11 ottobre 2023
La corte d’appello di Reggio Calabria ribalta la sentenza del tribunale di Locri nel processo Xenia, che vedeva come principale imputato l'ex sindaco di Riace Domenico Lucano. La nuova condanna è di un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa in relazione solo a un presunto falso. Cade del tutto il castello accusatorio abbracciato dalla sentenza di primo grado che era valsa a Lucano una condanna a 13 anni e due mesi. Tutti assolti gli altri imputati ad eccezione di Maria Taverniti, condannata a un anno.
"Una sentenza meravigliosa", dice all’uscita dall’aula Peppino Lavorato, volto storico del Partito comunista negli anni delle lotte bracciantili contro la ‘ndrangheta. Ha seguito tutte le udienze a differenza dello stesso Lucano, che ha preferito non presenziare nelle aule di Piazza Castello. Subito dopo la lettura del dispositivo, l’aula, composta per la maggior parte dai sostenitori dell’ex sindaco del “borgo dell’accoglienza”, è esplosa in un boato.
In attesa delle motivazioni del provvedimento, che scrive una nuova e per certi versi inattesa pagina di questa vicenda giudiziaria, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, accolti da un lungo applauso all’uscita, non nascondono l’emozione, che nell’ex sindaco di Milano traspare dalla lucidità degli occhi. "Oggi è una bella pagina per la giustizia italiana", ha detto l’avvocato Giuliano Pisapia. "L’importante è che sia stato riconosciuto che Mimmo Lucano abbia fatto tutto per il bene dell’umanità e di chi ha bisogno e nulla per sé stesso". "Gli errori nel giudizio di primo grado erano evidenti", secondo i legali. "L’associazione a delinquere, a Riace, non è caduta – incalza Daqua – non è mai esistita".
L’operazione Xenia, condotta dalla Guardia di finanza e coordinata dalla procura di Locri, era scattata all’alba del 2 ottobre 2018 e aveva coinvolto in tutto 29 persone, indagate a vario titolo per associazione a delinquere, truffa, abuso d’ufficio e una serie di reati relativi alla gestione dei progetti di accoglienza (Sprar, Cas ed Msna), contestati a seguito degli accertamenti operati dai militari tra il 2014 e il 2017 nel paesino della Locride un tempo noto come il “borgo dell’accoglienza”.
Principale imputato è l’allora sindaco Mimmo Lucano, dapprima destinatario della misura cautelare degli arresti domiciliari e, in seguito, del divieto di dimora sul territorio di Riace che durerà fino all’inizio del processo davanti ai giudici di Locri l’11 giugno 2019. Già nella fase cautelare, la struttura accusatoria viene ridimensionata. Le misure convalidate dal gip Domenico Di Croce si basano su due ipotesi di reato: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con riferimento alla presunta organizzazione di "matrimoni di comodo" tra cittadini riacesi e migranti arrivati nel borgo, e irregolarità nell’affidamento (diretto) del servizio di raccolta rifiuti alle cooperative L’Aquilone ed Ecoriace. Dopo la pronuncia del Riesame, che alleggerirà la misura cautelare nei confronti dell’ex sindaco, arriva anche la censura della Cassazione. A Riace – scrive il giudice di legittimità – Lucano "non ha compiuto alcuna irregolarità nell’assegnazione degli appalti", né ci sono elementi per dire che abbia favorito presunti "matrimoni di comodo".
Le pronunce non bastano però a impedire il rinvio a giudizio. Assieme a quello di Lucano, difeso dagli avvocati Andrea Daqua e Antonio Mazzone (sostituito dopo la morte dall’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia), spiccano i nomi della sua ex compagna Tesfahun Lemlem, difesa dall’avvocato e presidente di Asgi, Lorenzo Trucco, e di una serie di persone legate al sistema accoglienza tra cui Fernando Antonio Capone, presidente dell’associazione Città Futura, individuata per gestire i progetti un tempo attivi nel borgo. Il dibattimento dura 842 giorni. Il 30 settembre 2021, arriva la sentenza del tribunale di Locri. Lucano viene condannato (insieme ad altre 15 persone) a 13 anni e due mesi, quasi il doppio rispetto ai 7 anni e 11 mesi chiesti dalla pubblica accusa di Locri, all’epoca guidata da Luigi D’Alessio.
Riace: le motivazioni della condanna in primo grado
Nelle motivazioni del provvedimento firmato dal presidente del collegio giudicante, Fulvio Accurso, Lucano viene descritto come il "dominus indiscusso di un sodalizio" che avrebbe "strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio dell’immagine politica". La figura descritta dai giudici di Locri è quella di un politico che, "dopo aver realizzato l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel così detto 'modello Riace'" avrebbe utilizzato per scopi privati larga parte degli importi destinati dallo Stato al sistema dell’accoglienza.
