Vibo Valentia. La rassegna Contromafie porta in Calabria incontri e riflessioni sull'impegno della società civile contro la criminalità organizzata
Vibo Valentia. La rassegna Contromafie porta in Calabria incontri e riflessioni sull'impegno della società civile contro la criminalità organizzata

Liberi di scegliere. L'appello: "Serve una legge che tuteli le donne che escono dai clan"

In occasione di Contromafie in Calabria, il messaggio di Maria Teresa, ex moglie di un mafioso che ha voluto lasciare una famiglia della 'ndrangheta per dare un futuro migliore a se stessa e ai suoi figli: "Donne, ribellatevi alle mafie"

Redazione <br> lavialibera

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18 ottobre 2024

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Vuole incoraggiare altre donne nelle sue condizioni, donne inserite in famiglie di mafia, a fare la sua stessa scelta: uscirne, mettere al riparo se stesse e i loro figli. Ma vuole anche spingere le istituzioni a fare una legge che le tuteli, le tenga al riparo dalle vendetta e possa garantire loro l’accesso a sanità, istruzione e lavoro. Maria Teresa – che lavialibera aveva intervistato usando un altro nome di copertura – è stata la moglie di un mafioso, madre dei suoi figli, che da alcuni anni è entrata nel programma Liberi di scegliere. Si tratta del progetto nato da un’intuizione di Roberto Di Bella, magistrato, già presidente del Tribunale per i minori di Reggio Calabria e ora a Catania, con la collaborazione di Libera, che mira a far uscire le donne (e i loro figli) da contesti familiari mafiosi.

"Liberi di scegliere, un modo diverso di fare antimafia"

L'invito alle donne di mafia: "Ribellatevi, ne vale la pena"

"Come moglie di un mafioso ero trattata come una schiava, subivo continue umiliazioni"Maria Teresa

Con un messaggio inviato per l’apertura della rassegna Contromafie a Vibo Valentia, Maria Teresa si rivolge alle altre che si trovano nelle sue condizioni e le invita a darsi forza: “Vorrei dire loro di avere coraggio, di farsi forza l’una con l’altra, di guardare con tutta la lucidità il mondo in cui sono confinate – dice –. Vorrei dire loro di ribellarsi, vale la pena di cambiare. Ogni sforzo, ogni mia paura, ogni momento difficile di questo lungo percorso è ripagato a pieno. La mia scelta sicuramente è stata fatta per l’amore dei miei figli, guidata dall’istinto materno. È il nostro dovere di madre dare questa possibilità ai nostri figli. Da lì è nato un percorso di crescente consapevolezza di aver vissuto in un mondo inaccettabile”.

La donna ha raccontato la propria esperienza di moglie di un mafioso: “Ero molto giovane, provenivo da un altro contesto, da un altro paese. Mi sono innamorata di una persona che apparteneva e una famiglia mafiosa e non lo sapevo. Mi sono innamorata della sua finta gentilezza, della sua premura, delle cose finte. Tutto era falso con lo scopo di conquistarmi”, ha detto. Una volta diventata madre, si rende conto di vivere in una famiglia che la opprime: “Da quel momento è iniziato il mio calvario. La mia vita era infelice. Era limitata. Ogni mio passo dipendeva dal consenso di altri. Come moglie ero trattata come una schiava, subivo continue umiliazioni, senza mai essere presa in considerazione. Venivo sempre messa in disparte. Non riuscivo più a sentirmi una donna vera, una madre, perché per quanto riguardava i miei figli, fino a quando non è stato arrestato il mio ex marito, l’ultima parola è la sua”.

L’arresto dell’uomo è stato il momento di svolta: “Ho sentito dentro di me una preoccupazione crescente per i miei figli. Temevo molto potessero prendere una strada sbagliata crescendo”. Perché tutta la famiglia del marito aveva avuto problemi con la giustizia ed era passata per il carcere, mentre un fratello piccolo era stato ucciso per una vendetta ai tempi della guerra di ‘ndrangheta.

