
Altro che Oscar, No Other Land è da Nobel
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1 marzo 2025
Lo so, gli equivoci e i vuoti di memoria sulla storia del movimento antimafia sono tanti e spesso non secondari. Sui singoli decenni, sui vari territori, sui meriti e sui limiti di un grande impegno collettivo. Un po’ è colpa di un movimento che ha rinunciato a scrivere la sua storia, e prima di tutto a dargli progressivamente un ordine e un senso. Un po’ è colpa della cultura italiana nel suo insieme, che considerando la mafia un fatto secondario e marginale (quando non residuale) della storia nazionale a maggior ragione ha ritenuto che fosse marginale l’antimafia. Se non c’era la mafia non poteva esistere un movimento impegnato a combatterla.
Trent'anni di Libera, la sfida è nel presente. L'editoriale di Elena Ciccarello
"Mi accorgo anzi, a volte, di essere rimasto uno dei pochi testimoni degli anni Ottanta e Novanta a potere contrapporre memorie indelebili e vissute alle narrazioni approssimative"
Una convinzione che, in fondo, è la spiegazione vera dell’assenza del movimento antimafia dai manuali e dalle antologie sui movimenti sociali, e non solo quelli scritti da autori stranieri. Ma è in parte colpa anche del tempo passato, che ha fisiologicamente cancellato dalla scena molti dei protagonisti di quel movimento e dei suoi testimoni. Mi accorgo anzi, a volte, di essere rimasto uno dei pochi testimoni degli anni Ottanta e Novanta a potere contrapporre memorie indelebili e vissute alle narrazioni approssimative che sempre più spesso si affacciano nelle ricostruzioni storiche e nei confronti che si apparecchiano tra un’epoca e un’altra. Grazie dunque a lavialibera per avermi dato l’opportunità di rimettere sinteticamente in fila e in rete gli elementi che portarono trent’anni fa alla nascita di Libera, associazione di associazioni, nomi e numeri contro le mafie, e ne hanno poi assicurato il successo.
Saveria Antiochia e Carmela Montinaro, pioniere della memoria delle vittime
Fino al 1995 un’associazione nazionale contro le mafie non esisteva. La mafia aveva – eccome – una sua struttura
Intanto, per capire che cosa accadde davvero occorre ricordare e riflettere su alcune cose. La prima, la più importante di tutte, è che fino al 1995 un’associazione nazionale contro le mafie non esisteva. La mafia aveva – eccome – una sua struttura. E l’aveva anche lo Stato, che si portava in grembo tanto impegno antimafia ma anche tante complicità con la mafia. L’antimafia no. L’epopea contadina e dei movimenti per la terra, sostenuti dai sindacati e dai partiti di sinistra, era finita negli anni Cinquanta. Dopo di essa vi era stata l’epopea gloriosa delle lotte promosse dalla sinistra e, in particolare, dal Partito comunista italiano sul piano politico-parlamentare (fino alla nascita e alle prime esperienze della commissione parlamentare Antimafia) e da alcuni intellettuali di opposizione, simbolicamente condensata nell’esperienza del quotidiano palermitano della sera L’Ora.
Quando tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta arrivò la prima tempesta di delitti eccellenti, chi scelse di combattere la mafia poté trovare intorno a sé esperienze di partito in declino (primeggiava d’altronde la centralità della fabbrica), ma capì presto di doversi auto-organizzare. Certo, appoggiandosi a quanto di grande esisteva nel panorama politico, ma mettendoci molto in proprio di continuità, di radicalità, di spirito di iniziativa, di riflessione teorica. Anche di mezzi, poiché non c’erano né fondi né provvidenze. Quando si viaggiava si era ospitati dagli insegnanti più attivi nelle loro case, nelle “stanze del figlio”. Si usavano mezzi di fortuna, facendo collette per affittare i teatri, a volte appoggiandosi agli enti locali più sensibili, quando c’erano. Aree intere del Paese non partecipavano. Assenti (tranne che per un paio di convegni importanti) il Piemonte, poi attivissimo, ma anche la Toscana, il Lazio e la Liguria. Intere province delle altre regioni.
