Milano, 21 marzo 2023. L'ex procuratore di Palermo e Torino, Gian Carlo Caselli durante la lettura dei nomi delle vittime innocenti delle mafie
Milano, 21 marzo 2023. L'ex procuratore di Palermo e Torino, Gian Carlo Caselli durante la lettura dei nomi delle vittime innocenti delle mafie

Trent'anni di Libera. Gian Carlo Caselli: "Ne vale la pena"

Dopo le stragi del '92 l'iniziale mobilitazione dei cittadini si esaurì. Fu allora che la nascita di Libera diede nuova linfa alla lotta antimafia

Gian Carlo Caselli

Gian Carlo CaselliEx magistrato e presidente onorario di Libera

1 marzo 2025

Nel 1992, dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, la decisione di chiedere il trasferimento da Torino a Palermo fu il risultato di una serie di riflessioni, discussioni e confronti anche oltre l’ambito familiare. Don Luigi Ciotti ebbe un ruolo importante in questa scelta, in quanto teorico e praticante effettivo, ieri come oggi, della necessità di sporcarsi le mani, di mettersi in gioco tutte le volte che ne valga la pena. Anche in seguito, nel concreto svilupparsi della mia esperienza palermitana, il sostegno di Ciotti non mi mancò mai. E con il suo anche quello di Libera, preziosa iniziativa sul versante della legalità e dell’antimafia: un’autentica boccata d’aria pulita, di grande aiuto soprattutto nei momenti difficili.

Nella reazione a Cosa nostra dopo le stragi, accanto all’azione delle forze dell’ordine e della magistratura, decisivo è stato il contributo della cittadinanza. È la stagione della Palermo delle lenzuola bianche (simbolo di onestà e pulizia) che fioriscono sui balconi e alle finestre, delle mobilitazioni dei cittadini a gridare per le strade che lo Stato democratico avrà anche i suoi difetti, ma è pur sempre meglio di un narcostato o Stato-mafia controllato da criminali stragisti. È anche la stagione delle riunioni organizzate nelle scuole. Si respira l’effettiva volontà di fare chiarezza sulla realtà del fenomeno mafioso, che non è soltanto questione criminale, ma anche blocco dello sviluppo e impoverimento economico. Questo impegno della società favorisce gli imponenti risultati ottenuti nel dopo-stragi sul piano investigativo-giudiziario.

Per un'antimafia sociale e dei diritti

Ma l’iniziale mobilitazione di massa del dopo stragi si è progressivamente esaurita. Era infatti una mobilitazione di tipo spontaneo e volontaristico, nobile ma dalla struttura fragile, alla quale è poi subentrata una forma efficacissima e duratura di organizzazione della società civile. Ed ecco Libera, l’associazione di associazioni pensata e guidata con coraggio da don Ciotti, che della necessità di non delegare tutto, lasciandoli soli, ai poliziotti e ai magistrati, ha fatto un dogma culturale della lotta alla mafia. Ciotti intuisce la necessità che l’antimafia della repressione si intrecci con quella sociale o dei diritti. Un’intuizione che coincide con una riflessione del generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, tratta dall’intervista che Giorgio Bocca gli fece per La Repubblica il 10 agosto 1982, pochi giorni prima dell’attentato mafioso del 3 settembre che lo uccise. Io dalla Chiesa l’ho conosciuto bene lavorando con il suo nucleo antiterrorismo a Torino, era “programmato” per la repressione nel rispetto delle regole. Era uno “sbirro coi fiocchi”. Ebbene, questo sbirro non dice che per sconfiggere la mafia ci vogliono manette e ancora manette, ma che bisogna assicurare ai cittadini "i loro elementari diritti", altrimenti i mafiosi li intercettano e li trasformano in favori che elargiscono (in cambio di qualcosa) per rafforzare il loro potere. Così la mafia vince sempre. E la gente non fa certo quadrato con lo Stato. Proprio qui sta una delle principali ragioni sociali di Libera, che si ricollega al problema dei beni confiscati alle mafie.

