14 febbraio 2024
Yohannes mette due cucchiai di zucchero nel thé caldo e si sfila le scarpe. “Sono etiope. Ho lasciato il mio Paese due anni fa. Ho vissuto in Libia, è stata molto dura. Ho deciso di attraversare il mare, era l’unica scelta che potevo prendere. Ho avuto paura ma siamo stati soccorsi e siamo sbarcati a Livorno – racconta a lavialibera –. Ora voglio andare in Francia”. Yohannes (nome di fantasia) si trova in un appartamento in zona Città Studi gestito da Rete Milano: l’associazione supporta le persone migranti “in transito” nel capoluogo lombardo che è uno snodo e un punto di passaggio per uomini, donne e famiglie con bambini che decidono di proseguire il proprio viaggio verso la Germania, la Francia o altri Paesi europei.
Si tratta in particolare di cittadini etiopi, eritrei o dell’Africa subsahariana provenienti dal Sud Italia, dove sono sbarcati; mentre afghani ma anche iraniani, siriani e pakistani arrivano in città dopo avere attraversato i Paesi della penisola balcanica. Per chi arriva nel capoluogo lombardo in modo autonomo, non c’è un circuito di accoglienza istituzionale dedicato. Così sono le associazioni, e le reti informali del territorio, ad aiutare chi è in movimento e che altrimenti dormirebbe in strada anche nei mesi invernali. Come Yohannes: arrivato nella stazione di Milano Centrale, ha trovato i volontari di Rete Milano che ogni notte intervengono in strada e che lo hanno portato in un appartamento dove è possibile dormire per massimo due notti, fare una doccia, avere un pasto caldo. A preparare la cena è Elan, mediatore culturale egiziano, che insieme a Esmaeili, mediatore culturale iraniano, si occupa di gestire la casa affidata a Rete Milano dall'Azienda lombarda edilizia residenziale (Aler) nell’ambito di un progetto di housing sociale. Sono disponibili cinque posti letto, un numero limitato che non riesce a rispondere a tutte le richieste.
Elan – giornalista e attivista per i diritti umani, aveva partecipato alla primavera araba e alle manifestazioni di piazza Tahrir nel 2011 – spiega alle persone accolte quali sono le regole dell’appartamento e soprattutto rassicura chi continua ad arrivare, come una coppia della Repubblica democratica del Congo. “Nel nostro Paese i diritti umani non sono rispettati. Mio marito è stato testimone in un processo ed è stato minacciato perché si è battuto per la verità. Sono entrati in casa nostra e hanno distrutto tutto. Mio marito è stato picchiato e io sono stata violentata”, racconta Denise (nome di fantasia). Sono arrivati a Milano dopo un viaggio durato più di un anno. Dalla Repubblica democratica del Congo sono stati portati in Turchia: poi hanno attraversato la Grecia, l’Albania, la Serbia e la Bosnia. “Abbiamo viaggiato a piedi. Abbiamo dormito nei boschi, in case abbandonate, in strada con il freddo e senza i vestiti adatti. Siamo stati per giorni senza mangiare e senza bere. Mio marito era malato, ferito a un piede, ma non abbiamo mai avuto la possibilità di farci curare – prosegue Denise –. Abbiamo attraversato la Croazia passando per le montagne. Una condizione disumana”.
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Fino al 30 settembre 2023, le associazioni potevano contare su una struttura messa a disposizione dal Comune situata in via San Marco, non lontana dalla stazione di Milano Centrale: lo spazio aveva 25 posti letto che potevano essere assegnati ai “transitanti” (solo se persone maggiorenni e se minori solo se accompagnati da un familiare adulto), oltre che a persone in condizioni di fragilità come i senza fissa dimora. Dopo la sua chiusura per ristrutturazione, nei mesi di ottobre e novembre dello scorso anno almeno 300 persone sono state accolte da Rete Milano, ma altrettante hanno dormito all’addiaccio, secondo la denuncia pubblica dell’associazione Naga, Cambio Passo e Mediterranea. Con il “Piano Freddo”, l’intervento con cui il Comune potenzia l’accoglienza per i senza fissa dimora, è stato aperto il mezzanino della stazione: un corridoio percorso per raggiungere la metropolitana che, nei mesi invernali, è utilizzato per ospitare chi dorme in strada.
Dal Comune commentano affermando che uno dei punti è che le persone “transitanti” non vogliono essere registrate per non essere costrette a presentare la domanda di asilo in Italia
“Il mezzanino potrebbe essere una soluzione, ma oggi non si ha accesso alla struttura in modo autonomo. Secondo quanto previsto dalle procedure del ‘Piano Freddo’, è necessario recarsi presso il Centro Aiuto in via Sammartini che assegna un posto nella struttura. Ma prima di riceverlo, bisogna fare un test per la tubercolosi e una visita medica. Le persone in ‘transito’ non hanno la possibilità di seguire questo iter. Inoltre, spesso arrivano a Milano nel tardo pomeriggio o sera quando gli uffici sono già chiusi. La situazione è grave anche per i minori stranieri non accompagnati – spiega Fausta Omodeo, presidente di Rete Milano –. “Negli ultimi incontri con il Comune, c’è stato detto che ora le unità di strada potranno portare al mezzanino anche persone in situazioni di emergenza. Abbiamo chiesto che questa possibilità sia data alle associazioni come la nostra”.