La storia delle stragi di mafia inizia almeno dieci anni prima
La principale forma di collegamento che si affermò in pochi anni fu la rete dei numeri telefonici (del cui ruolo è rimasta l’eco nella stessa denominazione di Libera). Promuovere il primo presidio silenzioso davanti a Montecitorio nel 1990 da parte dei familiari di vittime, di terrorismo come di mafia, fu letteralmente un’impresa, parzialmente riuscita grazie all’appoggio delle trasmissioni di Maurizio Costanzo. A pensarci oggi, il fatto che quell’urto sconvolgente potesse essere retto senza organizzazione ha qualcosa di miracoloso. Se scavo con scrupolo nelle mie memorie più personali, metto bene a fuoco come non vi fosse nessuno al quale affidarsi credibilmente per fare qualsiasi iniziativa, anche la più importante, sul territorio nazionale. Qualcuno che, per sua missione, dovesse difenderti in quanto familiare di vittima, anche solo nei tuoi diritti morali.
In realtà tra il 1990 e il 1992 qualcosa era nato e si era pur costituito in soggetto pubblico. Si chiamava La Rete, proprio per indicare quel disordinato e vitalissimo elenco telefonico di associazioni, nomi e numeri. E aveva immaginato di potere costituire, dentro la crisi verticale del sistema politico, un movimento politico; non un partito, ma una specie di soggetto “a tempo”, in grado di portare in parlamento le proprie selezionate, ma fondamentali, istanze morali e civili. Lo guidava Leoluca Orlando, sindaco della Palermo martoriata. Tra i suoi ideatori anche il sottoscritto, Diego Novelli, Alfredo Galasso, Claudio Fava e Carmine Mancuso. Poi il grande Antonino Caponnetto, Carlo Palermo. E altri che quelle battaglie le avevano fatte.
"Il movimento antimafia era prima di tutto una federazione di memorie e di anime"
La Rete passò la prova elettorale della primavera del ’92 e ottenne il primo obiettivo dichiarato, l’abolizione dell’immunità parlamentare (non si potevano fare indagini senza l’autorizzazione delle Camere). Fu un’iniezione di energia antimafiosa nel sistema, ma poiché fu rapidamente presa dal “raptus del partito” non fu all’altezza di quella situazione, né poté esserlo lo stesso Pds, erede del Pci di una volta, poiché quella battaglia, per fortuna, stava di molto cambiando e allargando i propri orizzonti. E tuttavia il trauma indimenticabile del ’92, prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino, gridava a tutti che bisognava andare avanti, che il patrimonio di cuori e di menti raccolto in un decennio doveva essere valorizzato prima che la storia si richiudesse alle nostre spalle, come pure avrebbe tentato di fare dopo pochi anni.
Maturò la consapevolezza di una necessità: un soggetto civile che, diversamente dalla Rete, non si mettesse in competizione e in polemica con i partiti e che, diversamente da altre esperienze civili e sociali, non fosse subalterno alla sinistra politica. Il soggetto embrionalmente c’era, nel senso che era maturata proprio in Piemonte, per anni avulso dalla battaglia, un’esperienza come quella del Gruppo Abele, con quel suo significativo complemento di Narcomafie, una testata che nel proprio nome saldava simbolicamente la lotta alle tossicodipendenze con la lotta alla mafia. Il suo fondatore e leader era un prete coraggioso e determinato, un autentico trascinatore sociale: don Luigi Ciotti.
Il sistema politico (diciamo la sinistra politica) fu contento che nel campo dell’antimafia potesse maturare una più ragionevole e radicata alternativa alla Rete. Il grande trauma spinse risorse organizzative e simboliche verso il suo sostegno. Dal sindacato, dal volontariato e dalle istituzioni. C’erano insomma tutte le condizioni perché quella che sarebbe diventata con nome bellissimo Libera nascesse, piantasse il suo fiocco color arcobaleno nella storia d’Italia. Un mare di dolore e di speranza, una crisi di rappresentanza, una minaccia (l’ascesa di destre indecifrabili e talora ostili al principio di legalità), un movimento antimafia articolato e ormai di massa, e per di più dotato di una certa coscienza di sé. E, inoltre, un federatore che ispirava fiducia a tutti. Non solo un cattolico (in politica si sarebbe scoperta in contemporanea l’importanza cruciale di Romano Prodi), ma addirittura un prete, un prete conosciuto ovunque per il bene compiuto. Di più: verso questo soggetto dimostrarono subito fiducia familiari di vittime amate e prestigiose come Saveria Antiochia e Rita Borsellino. E il movimento antimafia era prima di tutto una federazione di memorie e di anime, forgiatosi tra lutti (il lutto come dimensione mentale: un sociologo ne parlò con qualche diffidenza), affetti, rivolte morali. Chi meglio di un prete generoso per tenerlo insieme?
