Una foto della manifestazione sulla spiaggia di Cutro. Credits: Libera
Una foto della manifestazione sulla spiaggia di Cutro. Credits: Libera

Migranti, il decreto Meloni creerà nuovi irregolari

Il decreto Meloni sull'immigrazione (decreto legge numero 20 del 10 marzo) si propone di prevenire e contrastare l'immigrazione illegale, ma di fatto creerà un nuovo esercito di irregolari, limitando la protezione speciale. Tutto quello che c'è da sapere

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Aggiornato il giorno 14 marzo 2023

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Vivono da anni in Italia, hanno un lavoro, una casa e dei figli che vanno a scuola, ma per effetto del nuovo decreto Meloni sui migranti (decreto legge numero 20 del 10 marzo) potrebbero non vedersi più riconosciuto il titolo di soggiorno per rimanere legalmente nel nostro Paese. È il paradosso di una legge che, in teoria, si propone di prevenire e contrastare l'immigrazione irregolare e prevede pene ancora più severe per i cosiddetti scafisti che, dice Maria Giulia Fava, operatrice legale dell'associazione Arci Porco Rosso, sono "diventati il capro espiatorio delle stragi in mare, quando le responsabilità vanno individuate nelle scelte politiche che hanno reso questi viaggi l'unico possibile canale di arrivo".

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In pratica, creerà un nuovo esercito di irregolari modificando la norma sulla protezione speciale: una forma di tutela che nel 2022 ha permesso a quasi 11mila persone di ottenere i documenti per rimanere nel nostro Paese. Il nuovo decreto punta "a limitarla, dando alle commissioni territoriali che valutano le domande l'indicazione di interpretare in maniera più restrittiva i criteri per il rilascio della protezione speciale", spiega Gianfranco Schiavone, dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi). 

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Protezione speciale: cos'è e come cambia con il decreto Meloni

La protezione speciale nel 2022 ha permesso a quasi 11mila persone di ottenere i documenti per rimanere nel nostro Paese

La protezione speciale è stata introdotta nel 2018 dall'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini. Fino a quel momento le forme di tutela che potevano essere riconosciute ai richiedenti asilo nel nostro Paese erano tre:

  • lo status di rifugiato, che ha una durata di cinque anni e viene concesso a chi ha abbandonato il proprio Paese perché è, o rischia, di essere perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a uno specifico gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche;
  • la protezione sussidiaria, anch'essa della durata di cinque anni, che garantisce una tutela a chi, tornando nel proprio Stato di origine, rischia la vita a causa di un conflitto armato, o di subire un grave danno come una condanna a morte, o la tortura;
  • infine, la protezione umanitaria che veniva rilasciata se c'erano seri motivi di carattere umanitario, come carestie e disastri ambientali, o motivi di salute. Il permesso di soggiorno legato alla protezione umanitaria aveva due anni di validità.

Non esistono "falsi profughi"

Quest'ultima forma di protezione, però, è stata cancellata dal primo decreto Salvini e sostituita dalla protezione speciale che, nella sua prima formulazione, prevedeva criteri molto stringenti. È stata Luciana Lamorgese, nel 2020, ad allargarne di nuovo le maglie per tutelare il "diritto di non sradicamento". La norma prevedeva che si tenesse conto "della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese". Questo fino all'entrata in vigore del decreto Meloni che ha stralciato gli ultimi due capoversi del comma 1.1. dell'articolo 19 del Testo unico sull'immigrazione, in cui erano previsti con precisione i requisiti per il riconoscimento della protezione speciale per motivi legati al rispetto "della vita privata e familiare".

Eliminarli, prosegue Schiavone, è un "chiaro segnale": "Lo scopo del governo è restringere il più possibile i criteri di riconoscimento della protezione speciale in modo da renderla una concessione residuale ed episodica. Il risultato immediato sarà quello di aumentare i contenziosi giudiziari, cioè il numero di persone che farà ricorso contro le decisioni delle commissioni territoriali, ma non tutti avranno le risorse economiche per farlo e saranno costretti all'illegalità". 

"Lo scopo del governo è restringere il più possibile i criteri di riconoscimento della protezione speciale in modo da renderne la concessione residuale ed episodica" Gianfranco Schiavone - Asgi

I dati dell’ultimo rapporto del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) riportano che nel 2022 sono state esaminate in Italia 52.625 richieste di protezione internazionale e i rifiuti sono stati il 53 per cento (27.385). Ha ricevuto la protezione speciale il 21 per cento dei richiedenti (10.865), lo status di rifugiato il 12 per cento (6.161), la protezione sussidiaria il 13 per cento (6.770). Le domande accolte per protezione speciale sono salite del 5 per cento rispetto al 2021: numeri che hanno portato la premier Giorgia Meloni ad affermare che questa "forma di protezione si è allargata a dismisura e il nostro obiettivo è abolirla".

"Non può essere eliminata né ristretta al punto da poter essere concessa solo in casi rari e gravi", ribatte Schiavone, aggiungendo che "la nostra costituzione considera il diritto d'asilo fondamentale: non può essere ridotto a due sole forme di tutela ma prevede che l'asilo venga riconosciuto in ipotesi molto più ampie, come quanto tutelato dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L'articolo stabilisce che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. In questi anni, la protezione speciale ha permesso di dare stabilità a persone che sono da tempo radicate in Italia e contribuiscono alla vita produttiva del nostro Paese. Limitarla è un grave passo indietro dal punto di vista culturale, frutto di una violenza ideologica".

