Vista frontale della Cassazione. Foto di Michele Bitetto/Unsplash
Vista frontale della Cassazione. Foto di Michele Bitetto/Unsplash

'Ndrangheta in Val d'Aosta, per la Cassazione c'è ma non è strutturata

I giudici supremi hanno annullato e rinviato le condanne d'appello degli imputati che hanno scelto il rito ordinario al processo Geenna, spiegando che non è possibile provare la connessione criminale tra la Val d'Aosta e la Calabria

Marika Demaria

Marika DemariaGiornalista

31 maggio 2023

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Per la Cassazione, in Valle d’Aosta esiste una locale di ‘ndrangheta ma occorre “provare che il tessuto sociale di riferimento, lontano dalla Calabria, sia in grado di recepire il messaggio che quel collegamento evoca”. Secondo i giudici, mancano “forze intimidatrici, ruoli e collegamenti con la Calabria”, quindi non si può parlare di “una locale strutturata” ma di “atti meramente preparatori”. Come a dire: in Val d’Aosta si stava preparando il terreno per organizzare una locale di ‘ndrangheta, ma mancano ancora alcuni fattori determinanti come i collegamenti con la casa madre e l’intimidazione.

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La seconda e la quinta sezione penale della Suprema Corte si sono espresse così in merito alle sentenze di secondo grado del processo Geenna, dove alcuni imputati hanno scelto il rito ordinario, altri quello abbreviato, con quest'ultimo che si è svolto sugli atti di indagini a porte chiuse (cioè senza dibattimento in aula) garantendo lo sconto di un terzo della pena.

L’operazione Geenna

Vanno in direzione leggermente contrastante tra di loro le due sentenze della Cassazione arrivate nel corso del processo Geenna, nato l’operazione congiunta tra la Valle d’Aosta e la Calabria – condotta dai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) di Aosta – culminata con l’arresto di 16 persone (8 in Val d’Aosta, 4 in Piemonte, 2 in Calabria e altrettante già detenute), nella notte del 23 gennaio 2019. Un’operazione storica, che ambiva a dimostrare come in Val d’Aosta sia attiva “una locale che vanta un rapporto significativo con esponenti del mondo politico, che devono in parte la loro elezione al contributo fornito dalla locale. In cambio, i politici sono disponibili a dare all’organizzazione vantaggi derivanti dall’attività amministrativa”, spiegava il procuratore capo Anna Maria Loreto. L’operazione era figlia di altre operazioni ormai datate nel tempo: Lenzuolo (inizi anni Duemila), Tempus Venit (2011), Usque Tandem (2013). 

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In seguito all'operazione Geenna sono scaturite importanti azioni, come lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune valdostano di Saint-Pierre. Annullata con rinvio, invece, la confisca dei beni riconducibili ad Antonio Raso, titolare della pizzeria La Rotonda, luogo di incontro degli indagati come dimostrano le intercettazioni depositate agli atti.

Due letture differenti

Per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato – Roberto Alex Di Donato, Francesco Mammoliti, Bruno Nirta e Marco Fabrizio Di Donato – la seconda sezione penale della Cassazione ha confermato le pene inflitte dalla Corte d’appello di Torino, sancendo in maniera definitiva l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta nel territorio valdostano, con un boss e i suoi affiliati. Nirta (condannato in via definitiva a 12 anni, 7 mesi e 20 giorni), secondo i giudici, ha promosso la creazione di questa struttura organizzativa della 'ndrangheta dalla sua residenza di San Luca, in provincia di Reggio Calabria. 

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Francesco Mammoliti, considerato uomo di fiducia della famiglia Nirta, è stato condannato a 5 anni e 4 mesi (la stessa pena inflitta a Roberto Alex Di Donato); Marco Fabrizio Di Donato, cugino di Nirta, è ritenuto capo del sodalizio criminale in Valle d’Aosta e per lui la Cassazione ha confermato la pena di nove anni per associazione mafiosa, anche se la sentenza potrebbe essere oggetto di revisione dopo i due annullamenti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello torinese, rispetto ai capi d’accusa di estorsione e voto di scambio politico-mafioso.

