Manifestazione di protesta per la chiusura dei Cpr dopo il suicidio di Moussa Balde(Facebook Mai più lager - No ai Cpr)
Manifestazione di protesta per la chiusura dei Cpr dopo il suicidio di Moussa Balde(Facebook Mai più lager - No ai Cpr)

Le multinazionali Ue fanno affari con i Cpr sulla pelle dei migranti: in tre anni, bandi di gara per 56 milioni di euro

Negli ultimi tre anni, le prefetture hanno bandito appalti per 56 milioni di euro per la gestione dei Centri per il rimpatrio dei migranti: 12 milioni in più rispetto al triennio precedente. A beneficiarne aziende private, che fanno profitti a detrimento dei diritti. Il nuovo rapporto Cild

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Aggiornato il giorno 8 giugno 2023

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C'è la multinazionale dei Centri per il rimpatrio dei migranti in Europa, ma anche aziende che si occupano di tutt'altro e non hanno voluto lasciarsi sfuggire l'affare, come Gepsa, parte di Engie: il colosso dell'energia rinnovabile francese che ha una partecipazione anche nell'impresa pubblica italiana Acea. E poi cooperative finite al centro di inchieste giudiziarie e giornalistiche, che hanno cambiato nome per potersi aggiudicare nuovi appalti.

Il costo dei Cpr: 44 milioni di euro in tre anni

La gestione dei Cpr in Italia

Sono tante le realtà imprenditoriali a cui è affidata la gestione dei Cpr in Italia. Realtà che hanno un passato diverso, ma un presente caratterizzato da un unico comun denominatore: fare soldi sulla pelle dei diritti dei migranti. Lo mette in evidenza un nuovo rapporto realizzato dalla Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) dal titolo L'affare Cpr. Negli ultimi tre anni, le prefetture hanno bandito appalti per 56 milioni di euro, 12 milioni in più rispetto al triennio precedente. Un numero che mostra come queste realtà siano molto costose per le casse pubbliche, oltre che inefficienti: dal 2013, la media dei rimpatri effettuati ogni anno non supera il 50 per cento. Due dati che smentiscono le dichiarazioni di Matteo Salvini che ha parlato di strutture "assolutamente utili", promuovendone l'apertura in tutte le regioni del nostro Paese. 

I numeri del business. Fonte: L'affare Cpr, rapporto Cild
I numeri del business. Fonte: L'affare Cpr, rapporto Cild

"Cifre che fanno della detenzione amministrativa una filiera molto remunerativa che, non a caso, ha attratto negli ultimi anni gli interessi economici di grandi multinazionali e cooperative", si legge nel rapporto. "La privatizzazione della gestione è, infatti, uno degli aspetti più controversi di questa forma di detenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattere di eccezionalità: il consentire che su quella privazione della libertà personale qualcuno possa trarne profitto".

Dalla gestione pubblica a quella privata: un sistema che non rispetta i diritti

"Nessuno dovrebbe essere privato della propria libertà personale solo per aver violato una norma amministrativa riguardante l’ingresso e il soggiorno nel territorio di uno Stato" Autori e autrici del rapporto Cild: L'affare Cpr

I Centri per il rimpatrio dei migranti sono stati istituiti nel 1998, quando il Testo unico sull'immigrazione voluto da Livia Turco e Giorgio Napolitano ha introdotto il trattenimento delle persone in attesa di espulsione. Si tratta di una detenzione amministrativa, cioè che viene applicata pur senza aver commesso alcun reato. All'inizio la gestione delle strutture è stata affidata alla Croce Rossa italiana (allora un ente pubblico, trasformato in ente di diritto privato nel 2012). Le storture sono state evidenti sin da subito: già nel 2007, un rapporto di una commissione ad hoc istituita dal ministero dell'Interno ha denunciato molte criticità nelle strutture come la detenzione di migranti molto vulnerabili, le condizioni igienico-sanitarie non soddisfacenti, e l'assistenza sanitaria inadeguata. Una prova che, per le autrici e gli autori del rapporto Cild, il sistema della detenzione amministrativa è "strutturalmente non rispettoso dei diritti delle persone trattenute, anche quando i gestori sono enti pubblici", come all'epoca era la Croce Rossa.