"L’elemento che la rende di granito è proprio costituito dal sentimento collettivo dei familiari, che don Luigi Ciotti ha saputo interpretare in modo magistrale. Con il discorso pubblico, con l’azione di rappresentanza istituzionale (fino all’istituzione per legge della Giornata della memoria e dell’impegno), con la pratica sociale"
Io credo onestamente che la miscela ideale per far nascere quel fiocco arcobaleno fosse proprio questa. Se vogliamo, una miscela irripetibile, come tutte le miscele a loro modo “chimiche” che la storia spontaneamente architetta e innesca. Ma credo poi che altri e numerosi elementi abbiano contribuito a dare a Libera la forza per andare avanti, visto che oggi ne stiamo appunto celebrando o meglio festeggiando il trentesimo compleanno. Ripeterò dunque una tesi in più sedi già espressa: che l’elemento che la rende di granito è proprio costituito dal sentimento collettivo dei familiari, che don Luigi Ciotti ha saputo interpretare in modo magistrale. Con il discorso pubblico, con l’azione di rappresentanza istituzionale (fino all’istituzione per legge della Giornata della memoria e dell’impegno), con la pratica sociale, intessuta di matrimoni di figli o di nipoti, di battesimi, di vicinanza nel dolore e negli anniversari, di funerali. Ma anche con la produzione simbolica, a richiamare il cui valore può bastare l’immensa vicenda di Lea Garofalo. Un intero, grandioso, sistema di segni e di riconoscenze.
Forse in una società liquida l’unico sistema in possesso di quel patrimonio di sangue e terra necessario a contrastare un fenomeno per nulla liquido come quello mafioso. Il secondo elemento di longevità e di successo è quasi conseguente. Ed è l’indipendenza mostrata nei fatti verso i partiti politici. La capacità di dire verità scomode, come sui migranti, mai disgiunta dalla disponibilità a riconoscere le cose buone fatte, come nel recente convegno promosso in Senato con la Commissione parlamentare antimafia sul passaggio, per i familiari, dalla filosofia dei “benefici” alla filosofia dei “diritti”. Per chi ha studiato questi temi non era affatto scontata la capacità di Libera di evitare di “schierarsi” in questo e altri passaggi, vicini e lontani, con una parte politica. Il terzo elemento da considerare è poi la scelta strategica dei temi su cui definire fondamentalmente la propria identità: la memoria (e sua sorella o figlia, la verità); la formazione; i beni confiscati. Tutti temi che hanno una politicità altissima, ma che non sono riconducibili o trattabili all’interno di una contingenza politica. Apparentemente “innocui” per il potere e invece destinati a scavare nel profondo della coscienza civile. Ed è indubbio che su tutti e tre i temi Libera abbia segnato vittorie importanti, talora storiche.
Chiudo citando, provocatoriamente ma non troppo, quello che secondo me è il quarto e ultimo grande elemento di longevità e forza. Esso rimanda nuovamente all’esistenza di un potere carismatico alla guida dell’associazione: ed è la non-contendibilità della leadership associativa. Ho abbastanza esperienza di organizzazioni, partiti politici e non solo, per sapere quale ne sia il valore fisiologico e mentale. La sua esistenza può apparire, e non senza ragione, in contraddizione con la natura democratica di una associazione. In realtà la preserva, a certe condizioni, da una patologia tipica delle organizzazioni, anch’essa antidemocratica (rispetto alle legittime attese degli iscritti), ossia la deviazione dai fini, che si realizza quando la prima preoccupazione quotidiana in seno ai quadri dirigenti diventi non la realizzazione dei fini dell’organizzazione stessa ma la produzione di una nuova leadership, o di nuove sotto-leadership, al cui gioco condizionare posizioni pubbliche, alleanze e strategie particolari o di gruppo, perfino il linguaggio e i riferimenti culturali. Ecco, questo in trent’anni a Libera e ai suoi ideali è stato risparmiato, nonostante ogni tanto ve ne siano state avvisaglie. E non è affatto poco. Una ragione in più per festeggiare quel fiocco arcobaleno che proiettò tutti oltre il Novecento.
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NUMERO SPECIALE: Libera compie trent'anni e guarda avanti: l'impegno per l'affermazione della libertà contro ogni forma di potere mafioso è più che mai attuale