Cocktail di pesticidi: in Italia utilizzati ancora 50 veleni

Le multinazionali studiano le conseguenze delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura. Il problema sono però i mix, che hanno effetti quasi sconosciuti su ambiente, animali ed esseri umani

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

Davide Romanelli

Davide RomanelliGrafico

21 settembre 2022

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La chiamano “tossica dozzina”: dodici molecole che Pesticide action network (Pan) Europa – rete che raggruppa oltre seicento tra ong, istituzioni e individui – ha identificato come prodotti chimici da mettere subito al bando. Erbicidi, fungicidi e insetticidi che possono interferire con il sistema endocrino e creare quello che in tossicologia è definito bioaccumulo, ossia la persistenza di sostanze inquinanti all’interno dell’organismo umano.

Lo scorso giugno la Commissione europea ha presentato una serie di proposte vincolanti per ridurre del 50 per cento l’utilizzo di pesticidi chimici entro il 2030, misura che si inserisce all’interno della strategia alimentare Farm to Fork. Ma la strada è ancora lunga e tanti gli ostacoli da affrontare.

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Questione di fondi

"C’è un divario tra le risorse economiche che le multinazionali chimiche hanno a disposizione per ricerca e sviluppo e le indagini che possono essere svolte con il sostegno di finanziamenti pubblici: questo è un grande problema", spiega il professor Stefano Tosi, ricercatore dell’Università di Torino. "Di solito — aggiunge — ci si focalizza sulle conseguenze di una sola molecola, senza comprendere che nella realtà sono presenti delle combinazioni di fitofarmaci".  Mix che in certi casi sono creati intenzionalmente dagli agricoltori per aumentare l’efficacia dell’azione. In questo modo alcune sostanze, che da sole non sarebbero tossiche, lo diventano entrando in contatto con altre.

Rischio allargato

Nel corso dei decenni i fitofarmaci hanno contribuito a debellare malattie come la malaria e ad accrescere la produzione nei campi, causando però danni all’ambiente e ad alcune specie animali, ad esempio gli insetti impollinatori come le api. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science of the total environment, "ciò che si riscontra sono effetti non solo letali, ma anche cambi di comportamento. Di questi, solo il 29 per cento è noto alla scienza". Le api non riescono più a coordinarsi, le abilità di volo risultano alterate e si riscontrano anomalie fisiologiche. E qualora gli animali si dimostrino resistenti all’azione del prodotto, le aziende ne sviluppano altri più aggressivi. L’analisi, oltre che una denuncia dello status quo, vuole essere una bussola per la politica e per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), l’ente comunitario che si occupa della valutazione del rischio, che ha iniziato una nuova consultazione pubblica sui danni patiti dalle api legate che entrano in contatto con i pesticidi.

Le alternative esistono 

È possibile fare a meno dei pesticidi chimici? Certamente, ma il problema è più politico che operativo. "La diversificazione delle sementi, la rotazione delle colture e l’ampliamento dell’agricoltura biologica sono tre soluzioni", dice Angelo Gentili, responsabile nazionale agricoltura di Legambiente.
Non resta quindi che attendere azioni concrete da Bruxelles, a partire dalla messa al bando dei fitofarmaci più pericolosi – definiti in gergo candidati alla sostituzione – e l’introduzione rapida di sostanze meno dannose

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