(Foto di Marco Panzarella)
(Foto di Marco Panzarella)

Truffe in pianura Padana. Terre finte, allevamenti reali

Dagli spandimenti di liquami oltre i limiti all'abbandono dei pascoli: la pianura Padana, in particolare la Lombardia, incarna tutte le distorsioni dei fondi comunitari

Elisa Cozzarini

Elisa CozzariniGiornalista Nuova Ecologia

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

1 maggio 2024

Allevamenti intensivi e spandimenti di liquami oltre i limiti di legge in pianura, cattiva gestione o abbandono dei pascoli in montagna. Sono le due facce del meccanismo distorto della Politica agricola comune (Pac), che ha innescato truffe milionarie a danno dei contribuenti europei. Un sistema solo in parte migliorato grazie a maggiori controlli e ai fondi del secondo pilastro, quella "politica di sviluppo rurale" che premia la sostenibilità. Ma il primo pilastro è ancora il più ricco e continua a favorire le grandi aziende, mettendo in difficoltà piccoli e medi allevatori. Un esempio sono le dinamiche che si verificano nel bacino padano, in particolare nel sud est della pianura lombarda, dove c'è un quarto del patrimonio zootecnico italiano. Una concentrazione insostenibile dal punto di vista ambientale e sanitario, con tanto di danno erariale, come dimostrano le innumerevoli inchieste giudiziarie.

Le frodi dei pascoli ad alta quota

Vincoli di carta

Verso la metà del 2015 un allevatore del Comasco presenta domanda per ottenere i contributi Pac. Istanza respinta: nel sistema è già presente una richiesta a suo nome. Decide di sporgere denuncia alla Guardia di finanza di Menaggio e scopre di non essere l’unica vittima. Un altro pastore, ad esempio, ritrova il suo nome in 20 diverse "domande uniche" riferite a terreni distanti decine di chilometri l’uno dall’altro, alcuni al confine con la Valle d’Aosta. Queste e altre segnalazioni nel 2019 portano all’inchiesta Montagne d’euro della procura di Sondrio. Gli inquirenti ipotizzano l’esistenza di un sistema per truffare l’Ue che coinvolge 98 persone, di cui 91 riferibili a 88 aziende agricole con sedi in Lombardia, Piemonte e Veneto.

Altri sette indagati, residenti tra Cremona, Como e Sondrio, accusati di associazione a delinquere, sarebbero stati il perno di un’operazione fraudolenta "mirata all’indebito ottenimento, tra il 2007 e il 2014, di contributi europei destinati alle imprese agricole che assicurino il mantenimento dei terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali attraverso il pascolo". Questi, anche attraverso due società di servizi, avrebbero rastrellato i terreni per il pascolo messi a bando dai comuni tra l’alto lago di Como e la bassa Valtellina. Ignari allevatori, nelle domande di finanziamento, diventavano "pascolatori per conto di terzi", senza mettere mai piede su quei terreni. L’importante era "dimostrare cartolarmente il rispetto dei vincoli comunitari" per ottenere i fondi, mentre i terreni rimanevano abbandonati o male utilizzati. Il danno erariale ipotizzato ammonta a circa 4 milioni di euro e nella primavera del 2023 arrivano le prime condanne a restituire le somme ottenute per due aziende di Bergamo e Mantova. 

Non è un caso isolato

Al contrario, spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia, "è la punta dell’iceberg di un sistema diffuso in tutta Italia, in cui i mandanti sono quasi sempre gli agricoltori della pianura padana". Come nelle montagne friulane, dove un imprenditore della provincia di Treviso dichiarava di aver affittato per il pascolo terreni in diverse aree, tanto da intascare, tra il 2008 e il 2014, oltre un milione di euro. O nel Padovano, dove lo scorso autunno due imprenditori e due prestanome sono stati condannati per concorso in truffa aggravata, con la confisca dei 4,7 milioni di contributi percepiti illecitamente per quattro anni. I prestanome, all’epoca non ancora quarantenni, presentavano domande di contributo in modo da figurare come giovani agricoltori e accedere agli aiuti per le nuove imprese. Ai due risultavano inoltre intestate aziende agricole inesistenti, con capi ovini e caprini presenti solo sulla carta in Abruzzo, Marche e Trentino-Alto Adige.  