La morte di Moussa Balde dimostra che i Centri per il rimpatrio dei migranti vanno chiusi

La situazione non è migliorata con l'inizio della stagione delle cooperative che, a partire dal 2010, hanno pian piano preso il posto della Croce Rossa, partecipando ai bandi d'appalto con offerte economiche più vantaggiose e, in certi casi, anche anomale: alcune società si sono aggiudicate gli appalti, poi annullati dal giudice amministrativo, indicando persino un costo orario del personale irrispettoso dei minimi contrattuali. È in questa fase che i problemi dei Cpr si acuiscono: vengono avviate le prime inchieste legate alla mala-gestione e le proteste dei detenuti determinano una progressiva dismissione delle strutture, rese inagibili. 

Nel 2014 comincia l'era delle multinazionali che riescono a farsi spazio grazie al lobbismo e a importanti ribassi sui prezzi. Michael Flynn, direttore esecutivo dell'organizzazione no-profit Global detention project, spiega: “C'è sempre da preoccuparsi se uno Stato decide di coinvolgere un’organizzazione a scopo dilucro nella gestione di strutture quali i Centri di detenzione per migranti (...). La gestione privata di questi luoghi privilegia per forza di cose i vantaggi economici delle aziende, che pertanto lucreranno sul non rispetto dei diritti dei detenuti e del personale che impiegano. Si tratta di uno scenario inevitabile, perché ha a che vedere con la natura stessa del fare impresa”.

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Gepsa e Ors: i due colossi del Cpr

Ad avviare la fase delle multinazionali è Gepsa che, tra il 2014 e il 2015, riesce a ottenere il monopolio dei Cpr esistenti all'epoca in Italia. Gepsa, però, non è un'impresa nata dal nulla: ha come società madre Engie Italia, a sua volta parte di Engie Francia, colosso dell'energia che nel 2020 ha dichiarato un fatturato di quasi 60 miliardi di euro. In Italia, Engie si occupa di energia e mobilità sostenibile: nel novembre del 2020 ha siglato un memorandum con il gruppo automobilistico Fca e a maggio 2023, grazie a una partneship con Amazon, ha inagurato il più grande parco agro-fotovoltaico d’Italia a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani (Sicilia): l’80 per cento dell’energia prodotta andrà ad alimentare l’attività di Amazon Italia. 

Gepsa, invece, si è specializzata in gestione e logistica di carceri e strutture detentive in Francia, per poi allargare il proprio giro d'affari anche in Italia. Uno dei Cpr che Gepsa ha gestito è quello di Torino, finito più volte sotto accusa per irregolarità. A partire dalle stanze di pernottamento, che ospitavano sette persone in circa 24 metri quadri. Al loro interno mancavano sia i pulsanti per accendere e spegnere le luci sia i campanelli di allarme, con il risultato che in caso di malore, i trattenuti non potevano chiedere soccorso in modo tempestivo. I bagni non erano dotati di porte e chi dormiva vicino ai servizi sanitari si trovava con la faccia di fronte al bagno turco. Sempre durante la gestione Gepsa, non erano previsti dei locali separati per i richiedenti asilo, come richiesto dal decreto legge 142 del 2015 e dallo stesso comitato europeo per la prevenzione della tortura. E ancora: una strutturale carenza di personale e un'eccessiva militarizzazione del Cpr. Molte anche le denunce dei detenuti che lamentavano cibo avariato e imbottito di calmanti, celle sovraffollate, e somministrazione massiccia di psicofarmaci.

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Una prassi consolidata e arbitraria – verificata anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale – erano le visite di idonietà al trattenimento effettuate non dal medico del sistema sanitario nazionale, come richiesto dalla normativa, ma dal personale sanitario convenzionato con l'ente gestore. Situazione che – secondo gli autori e le autrici del rapporto – non rende casuali tragici episodi avvenuti nel Cpr di Torino, come la morte di Moussa Balde, un 23enne del Gambia che si è tolto la vita nel cosiddetto ospedaletto: una sorte di casermone in cui era stato rinchiuso. L'inchiesta si è conclusa con il rinvio a giudizio di sei persone accusate, a vario titolo, di omicidio colposo e sequestro di persona. I pubblici ministeri parlano di detenzioni e restrizioni illegittime. 

