveva lasciato quasi 12mila dollari (11mila euro), ricavati dalla vendita di terreni e dell’auto di famiglia. Vent’anni, Zanyar non vedeva un futuro in Iraq e così ha provato ad andare in Europa. Il 21 settembre 2021 è partito con un visto turistico per la Turchia e un volo per Istanbul. Il 25, dalle coste anatoliche, è salpato insieme a un centinaio di persone che il 29 settembre, a un miglio di Capo Rizzuto (Kr), sono state soccorse dalla Guardia costiera e condotte al porto di Crotone. Dopo la quarantena, il 12 ottobre Zanyar è andato a Milano e da qui in Francia, verso Dunkerque, città portuale sulla Manica dove ha ritrovato due amici. Qui hanno aspettato l’occasione buona per raggiungere il Regno Unito a bordo di un gommone. Costo: 2.500 sterline (circa 2.800 euro), pagati sempre tramite l’hawaladar. Dopo alcuni tentativi, sono riusciti a partire, ma il 24 novembre il loro Zodiak è affondato e, nonostante le telefonate ai soccorsi, né Francia né l’Inghilterra sono intervenuti. Lui e una trentina di migranti sono morti così.
A un anno dalla scomparsa del figlio, nel pomeriggio di sabato 26 novembre 2022, suo padre Mustafa ci accoglie nella casa a Zurkan, zona est del Kurdistan iracheno a quasi un’ora dal confine con l’Iran. È un peshmerga (un militare curdo) che ha combattuto insieme alle forze occidentali contro l’Isis e, oltre a raccontarci la storia di Zanyar, ci aiuta a ricostruire la catena: "In Turchia puoi trovare un buon trafficante – premette –. Abbiamo dato 12mila dollari a un hawaladar, che li avrebbe tenuti e avrebbe pagato il trafficante una volta arrivato. Il trafficante dice all’hawaladar a chi mandare i soldi. È un sistema basato sulla fiducia, su un patto. Quando mio figlio raggiungeva una certa tappa, telefonava all’intermediario e dava l’ok al trasferimento. La nostra è una società tribale, ci conosciamo tutti e l’hawaladar non si rovinerebbe la reputazione perché è la sua attività". I pericoli del viaggio non fermano le speranze di una vita migliore.
Seduti sotto un gazebo nella piazza del mercato di Ranya, protetti dalla pioggia incessante, la sera di sabato 26 novembre alcuni giovani guardano la partita dei mondiali di calcio tra Argentina e Messico bevendo latte caldo con miele abbondante. Uno di loro si lamenta, da tre giorni non guadagna niente perché non riesce a fare trasporti con il suo quad, un quadriciclo fuoristrada, e pensa seriamente di andare in Europa. Partire sembra facile. In quella stessa piazza ci sono alcune agenzie di viaggio. "Vengono qui e ci chiedono come fare. Noi li aiutiamo a ottenere un visto per la Turchia e poi partono – ci spiega Sherko (nome di fantasia, ndr), gestore di un’agenzia –. Io stesso sono stato un migrante nel nord Europa e capisco lo stato d’animo. Dico loro che è una vita difficile e non è come immaginano, ma non hanno altre scelte. Vogliono partire, anche se rischiano di affogare. Allora li aiuto a trovare le persone giuste, affinché non abbiano problemi. Per me è come un lavoro umanitario". Lui ha i contatti con alcuni uomini fidati: "Non sempre i trafficanti mantengono le promesse. Cercano di fare soldi – mette in guardia –. L’hawaladar è un filtro, serve a non perdere il tuo denaro".
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