Tuttavia, non essendo le prove raccolte sufficienti a dimostrare un illecito profitto incassato dall’allora sindaco – come confermato in udienza anche dal tenente colonnello della Guardia di finanza, Nicola Sportelli, interrogato come teste dell’accusa – i giudici decidono di rispolverare il così detto “movente politico” descritto nella requisitoria dell’accusa, definendo Lucano come un soggetto divorato "dal demone ossessivo della ricerca di una sempre maggiore visibilità", che lo avrebbe portato a fondare un sistema clientelare a spese dei migranti.
All’uscita dall’aula era visibile lo scoramento di Lucano, che si era lasciato andare ad un "è finito tutto", che si tradurrà nella progressiva cristallizzazione dello smantellamento del sistema accoglienza divenuto ispirazione per molti nel corso degli anni. La sentenza viene descritta come "abnorme" e non passa molto tempo prima che gli avvocati difensori decidano di impugnare il provvedimento. Il processo d’appello parte a Reggio Calabria il 25 maggio 2022.
La procura generale la volontà di tenere fuori dall’aula la politica e il clamore mediatico che potrebbero accompagnare questa nuovo capitolo della storia giudiziaria dell’ex sindaco
L’umore che circonda il palazzo di Piazza Castello durante le udienze non è sicuramente quello che aveva accompagnato le udienze di primo grado. La procura generale, dalla fine del 2021 guidata da Gerardo Dominjianni (già procuratore aggiunto di Reggio Calabria) sottolinea fin da subito la volontà di tenere fuori dall’aula la politica e il clamore mediatico che potrebbero accompagnare questa nuovo capitolo della storia giudiziaria dell’ex sindaco. "So di non aver paura di nessuna cosa – dirà Lucano intervistato dai giornalisti – tanto tutto passa in fretta. L’unica cosa che mi farebbe troppo male è quella di subire una delegittimazione sul piano morale".
Per i suoi avvocati, la sentenza di primo grado risulterebbe "macchiata da errori macroscopici", anche solo considerato l’utilizzo di alcune intercettazioni in violazione della sentenza Cavallo delle Sezioni Unite della Cassazione, una sentenza che limita la possibilità di usare nel corso di un processo delle captazioni fatte per altre indagini. Oltre agli errori contestati dagli avvocati in punta di diritto, si evidenzia anche il carattere politico dell’inchiesta e del procedimento, in un periodo storico dove il modello Riace poteva apparire scomodo rispetto ai piani della maggioranza politica. Aspetto che parrebbe cogliersi da una intercettazione "silenziata" di cui, proprio nel processo d’appello, a luglio 2022, gli avvocati Daqua e Pisapia, chiedono l’acquisizione. La voce nel nastro è quella di Salvatore Del Giglio, inviato il 20 luglio 2017 dalla prefettura di Reggio Calabria a ispezionare i progetti attivi a Riace. "L'amministrazione dello Stato – si ascolta dalla voce dell’ispettore – non vuole il racconto della realtà di Riace...oggi la mission dello Stato, lo Stato è composto...come qua da voi. C'è l'opposizione". E proprio la sua relazione, sarà utilizzata dall’accusa come prova contro l’allora sindaco.
All’esito della requisitoria, il 26 ottobre 2022, la procura generale di Reggio Calabria confermando la struttura della condanna di primo grado, ha chiesto alla corte d’appello una nuova condanna a 10 anni e 5 mesi di reclusione nei confronti dell’ex sindaco. Nel frattempo, il presidente Giancarlo Bianchi è stato sostituito dalla giudice Elisabetta Palumbo con conseguente dilatazione dei tempi del processo.
Mimmo Lucano condannato in primo grado: cosa resta del sogno Riace
"Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture"Mimmo Lucano - Lettera ai giudici
Il 20 settembre 2023, in un’aula occupata da “pochi intimi”, fatta eccezione per gli addetti ai lavori, i difensori di Lucano pronunciano la loro arringa finale. "Unire l’accoglienza all’integrazione era un obiettivo derivato dalla nostra Costituzione", afferma l’avvocato Pisapia chiedendosi cosa sarebbe cambiato, nell’affrontare l’odierna crisi migratoria, se almeno in Italia ci fossero state "tante Riace". "Il mio compito – aggiunge – dopo aver letto e riletto gli atti processuali, è quello di cercare di convincere la corte di chi è Mimmo Lucano" contro il quale l’accusa e i giudici di primo grado avrebbero operato un "accanimento non terapeutico" dacché "quando la politica entra nelle aule giudiziarie la giustizia scappa inorridita dalla finestra". Pisapia legge una lettera scritta dall’ex sindaco – che non ha partecipato a nessuna delle udienze d’appello – per i giudici di Reggio Calabria.
"Ho vissuto anni di grande amarezza e di sfiducia nella giustizia – nelle parole di Lucano, che in calce porge l’invito ai giudici a visitare la realtà di Riace – non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta sull’esperienza di ripopolamento del borgo vecchio di Riace aperto all’accoglienza dei migranti. Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture".
Parole che in qualche modo si sono tradotte nel provvedimento dei giudici. In attesa di sapere se la procura generale impugnerà davanti alla Cassazione questa nuova sentenza, il “popolo di Lucano” si è subito diretto a Riace che torna ad accennare un timido sorriso dopo molto tempo.
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