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L'altra grande multinazionale, che si è affermata negli ultimi anni, aggiudicandosi un importante appalto persino prima di risultare attiva in Italia, è Ors: sede a Zurigo, la società è da oltre trent'anni leader nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa dei migranti in Europa. Ors Italia è iscritta nel nostro registro delle imprese dal luglio 2018, ma avvia la propria attività solo nel gennaio del 2020. Ad agosto 2018 l'impresa definisce l'Italia "un primo e importante passo per la nostra espansione nel Mediterraneo". Secondo la ricostruzione del report di Cild, ad aiutarla è l'attività di lobbying svolto da da Telos analisi e strategie, uno “studio professionale che aiuta i propri committenti a comprendere l’ambiente nel quale si posizionano ed operano e a interagire con tutte le Istituzioni e gli stakeholder in modo efficace”.

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L'avvio in Italia è definito "prodigioso": Ors riesce ad aggiudicarsi l' importante appalto del Cpr di Macomer quando risultava ancora inattiva, cioè nel dicembre 2019. Una condizione che, in teoria, dovrebbe precludere la possibilità di concorrere a una gara d'appalto pubblica, come sembra confermare il Tar del Friuli Venezia-Giulia che nell'ottobre del 2020 ha annullato l'aggiudicazione ottenuta da Ors di un centro di accoglienza in provincia di Trieste (Casa Malala) proprio per questo motivo. Il rapporto evidenzia come la multinazionale riesca a rosicchiare fette sempre più grandi del mercato italiano grazie a "vertiginose e paradossali offerte a ribasso: come quella che vorrebbe garantire 3 pasti al giorno a meno di 5 euro pro capite". Le ricadute sui diritti umani sono evidenti. Un esempio per tutti: l’ex garante di Roma, Gabriella Stramaccioni, nell’ottobre 2022 ha denunciato situazioni di detenzione lesive della dignità umana nel Cpr della Capitale gestito da Ors: locali fatiscenti, cibo immangiabile, ed episodi di autolesionismo.

Cooperative nel mirino di inchieste giornalistiche e giudiziarie

Anche le cooperative, non del tutto scomparse dalla gestione dei Cpr, presentano dei problemi. Un esempio significativo è Edeco, cooperativa sociale padovana che negli ultimi dieci anni ha spesso cambiato nome, è stata oggetto di inchieste giudiziarie e interrogazioni parlamentari. L'impresa è diventata nota al grande pubblico nel gennaio 2017, quando una richiedente asilo della Costa d’Avorio di 25 anni è morta per problemi di salute all'interno del Cprdi Cona, sotto il controllo di Edeco. Ma già nei mesi precedenti la struttura era stata al centro di più interrogazioni parlamentari per le condizioni di vita disumane e il grave sovraffollamento: nel dicembre 2016 erano presenti 1256 richiedenti asilo, divisi in tendoni che ospitavano fino a 500 persone, non c'era la possibilità di consumare i pasti seduti, e non era garantita un’assistenza sanitaria adeguata.

"Crediamo fortemente e promulghiamo l’idea che la detenzione amministrativa sia un sistema drammaticamente inumano e non rispettoso della dignità delle persone recluse" Autrici e autori del rapporto Cild

Il centro di Cona è al centro di un'inchiesta della procura di Venezia e vede imputati oltre i vertici della cooperativa, l'ex prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, per violazione di segreto di ufficio, e altri funzionari. Il processo risulta ancora in corso, ma nel frattempo Edeco ha deciso di dare una rinfrescata al proprio brand diventando Ekene Cooperativa sociale nel gennaio 2021.

"I Cpr vanno chiusi" 

"Crediamo fortemente e promulghiamo l’idea che la detenzione amministrativa sia un sistema drammaticamente inumano e non rispettoso della dignità delle persone recluse – concludono gli autori e le autrici del rapporto –. Nessuno dovrebbe essere privato della propria libertà personale solo per aver violato una norma amministrativa riguardante l’ingresso e il soggiorno nel territorio di uno Stato. Ciò ci porta anni luce lontani da quell’idea di mondo volto all’apertura delle frontiere e all’accesso al diritto alla libertà di movimento di tutte le persone. Questi rimangono per noi punti fermi, e crediamo che l’eventuale passaggio da una gestione privata dei Cpr a una gestione totalmente pubblica non cambierebbe lo stato delle cose e ci riporterebbe esattamente nel luogo da dove siamo partiti: in un buco nero". 

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