Nando dalla Chiesa: "Così cambiò l'antimafia"

La legge Rognoni-La Torre del 1982, la prima risposta seria dello Stato alla mafia dopo anni e anni di sostanziale impunità, oltre a introdurre l’articolo 416 bis del codice penale, con cui la mafia è riconosciuta come comportamento di per sé penalmente vietato e punito, ha introdotto anche le misure antimafia di prevenzione patrimoniale, cioè i sequestri e le confische dei beni a chi è ritenuto mafioso (salvo che egli ne dimostri la provenienza lecita). Per la prima volta si tiene conto del fatto che i mafiosi temono, forse più del carcere, che gli si tocchi il portafoglio. Ma su questo secondo versante c’era un difetto. I beni sequestrati e confiscati restavano a coprirsi di polvere e ruggine e il boss di turno aveva buon gioco a dire "quando questo bene era mio produceva profitto soprattutto per me, ma qualcosa c’era anche per voi; adesso invece niente più per nessuno…". E la bestemmia che la mafia dà lavoro poteva anche attecchire.

La situazione cambia radicalmente quando viene approvata la legge 109 del 1996 per la destinazione dei beni confiscati a fini socialmente utili. È proprio Libera a raccogliere firme a sostegno della legge. Alla fine sono un milione, una montagna! Ricordo ancora la scena che si svolse a Palermo il 19 luglio 1995, anniversario dell’omicidio di Paolo Borsellino, in via D’Amelio, davanti all’albero d’ulivo piantato nel luogo della strage: don Ciotti che scarica sulle fragili braccia dell’allora presidente della Camera, Irene Pivetti, facendola visibilmente traballare, qualche decina di chili di fogli firmati. A una tale pressione non si può resistere! E difatti la legge fu approvata all’unanimità.

Così, ad esempio, le terre confiscate ai mafiosi possono essere assegnate a cooperative di giovani che, lavorandole, realizzano un’antimafia che paga in termini di dignità e libertà dalla mafia: il modo più efficace per coinvolgere la società civile in un effettivo impegno antimafia.

Essere "abbastanza vivi"

Un’altra meritoria iniziativa di Libera si realizza il 21 marzo di ogni anno con la Giornata della memoria e dell’impegno, che riunisce, per la lettura dell’interminabile elenco delle vittime di mafia, i loro familiari. Che sono anch’essi vittime, perché vivono un continuo immenso dolore che non lascia respiro. Chiedono giustizia e non vendetta. Rappresentano un punto di riferimento morale e un forte richiamo a non dimenticare. Fra le tante, si segnala la giornata del 21 marzo 2011 a Roma, dove Papa Francesco incontrando i familiari delle vittime avviò un discorso che lo porterà poco tempo dopo a scomunicare i mafiosi.

Voglio poi testimoniare lo spirito di servizio con cui i giovani di Libera partecipano alle udienze pubbliche nei processi di mafia nei quali l’associazione si è costituita parte civile; giovani che con la loro presenza rafforzano la pretesa punitiva dello Stato, fronteggiando e reggendo gli sguardi sicuramente non benevoli dei mafiosi e dei loro familiari presenti in aula.

Infine, dietro alcuni miei interventi pubblici in tema di mafia ci sono – e ben riconoscibili – gli insegnamenti di Ciotti e di Libera. Per esempio quando alla presenza di tutti vescovi di Sicilia (convocati dal cardinale Salvatore Pappalardo dopo l’assassinio di padre Pino Puglisi) sostenni che "non basta fare l’elenco delle vittime di mafia. Occorre anche riconoscere che se hanno dovuto morire è anche perché noi – noi Stato, noi Chiesa – non siamo stati sino in fondo quel che avremmo dovuto essere. Loro hanno visto la sopraffazione, la ricchezza facile e ingiusta, la compravendita della democrazia, lo scialo di morte e violenza, il mercato delle istituzioni. E non si sono voltati dall’altra parte. Hanno cercato la giustizia. Per questo sono morti. Noi invece troppe volte abbiamo subito e praticato, invece di spezzarlo, il giogo delle mediazioni e degli accomodamenti. Non ci siamo scandalizzati abbastanza dell’ingiustizia. Non siamo stati abbastanza vivi". Ed è stata davvero una grande emozione vedere proprio la scritta "non siamo stati abbastanza vivi" campeggiare su migliaia di bandiere di Libera, in occasione di molte giornate della memoria e dell’impegno.

Da lavialibera n° 31, È tempo di muoversi

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