Istituzioni latitanti

Espedienti come questi, continua Di Simine, "portano le imprese di pianura a spodestare le piccole aziende di montagna dall’accesso ai pascoli". I bandi comunali per la concessione dei terreni "non sono operazioni speculative", ma dovrebbero servire a gestire il territorio tutelandone la qualità. Spesso i piccoli allevatori di montagna, più rispettosi dell’equilibrio tra l’animale e il territorio, non sono in grado di competere con le offerte delle grandi imprese, il cui interesse è far figurare terreni per ottenere contributi, anche senza portare gli animali al pascolo.

"Conosciamo il meccanismo: rispondendo a un bando sappiamo di dover alzare l’offerta per avere qualche speranza di vincere senza che i costi diventino insostenibili – denuncia una pastora del Nord, che vuole restare anonima –. In passato sono stata condannata anch’io per truffa. Avevo appena avviato la mia attività, ero giovane e al centro di assistenza mi hanno suggerito di dichiarare terreni che non avevo mai visto: facevano tutti così, dicevano. Poi sono arrivati i controlli e ho pagato". Per rimediare in parte alle storture del sistema, su spinta di Coldiretti, nel 2022 è stato approvato un emendamento che consente il diritto di prelazione agli affittuari o ai proprietari di fondi confinanti, anche in presenza di una richiesta di un giovane agricoltore interessato a insediarsi in quei terreni.  

La camorra fa affari d’oro con le nocciole

Ci sono poi i casi degli "usi civici". Nelle Dolomiti bellunesi, la malga Misurina stava per passare in mani altoatesine, ma nel 2021 il Tar del Veneto ha dato ragione allo storico gestore. La gara del Comune di Auronzo di Cadore è stata annullata perché la struttura e i pascoli si trovano in terreni non demaniali, sono cioè "beni di interesse generale appartenenti alla collettività di riferimento e sottoposti sotto alcuni profili al regime giuridico dei beni pubblici, a garanzia della conservazione del vincolo di destinazione paesaggistico-ambientale". 

In generale, il sistema sottende però una responsabilità istituzionale, visto che gli enti sono da tempo a conoscenza delle sue storture. La Regione Lombardia, per esempio, nelle linee guida sugli alpeggi del 2019 sottolineava l’emergere di "diffusi e preoccupanti fenomeni speculativi a discapito della conservazione e del miglioramento dei pascoli e delle strutture e quindi di una sostenibilità nel lungo periodo di questi complessi e delicati sistemi territoriali".

Per Di Simine, "la Regione Lombardia ha un ruolo e una dimensione che la pone nella condizione di stroncare questa pratica, anche a livello nazionale". Era pertanto da auspicare un maggior impegno "nella regolamentazione e nei controlli rivolti alle aziende zootecniche che beneficiano dei sussidi Pac, insieme a un aiuto ai Comuni proprietari di pascoli montani, affinché vengano messi nella condizione di tutelarsi da queste operazioni speculative". 

Cocktail di pesticidi: in Italia utilizzati ancora 50 veleni

Nitrati insostenibili

"Azoto e fosforo fino a una certa quantità sono considerati fertilizzanti, oltre non vengono assorbiti e diventano inquinanti“

Le linee guida della Lombardia mettono in luce un altro aspetto controverso: la certificazione dei terreni da parte delle aziende agricole per aggirare i limiti imposti dalla direttiva Nitrati del 1991, recepita dall’Italia nel 2006. I grandi allevamenti intensivi devono dimostrare di disporre di un’estensione di terreni tale da garantire lo spandimento delle deiezioni animali senza eccedere i limiti. Azoto e fosforo fino a una certa quantità sono considerati fertilizzanti, oltre non vengono assorbiti e diventano inquinanti.