Per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato, la Cassazione ha sancito definitivamente l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta in Val d'Aosta

Diversa è stata la sentenza per gli altri cinque imputati del processo Geenna che hanno scelto il rito ordinario. La Cassazione ha stabilito che deve esserci un nuovo processo di appello per quattro delle cinque condanne di secondo grado: sono quelle a carico di Antonio Raso, Nicola Prettico e Alessandro Giachino, ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, oltre all’ex assessore comunale di Saint Pierre, Monica Carcea, che era stata condannata per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’ex consigliere regionale e già consigliere comunale Marco Sorbara, invece, è stato assolto in via definitiva dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa “perché il fatto non sussiste”. La Cassazione ha sovvertito la sentenza di secondo grado che aveva evidenziato un rapporto di amicizia tra Marco Sorbara e Antonio Raso (nonostante il primo fosse “consapevole dell’appartenenza” del secondo alla ‘ndrangheta). Per i giudici della Suprema corte “le condotte di Sorbara, per essere penalmente rilevanti, devono dimostrarsi utili all’associazione, optando quindi per la loro irrilevanza e mettendo in rilievo come le condotte di Raso non siano state affatto utili per Sorbara”. Su questo punto, il ricorso del procuratore generale è stato sancito come “inammissibile” dalla Cassazione e Sorbara è stato assolto in via definitiva.

Non c'è metodo mafioso

L’annullamento con rinvio delle altre quatte condanne del rito ordinario, invece, è figlio di alcune considerazioni della quinta sezione penale della Cassazione, che ritiene ci sia “illogicità” nelle motivazioni di secondo grado. Il primo aspetto riguarda la presenza di una locale aostana non di ridotte dimensioni e che vantava un numero “consistente di fiancheggiatori”, come si legge nelle motivazioni dell’appello. Secondo i giudici supremi, però, quel numero consistente non è mai aumentato, quindi di fatto la locale (o presunta tale) non si è mai sviluppata.

La Cassazione, anuullando con rinvio le condanne del rito ordinario, ha spiegato che la locale (o presunta tale) non si è mai sviluppata

Mancando quindi una struttura – e questo, ricordiamo, va in contrapposizione con quanto stabilito invece dalla seconda sezione penale della Cassazione sempre per il processo Geenna – per la Cassazione non è possibile provare la connessione criminale tra la Val d’Aosta e la Calabria. Di conseguenza, “il collegamento senza struttura non vale a provare alcunché in tema di esistenza dell’associazione di ‘ndrangheta”, come si legge nella sentenza depositata il 4 maggio 2023. 

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Secondo la Cassazione, inoltre, “dai fatti analizzati” che trovano riscontro nella sentenza d’Appello, “non emerge in alcun modo l’esistenza di un metodo mafioso, percepito o almeno percepibile da un numero indeterminato di soggetti, ma solo, e al più, una sorta di totalmente inefficace timore reverenziale tra soggetti che ben si conoscono, in ragione di rapporti di amicizia o di frequentazione”. Dunque mancano intimidazione e assoggettamento, tra gli elementi fondanti di un’organizzazione criminale così come stabilità dall’articolo 416 bis del codice penale.

La Cassazione ritiene, infine, che non è possibile affermare che la locale di Aosta sia una costola della famiglia Nirta in virtù del legame di parentela tra i Di Donato e i Nirta, come invece affermato dalla sentenza di secondo grado. Quest’ultima, per la Suprema Corte, non riesce a evidenziare gli eventuali collegamenti tra la casa madre calabrese e la locale aostana. Cellula per la quale, come si legge tra le pagine delle motivazioni della quinta sezione penale della Cassazione, nemmeno l’sppello è riuscito a puntualizzare dati relativi alla sua “coeva esistenza, strutturazione, organigramma e operatività”. 

Troppi elementi che fanno scricchiolare la sentenza di secondo grado e che hanno quindi portato alla decisione di annullamento e rinvio a giudizio. Quattro dei cinque imputati – Marco Sorbara, ai domiciliari, è stato assolto in via definitiva – sono stati scarcerati a fine marzo e ora attendono un nuovo processo, il Geenna bis.

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