Grazie alle perplessità sollevate dal Quirinale si è almeno evitato che i migranti in attesa dell'esito della richiesta potessero essere espulsi da un giorno all'altro: chi ha presentato domanda prima dell'entrata in vigore del decreto potrà beneficiare delle regole precedenti, mentre i permessi di soggiorno rilasciati per protezione speciale potranno essere rinnovati solo un'altra volta, per un anno. 

Strage di Cutro: scafisti, capro espiatorio

Un altro punto critico del decreto riguarda l'aumento delle pene, già severe, previste per i cosiddetti scafisti. Per chiunque promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato "o compie altri atti diretti a provocarne illegalmente il loro ingresso" il nuovo decreto stabilisce che la pena va dai due ai sei anni di carcere, e non più da uno a cinque come previsto in precedenza. Gli anni aumentano (da sei a 16) se il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina riguarda cinque o più persone, ha esposto i migranti a pericolo di vita, o li ha sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, se gli autori avevano a disposizione delle armi, hanno agito in un gruppo composto da più di tre persone utilizzando servizi di trasporto internazionali o documenti contraffatti. Quando dal fatto deriva, come conseguenza non voluta, la morte di più persone è prevista la reclusione da 20 a 30 anni.

Tutti veri profughi: il nostro dossier sulle migrazioni

Pene che Fava definisce sproporzionate e che, a suo avviso, rispondono a un preciso obiettivo politico: "Il governo vuole far passare il messaggio che i responsabili delle morti in mare siano gli scafisti, ma non è così". In primo luogo, le motivazioni che spingono le persone a mettersi alla guida di una barca di migranti diretta verso le nostre coste possono essere le più diverse: spesso, sono anche loro dei migranti che accettano di assumersi questa responsabilità per poter proseguire il viaggio, e rischiano la morte al pari degli altri. A gennaio del 2023 Arci Porco Rosso e Borderline Europe, un'altra organizzazione impegnata nella tutela dei diritti, hanno pubblicato un rapporto in cui sostengono che nel 2022 le persone arrestate con l'accusa di essere scafisti sono state almeno 264 e "hanno poco o nulla a che fare con organizzazioni e gruppi violenti che le persone migranti si trovano ad affrontare durante il viaggio". 

"Sono solo l'ultimo anello della catena", dice Fava. Qualche esempio: uno dei presunti scafisti dell'imbarcazione affondata al largo di Cutro, causando la morte di almeno 79 persone, sarebbe morto nel naufragio. Un altro caso significativo – riportato da Il Manifesto – è quello di Ahmad Jawid Mosa Zada, procuratore afghano fuggito dai talebani e arrivato in Italia a maggio 2021 su un barcone carico di 230 persone. È stato accusato da tre passeggeri di aver guidato il mezzo ed è finito in prigione a Catanzaro. Ha negato le accuse, però è ancora in attesa di processo.

Ma anche chi accetta di fare lo scafista per un ritorno economico "non può essere considerato responsabile né delle morti in mare né dei viaggi – continua l'operatrice legale –. Il punto è che si tratta dell'unico modo per entrare nel nostro Paese. Le scelte politiche dovrebbero andare nella direzione di costruire reti di soccorso e creare canali di ingresso legali. Tutto il resto è solo propaganda".

L'inganno dei decreti flussi

Nulla cambia, invece, sul versante dei canali di ingresso regolari in Italia. Il governo Meloni punta sui cosiddetti decreti flussi, che ogni anno stabiliscono le quote massime di stranieri extra Ue da ammettere. In pratica, viene quantificata la manodopera che serve, e in quali settori, e i migranti che arrivano devono avere un contratto di lavoro in tasca. "Esistono da anni", precisa Schiavone. "La vera innovazione sarebbe permettere di entrare nel nostro Paese per cercare lavoro". 

"Le quote di ingresso in questi anni non hanno funzionato. In pochissimi sono disposti a chiamare una persona loro sconosciuta, che vive all’estero e le cui capacità lavorative non hanno la possibilità di sperimentare" Magistratura democratica

Sul tema è intervenuta anche l'associazione di magistrati Magistratura democratica che sul proprio sito scrive: "Le quote di ingresso in questi anni non hanno funzionato, non solo perché stabilite in misura infima rispetto alle reali esigenze e perché recanti una procedura di attivazione particolarmente complessa (nonostante le semplificazioni introdotte dall’articolo 2 del decreto-legge n. 20 del 2023) soprattutto da parte di piccoli imprenditori o privati, ma soprattutto perché in pochissimi sono disposti a chiamare una persona loro sconosciuta, che vive all’estero e le cui capacità lavorative non hanno la possibilità di sperimentare". Inoltre, – conclude l'associazione – "storia e realtà hanno dimostrato che i flussi migratori non sono arrestabili, finché non cessano le ragioni politiche ed economiche che spingono le persone a lasciare gli Stati di origine per cercare altrove un luogo in cui sopravvivere".

Il testo del decreto Meloni sull'immigrazione

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