27 giugno 2023
Ci sono muri di pietra, cemento, reti, filo spinato. Costruiti per bloccare immigrati, profughi, rifugiati. Chi fugge da guerre, violenze, persecuzioni, sfruttamento. Ma anche dalla fame, dalla povertà, dal degrado economico e sociale. E ancora, sempre più, dagli effetti devastanti dei mutamenti climatici e da un uso sconsiderato delle risorse naturali. Muri, migliaia di chilometri, in America come in Europa. Ma ci sono altri muri, invisibili, ma ancor più insuperabili e devastanti. Sono muri economici, soldi che il ricco occidente europeo, Italia in testa ma non solo, consegnano a dittatori e governi autoritari, per bloccare i flussi migratori. Pagati per non far partire i migranti, per tenerseli. Come? Non importa. L'importante è che chiudano il rubinetto del flusso dei disperati. Muri che nascono e crescono nel quasi totale silenzio. Soprattutto alcuni. Perché purtroppo questi muri sono favoriti anche da una parziale o distratta informazione. Dall'inizio dell'anno il governo di Giorgia Meloni, soprattutto attraverso il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, ha moltiplicato le iniziative per stringere accordi coi paesi di partenza e transito dei migranti verso l'Europa.
“Per l’Italia rimane fondamentale la cooperazione in tema di contrasto ai flussi della migrazione irregolare. Questo è per noi un dossier assolutamente centrale. Nonostante gli sforzi anche delle autorità libiche, nonostante i nostri sforzi, i numeri della migrazione irregolare dalla Libia rimangono ancora alti”Giorgia Meloni - Incontro col primo ministro libico al-Dabaiba il 28 gennaio 2023
Molto si sa dei muri/accordi con la Libia di Tripoli che dovrebbe bloccare i viaggi verso Lampedusa. Negli ultimi mesi si parla e si scrive, molto di quelli con la Tunisia. Quelli con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan sono una storia vecchia ma attualissima. Ma c’è anche altro. Proviamo a scorrere i siti istituzionali di governo. Il 16 gennaio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi vola ad Ankara per un vertice col ministro dell’Interno turco. Tra gli argomenti al centro del confronto, “il contrasto all’immigrazione irregolare”. Così si firma “un accordo per il distacco in Italia di esperti del ministero dell’Interno turco in materia di migrazione”. Un accordo che assomiglia a quella con Tripoli che, oltre a soldi e motovedette, ha previsto l’addestramento della cosiddetta guardia costiera libica. Ora tocca alla Turchia di Erdogan dalla quale, malgrado tanti fondi Ue, il flusso di immigrati è in costante aumento, su barche a vela che sbarcano sulle coste calabresi e pugliesi. Se ne parla poco, fino alla strage di Steccato Cutro, 94 morti e una ventina di dispersi il 26 febbraio. Il primo viaggio africano di Giorgia Meloni è, ovviamente, a Tripoli.
Strage di Cutro: indagini sulle falle nei soccorsi
Accompagnata da Piantedosi il 28 gennaio incontra il primo ministro al-Dabaiba. Sottolinea che “la Libia è una priorità per l’Italia”. Per cosa? La premier è esplicita. “Per l’Italia rimane fondamentale la cooperazione in tema di contrasto ai flussi della migrazione irregolare. Questo è per noi un dossier assolutamente centrale. Nonostante gli sforzi anche delle autorità libiche, nonostante i nostri sforzi, i numeri della migrazione irregolare dalla Libia rimangono ancora alti”. Meloni chiede di “intensificare gli sforzi, chiaramente assicurando un trattamento umano alle persone che sono interessate”. Parole generiche, nessun riferimento ai lager accertati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), alle violenze della cosiddetta Guardia costiera. Invece assicura “il nostro impegno costante a supporto delle autorità libiche nella gestione dei flussi”. Ma è un do ut des. Da una parte “il contributo dell’Italia alla stabilizzazione della Libia” che però “deve portare ad un impatto positivo sul tema del contrasto alle migrazioni irregolari”. E annuncia la firma di un’intesa “con l’obiettivo di potenziare le capacità e la cooperazione con l’autorità libica in relazione alla Guardia costiera”. E infatti nei mesi successivi sono continuate le consegne di motovedette italiane ai libici e i corsi di formazione dei militari di Tripoli. Qui il “muro” sembra parzialmente funzionare, perché la rotta dalla Tripolitania è fortemente calata, rispetto a quella dalla Tunisia e dalla Cirenaica.