L'impegno del magistrato Di Bella e di Libera

"Alle istituzioni chiedo di aiutarci, perché ci vorrebbe una legge che tuteli davvero i nostri figli, garantendo l'accesso alla sanità, allo studio, anche al lavoro, evitando di mettere a rischio la nostra incolumità"

Sono stati i lunghi colloqui con il presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella (ora a Catania), a farle cambiare strada. “È stato il primo che mi ha fatto ragionare sull’esistenza di una via diversa, soprattutto per i miei figli. Ho avuto bisogno di incontrarlo tante volte, perché avevo tanti dubbi e tante paure – ha raccontato –. È stato sempre disposto ad ascoltarmi. Mi ha fatto conoscere l’associazione Libera e l’incontro con don Luigi Ciotti ed Enza Rando è stato decisivo per la mia vita”.

Intraprendere questo percorso le ha permesso di riavere la sua vita, la sua dignità di donna e di crescere i figli onesti. Per tale ragione invita le altre donne a “disobbedire alle mafie e liberare se stesse, il loro futuro e quello dei figli”. Ma la loro forza da sola non basta. C’è bisogno di una legge e di un supporto dallo Stato. “Alle istituzioni chiediamo a voce alta che ci aiutassero come ci ha aiutato il presidente Di Bella e l’associazione Libera. Abbiamo vissuto tantissime difficoltà economiche, ma soprattutto per mantenere segreto il luogo dove abitavamo, perché non abbiamo una legge che ci tutela come ai collaboratori di giustizia. Quindi, alle istituzioni chiedo di aiutarci, perché ci vorrebbe una legge che tuteli davvero i nostri figli, garantendo l'accesso alla sanità, allo studio, anche al lavoro, evitando di mettere a rischio la nostra incolumità".

Donne e mafie: la rosa che ha battuto la tigre

Le ultime mosse della politica per "Liberi di scegliere"

A marzo cinque ministeri hanno firmato un protocollo per finanziare ed estendere l’applicazione del programma Liberi di scegliere, oltre a Reggio Calabria e Catania, anche a Palermo e Napoli. Fino a quel momento era basato su un’intesa tra Dipartimento per le Pari opportunità, tribunale per i Minorenni, procura per i Minorenni e procura di Reggio Calabria e di Catania, Direzione nazionale antimafia e Libera. Finora sostenuto soltanto dalla Conferenza episcopale italiana con i fondi dell’8 per mille.

Ci vuole una legge per le donne che escono da famiglie mafiose

150 minori nati in famiglie mafiose ora sono tutelati, 30 donne sono entrate nel progetto e sette sono diventate collaboratrici o testimoni di giustizia. Due ex boss hanno avviato percorsi per proteggere i loro figli

Molto ancora resta da fare. Serve una legge. “Ci sono state diverse proposte di legge, ma noi abbiamo pensato che l’approccio che vogliamo è scriverlo insieme, dopo un ascolto – aveva detto il 26 marzo scorso la senatrice Pd Enza Rando, già vicepresidente di Libera e ora coordinatrice del comitato Cultura della legalità e Protezione dei minori formato all’interno della commissione parlamentare antimafia –. Prendiamo l'impegno di arrivare in tempi brevi a un disegno di legge”. “C’è un’apertura importante in questo tema che non deve diventare argomento di contese politiche”, aveva affermato Roberto Di Bella, magistrato minorile ideatore e promotore di Liberi di scegliere.

Nel pomeriggio, davanti ai parlamentari dell'Antimafia, il magistrato aveva anche aggiunto: “Sarebbe molto bello che da questa commissione possa partire questa iniziativa legislativa bipartisan. Abbiamo bisogno che le prassi di questo progetto diventino legge perché stanno portando veramente tanti benefici”. E i benefici sono questi: “Sono circa 150 minori già attualmente tutelati, 30 le donne entrate nel progetto, sette le donne diventate collaboratrici o testimoni di giustizia, e due ex boss con ruoli apicali nella ‘ndrangheta e nella mafia che hanno avviato percorsi per proteggere i loro figli”, ha aggiunto. È un progetto che “sta alimentando speranze laddove sembrava che non potesse esservi speranza”.

Anche la presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo (FdI), ha appoggiato l’idea di una legge sostenuta da maggioranza e opposizione: “Mi permettere un inusuale appello all'unità su questo tema perché sarebbe un bellissimo segnale arrivare prima della pausa estiva con un fatto e non con una promessa”. "Unite le vostre forze. Fate con urgenza. C’è in gioco la vita di molte persone”, aveva ribadito don Luigi Ciotti in quell'occasione.

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