"La Lombardia dovrebbe avere una superficie agricola di quasi una volta e mezzo quella attuale per compensare le sole emissioni dirette degli animali allevati sul suo territorio", si legge in uno studio di Greenpeace col supporto tecnico dell’Università della Tuscia. L’espediente, ancora una volta, è dimostrare solo su carta la disponibilità di terreni, utilizzando quelli reali per lo spandimento dei liquami.

"L’azoto in eccesso può evaporare, legandosi con altre sostanze, generando polveri sottili o finendo in atmosfera sotto forma di ammoniaca – spiega Eva Rigonat, dell’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde) –. Oppure può essere messo nel terreno come concimante, producendo nitrati, che se arrivano a inquinare le falde acquifere possono provocare l’insorgenza di tumori o altre patologie, specie nei bambini". Non a caso l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro include i nitrati tra i "probabili cancerogeni per l’uomo".

Su questo l’Ue ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Nel 2019 il ministero delle Politiche agricole, per venire incontro alle esigenze degli allevatori del Nord, aveva emanato una circolare che autorizzava la deroga al divieto di spandimento di liquami in inverno. "La normativa italiana – riprende Di Simine, argomentando l’esposto presentato da Legambiente nel 2019 – stabilisce un divieto di spandere liquami per 90 giorni nel periodo invernale e per 60 continuativi dal 1° dicembre al 31 gennaio, durante i quali non ci sono colture che potrebbero assorbire eventuali nutrienti e quindi non è giustificabile l’utilizzo secondo la “buona pratica agronomica” che consentirebbe la deroga.

Il picco di inquinamento da ammoniaca e polveri sottili si è registrato proprio nei giorni in cui la Regione aveva disposto questa possibilità, violando le direttive in materia di aria, acqua, rifiuti e inquinamento da nitrati". In attesa degli esiti della procedura, a febbraio 2023 è arrivato un parere della Commissione, che chiede al ministero un adeguamento per evitare sanzioni. E qualcosa si è mosso. "Nell’ultimo anno questa norma è stata abrogata dalla Regione Lombardia, ripristinando così il divieto di spandimento invernale".

Guerre per l'acqua in pianura Padana

Fondi pubblici ai maiali

"Nel 2023 sono stati 157 i comuni lombardi situati in zone che superano i limiti della direttiva Nitrati, con rischi per la salute
di chi li abita“

Su impulso dell’Ue, la Regione Lombardia ha inoltre misurato il carico di azoto da effluenti di allevamento presente in media in un anno. L’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste (Ersaf) ha individuato le "zone vulnerabili da nitrati", cioè i territori "caratterizzati da acque già contaminate o che potrebbero diventare tali in assenza di interventi adeguati". In base al report del 2023 sono ben 157 i comuni lombardi situati in zone che superano i limiti della direttiva Nitrati (170 kg di azoto per ettaro). A questi se ne aggiungono 8 in "zone non vulnerabili da nitrati", dove il limite consentito per gli spandimenti è il doppio.

Il dossier dal titolo Fondi pubblici in pasto ai maiali, realizzato da Greenpeace su dati del 2018, ha evidenziato un altro paradosso: "Degli oltre 250 milioni di euro che nel 2018 sono stati destinati agli allevamenti della Lombardia, ben 120 milioni (quasi il 45 per cento) sono finiti ai 168 comuni (fuorilegge, ndr)". Ne consegue che i comuni foraggiati attraverso la Pac, nonostante le violazioni già in atto, continuano ad approvare progetti per l’ampliamento o la costruzione di nuovi allevamenti. "Il finanziamento – dice il referente lombardo di Isde Celestino Panizza – va a sostenere l’agricoltura controllata dall’agroindustria, che definisce il prezzo del prodotto, degli alimenti, dei mangimi, delle sementi, degli agrofarmaci". 

Intanto sulle Alpi sempre più malghe restano vuote, o diventano ristoranti per turisti, dove si utilizzano prodotti provenienti dalla pianura. E i pascoli, un anno dopo l’altro, si degradano 

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