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Ma dove finiscono i profughi? Molti restano nei lager, altri vengono “spostati” sulle altre rotte, perché l’affare non finisce certo, anche perché non finiscono le migrazioni. Grandi e piccole. Come quella che porta piccole imbarcazioni dall’Algeria alla Sardegna. Non tante persone, meno di 1.500 nel 2022, ma non sono mancati i naufragi. Anche qui va Meloni il 22 e 23 gennaio. Il tema sono le risorse energetiche, “la stabilizzazione della Libia” (la troviamo in tutti i viaggi). Sui migranti la premier si limita a dire che “l’immigrazione è sempre la risposta ad una assenza di opportunità che consentano di rimanere nel proprio Paese”. Ma poi parlando all’equipaggio della nave della Marina militare italiana “Carabiniere”, ormeggiato ad Algeri, emerge la linea del governo. “Stiamo tornando a proiettare prioritariamente l’Italia nel Mediterraneo, per i suoi interessi strategici. Se non ci fosse il vostro lavoro di pattugliamento, di lotta ai traffici illegali, di difesa, monitoraggio delle infrastrutture strategiche noi non avremo le precondizioni per fare il lavoro che vogliamo fare”. Tra i “traffici illegali” ci sono anche le barchette di migranti?
"Sono grato alle autorità tunisine per l’impegno che già profondono nell’esercitare il controllo delle partenze. Auspichiamo che tali attività possano essere ulteriormente intensificate”Matteo Piantedosi - Incontro a Tunisi a febbraio
Molto più chiaro è il viaggio a Tunisi il 9 e 10 febbraio di ben due ministri, Piantedosi e il responsabile degli Esteri, Antonio Tajani. Sostegno economico a fronte di un più efficace controllo dei litorali e un aumento del numero di rimpatri è la linea messa sul tavolo dalla delegazione italiana. Tajani ricorda “i 47 milioni di euro finanziati dal ministero degli Esteri”. Piantedosi si dice “grato alle autorità tunisine per l’impegno che già profondono nell’esercitare il controllo delle partenze. Auspichiamo che tali attività possano essere ulteriormente intensificate”. Nessun riferimento ai continui drammi su questa rotta, quella che ormai rappresenta quasi la metà degli sbarchi, barchini di metallo strapieni di subsahariani, battezzati ormai “bare”. Centinaia di morti tra le migliaia che cercano di raggiungere Lampedusa. Non si parla di come salvarli, ma di come non farli partire. L’Italia paga e la Tunisia esegue, e non poche immagini hanno dimostrato gli interventi violenti contro i migranti.
E il tour, soprattutto di Piantedosi, continua. Così il 17 marzo il titolare del Viminale si sposta al Cairo. Al centro degli incontri, ovviamente, i flussi migratori con “l’istituzione di un tavolo tecnico italo-egiziano con l’obiettivo di attivare un confronto costante finalizzato alla prevenzione della migrazione illegale, al contrasto delle reti criminali transnazionali attive nel traffico di migranti e nella tratta di esseri umani, all’ulteriore sviluppo delle attività di rimpatrio e all’intensificazione dei canali di migrazione legali”. Viene poi annunciato l’avvio della seconda edizione del progetto Itepa presso il centro internazionale istituito nell’Accademia di polizia de Il Cairo, finalizzato “alla formazione specialistica degli operatori di polizia dei Paesi africani in materia di controllo delle frontiere e gestione dei flussi migratori”. Nessun riferimento ai diritti umani, alle vicende di Giulio Regeni e di Patrick Zaki, ma neanche al ruolo dei trafficanti egiziani nella rotta cirenaica, quella che ha avuto un fortissimo aumento, quella della strage di Pylos.