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Dal Comune commentano affermando che uno dei punti è che le persone “transitanti” non vogliono essere registrate per non essere costrette a presentare la domanda di asilo in Italia, secondo quanto previsto dal Regolamento di Dublino. Possono essere però aiutate in situazioni emergenziali con procedure come quelle del “Piano Freddo”: “Da metà marzo, nella struttura in via San Marco torneremo ad assegnare posti per i ‘transitanti’. Ma il sistema dell’accoglienza non può essere lasciato tutto sulle spalle dei Comuni”, commenta l’assessore al Welfare e Salute Lamberto Bertolè.
“Pensiamo sia necessaria un’accoglienza più strutturata”, aggiunge Omodeo mentre piega una giacca nello spazio guardaroba gestito da Rete Milano, situato nel quartiere Ortica, dove le persone in transito possono prendere vestiti, scarpe, fare una doccia e ricevere piccole cure infermieristiche. Come Farid (nome di fantasia) che sceglie un paio di scarponi da uno scaffale. Quelli che indossava, utilizzati nei tre mesi di viaggio lungo la rotta balcanica, sono rotti. “Sono partito dall’Iran. È stata una decisione difficile lasciare il mio Paese. Voglio andare in Germania, dove vive mia madre, e ricominciare”, racconta. Dall’Iran, è arrivato in Turchia: da qui la Grecia, l’Albania, il Montenegro, la Bosnia e la Croazia. Poi, la Slovenia e l’Italia. “Il viaggio è stato molto difficile. Ho dormito nei boschi, sono stato giorni senza potere mangiare. In Slovenia sono stato picchiato dalla polizia. Mi hanno rubato il cellulare e i soldi. Ho sofferto molto”.
"Abbiamo incontrato persone in condizioni di estrema fragilità, anche famiglie con bambini piccoli e minori soli che avrebbero dormito in strada se non ci fosse questa informale rete di accoglienza”Maria Bandiera - Volontaria di Naga
La precarietà di questa condizione rischia di creare ulteriori marginalità, aumentando i rischi per la salute mentale e fisica. I volontari del Naga presidiano la stazione una notte a settimana con un’unità mobile dove si trovano due medici volontari, oltre a chi si occupa dell’accoglienza offrendo bevande calde e coperte. “Ci fermiamo in un punto della piazza che è vicino ad altre realtà, come gli attivisti del centro sociale Lambretta e Mutuo Soccorso che distribuiscono pasti caldi – spiega Maria Bandeira, volontaria del Naga –. Vediamo tra le dieci e venti persone a notte nei periodi di maggiore affluenza. Chi arriva dopo avere percorso la rotta balcanica, ha spesso ferite ai piedi. Quando incontriamo una persona che vuole proseguire il viaggio, la mettiamo in contatto con chi può ospitarla. Abbiamo incontrato persone in condizioni di estrema fragilità, anche famiglie con bambini piccoli e minori soli che avrebbero dormito in strada se non ci fosse questa informale rete di accoglienza”.
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Nel quartiere residenziale di Porta Venezia a intervenire è l’associazione di promozione sociale Cambio Passo; nata nel 2013 dall’esperienza di un gruppo di cittadini milanesi di origine eritrea ed etiope, si occupa di tutela dei diritti di rifugiati e richiedenti asilo provenienti in particolare dal Corno d’Africa. “Nel quartiere da anni assistiamo a un flusso costante di persone in movimento, flusso che raggiunge il suo picco nel periodo che va da maggio a novembre. Ogni giorno arrivano almeno tre persone: nonostante questa evidenza, non esistono oggi strutture per accoglierle”, spiega Rahel Sereke, socia di Cambio Passo, attivista antirazzista e consigliera del Municipio 3 di Milano.
L’associazione, formata da 15 volontari, interviene nei casi di estrema fragilità, come persone anziane e donne con bambini per le quali prova a trovare un alloggio temporaneo anche grazie al supporto della comunità etiope ed eritrea storicamente radicata nel quartiere. Distribuisce inoltre beni di prima necessità ottenuti da Croce Rossa grazie a un finanziamento dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead): i materiali sono sia in casa dei volontari dell'associazione sia in alcuni punti strategici, come i negozi dei commercianti che si occupano anche di segnalare casi di vulnerabilità. “L’accoglienza non può essere demandata alle associazioni, scaricando le proprie responsabilità. Come Cambio Passo, abbiamo chiesto al Comune un coordinamento tra più città attraverso l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e nuove strutture, servizi di accompagnamento, operatori preparati. Ci sono spazi pubblici chiusi che potrebbero essere riutilizzati, così come fatto in passato – continua Sereke –. Anche da questo dipende il modello di città in cui vogliamo vivere”.
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