Imbarcazione abbordata durante l'operazione Poseidon di Frontex (CC BY-ND 2.0)
Imbarcazione abbordata durante l'operazione Poseidon di Frontex (CC BY-ND 2.0)

Nuovo reato del Governo sui presunti scafisti: i minorenni vittime due volte

Il nuovo reato introdotto dal governo Meloni prevede fino a 30 anni di carcere per i cosiddetti scafisti. Ma tra di loro ci sono spesso minorenni messi su un barcone dai genitori, usati dai veri scafisti durante il viaggio per portare l'acqua e tradurre le indicazioni ai naviganti o per pilotare la nave fino a raggiungere la costa. Ecco perché criminalizzarli non è una soluzione

Andrea Oleandri

Andrea OleandriResponsabile comunicazione di Antigone

31 marzo 2023

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Fino a 30 anni di carcere per gli scafisti che causano la morte di più di una persona. È quanto prevede il nuovo decreto immigrazione approvato durante il Consiglio dei Ministri tenutosi a Cutro lo scorso 9 marzo, pochi giorni dopo il naufragio che ha portato alla morte di almeno 89 persone migranti, fra cui 33 bambini e ragazzi. Il decreto prevede che chiunque "promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato" quando "il trasporto o l'ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante, è punito con la reclusione da 20 a 30 anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone".

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Chi sono gli scafisti minorenni

È difficile stimare quante siano ad oggi le persone arrestate in italia con l’accusa di essere degli scafisti, ma è possibile rintracciare il dato su quanti tra loro sono minorenni. Lo scorso 14 marzo i minori e giovani adulti (persone che hanno fino a 25 anni, ma hanno commesso il reato quando erano minorenni), presi in carico alla giustizia minorile per violazione dell’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) erano 15, tutti maschi. Di questi due risultavano reclusi in un Istituto Penale per Minorenni, 6 affidati ad una comunità, gli altri non sono in carico al sistema di esecuzione penale, in altri termini non sono sottoposti a misure restrittive. Rispetto alla provenienza, 5 di questi ragazzi sono egiziani, 2 vengono dal Gambia, 2 dal Pakistan e 2 dalla Tunisia, mentre gli altri sono originari di Senegal, Afghanistan, Libia e Sierra Leone. Per tutti, o quasi tutti, l’accusa è di essere degli scafisti. Ma sul loro ruolo effettivo nelle traversate dei migranti restano forti dubbi.

I mille volti dei presunti trafficanti di uomini

Vittime due volte

I ragazzi accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono il più delle volte adolescenti messi su un barcone dai genitori, usati dai veri scafisti durante il viaggio per portare l’acqua e tradurre le indicazioni ai naviganti o per pilotare la nave fino a raggiungere la costa

Durante le visite che gli osservatori di Antigone fanno nelle carceri del Paese, è emersa la perplessità di alcuni degli stessi operatori che li hanno in carico, convinti che questi ragazzi con i trafficanti di uomini c'entrino veramente poco. I ragazzi accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono il più delle volte adolescenti messi su un barcone dai genitori, usati dai veri scafisti durante il viaggio per portare l’acqua e tradurre le indicazioni ai naviganti o per pilotare la nave fino a raggiungere la costa. Una volta a terra, può capitare che questi ragazzi siano indicati dagli altri presenti sulla barca come persone che hanno avuto un ruolo durante la navigazione. Oppure, che le immagini scattate da navi militari italiane o dai dispositivi di Frontex li immortalino mentre sono al timone o in posizioni che lasciano pensare a un loro ruolo nella traversata. Quando vengono arrestati, questi ragazzi sono vittime due volte: la prima, delle organizzazioni che lucrano sulle spalle di chi migra, la seconda, della giustizia italiana.

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Gli ultimi della catena

Il fenomeno è stato denunciato da Arci Porco Rosso, Alarm Phone, Borderline Sicilia, Borderline Europe, nel report Dal mare al carcere. La criminalizzazione dei cosiddetti scafisti. Stando ai loro dati, nel 2022 almeno 264 persone sono state arrestate in seguito agli sbarchi sulle coste italiane con l’accusa di essere scafisti. Uomini, in alcuni casi, selezionati tra chi ha pagato per partire e coinvolte nelle attività di traversata durante il viaggio (anche sotto minaccia), in altri, con un ruolo comprimario di conducente di barca, ma senza alcun ruolo attivo nell’organizzazione del viaggio stesso. Insomma, l’ultima ruota del carro, quella più sacrificabile di una catena criminale ben più ampia e remunerativa.  

La storia di S.M., cosiddetto scafista

Secondo il testimone i veri scafisti sono scesi dall’imbarcazione tre giorni prima dell’abbordaggio, lasciando ai presenti l’indicazione di telefonare alle autorità italiane soltanto l’ultimo giorno di navigazione, per essere affiancati e portati a riva evitando manovre di attracco e ormeggio che nessuno tra loro sarebbe stato in grado di eseguire

Tra queste 264 persone c’è anche S.M. un ragazzo di 24 anni, curdo di origini turche, arrestato nella notte tra il 12 e 13 maggio quando, al largo delle coste crotonesi, è stata abbordata una barca a vela che trasportava 69 persone. Per via della posizione in cui era seduto con un altro arrestato, all’incirca suo coetaneo, è stato individuato come uno degli scafisti e, meno di un mese dopo, condannato in primo grado a 12 anni di carcere. Solo pochi giorni fa ha patteggiato una pena a 5 anni in appello. L’avvocato difensore, Arturo Salerni, ha spiegato che il ragazzo sarebbe partito dopo aver versato a un uomo la somma di 7.500 euro. Somma pagata anche dall’unico testimone, tra le persone presenti sulla barca, ascoltato durante il processo, il quale ha anche offerto ai giudici una descrizione della persona cui la somma è stata data, coincidente con quella riportata dal ragazzo imputato. Secondo il testimone i veri scafisti sono scesi dall’imbarcazione tre giorni prima dell’abbordaggio, lasciando ai presenti l’indicazione di telefonare alle autorità italiane soltanto l’ultimo giorno di navigazione, per essere affiancati e portati a riva evitando manovre di attracco e ormeggio che nessuno tra quelli sull’imbarcazione sarebbe stato in grado di eseguire. Il teste ha ribadito a più riprese di non aver mai detto, neppure sommariamente, che gli imputati guidavano la barca, ma di averli solo visti fumare sovraccoperta. Ha per di più spiegato che la polizia lo ha interrogato, la prima volta, con l’ausilio di una persona cinese che gli parlava in inglese, con grande rischio che le sue parole fossero equivocate. Il teste ha inoltre denunciato che alla richiesta di verificare cosa avessero verbalizzato, i poliziotti gli sarebbe stato risposto “non ti preoccupare non è niente che ti porterà problemi, vai tranquillo”. Una vicenda che ne ricorda altre, molto simili, raccolte nel report Dal mare al carcere.

Quando la solidarietà finisce a processo

Alla luce della situazione reale dei traffici e dei flussi migratori, il rischio contenuto nel nuovo reato introdotto dal Governo è proprio che si scateni una poco lucida caccia al colpevole.  Che anziché prevenire le partenze, le morti in mare e colpire i trafficanti di esseri umani, l’attenzione si concentri solo sulla ricerca di qualcuno da incolpare e condannare. Con il rischio che quel qualcuno sia anche innocente.

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