Sia Meloni che Piantedosi, vorrebbero visitare anche l’area di Bengasi ma non è possibile. Ma se Maometto non va alla montagna…Così il 4 maggio a venire a Roma è il generale libico Khalifa Haftar comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), “uomo forte” della Cirenaica. Due ore di faccia a faccia a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni, poi gli incontri con Tajani, Piantedosi e perfino il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Come fosse un presidente democraticamente eletto. Ma sul piatto c’è, appunto la “crescita senza precedenti” degli arrivi degli immigrati in Italia, in particolare proprio dalle coste del territorio sotto il controllo dell’ex ufficiale dell’esercito di Gheddafi, sostenuto da Egitto e Russia. In cambio di cosa?
Fonti di Palazzo Chigi parlano della conferma da parte di Meloni del sostegno italiano all’azione dell’Onu in Libia per la rivitalizzazione di un processo politico che possa portare a elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023. E avrebbe anche colto l’occasione per un confronto sulle situazioni di destabilizzazione in Libia e nei Paesi confinanti, con particolare preoccupazione per il conflitto in Sudan, soprattutto a opera dei mercenari della Wagner. Ma sicuramente sono stati i flussi migratori il tema centrale. I numeri del ministero dell’Interno confermano che la rotta dalla Cirenaica è particolarmente “calda”. Infatti più di 15mila persone sono arrivate nei primi sei mesi dell’anno dai porti dell’area controllata da Haftar. Quasi il doppio di quelli partiti dalla zona controllata dal governo di Tripoli. La seconda rotta quest’anno, come quantità, dopo quella dalla Tunisia che ha superato le 30mila persone. Cosa ha ottenuto Haftar a Roma? Probabilmente non abbastanza visto che le partenze di pescherecci stracarichi di centinaia di migranti sono aumentate, fino alla strage di Pylos, quei più di 600 morti su una rotta drammatica e finora poco raccontata.
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E se cambiano le rotte cambiano anche le nazionalità di chi si imbarca. In testa alla classifica dei disperati delle migrazioni è la Costa d’Avorio, che quest’anno ha superato le 7.500 persone, il 13 per cento degli sbarcati. Così il 21 marzo Piantedosi vola nella capitale Abidjan, per un vertice bilaterale. La Costa d’Avorio è paese povero, dove dominano corruzione e criminalità, anche italiana. Infatti alcuni inchieste hanno accertato che la ‘ndrangheta usa il Paese africano come snodo del narcotraffico dal Sudamerica. Ma nel vertice si annuncia invece il lancio del progetto Civit-Oim, finanziato dall’Italia e che prevede la creazione di quattro avamposti di frontiera e percorsi di formazione specialistica sul controllo dei confini, la lotta al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani.
Il titolare del Viminale richiama “l’impegno dell’Italia a contrastare il traffico di migranti e la tratta di esseri umani e al contempo a sviluppare, sia in sede bilaterale che europea, politiche di sostegno nei riguardi dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, valorizzando i canali di ingresso regolare ed i processi di formazione/lavoro per i giovani”. Ma poi nel tweet del ministero che annuncia i risultati del vertice si vedono solo militari africani in mimetica mentre predispongono delle strisce di plastica bianche e rosse di contenimento. Ancora muri. È proprio questo che si cerca nel tour. L’ultima conferma il 23 maggio quando sempre Piantedosi annuncia la consegna alle autorità tunisine di “50 nuovi veicoli, acquistati con risorse messe a disposizione dal Viminale, per un sostegno alle attività di controllo dei confini”. Muri, solo muri, invece di ponti o corridoi umanitari.
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