17 maggio 2022
Ecco, è da lì, ora che il tempo storico lo consente, che bisogna partire per ridisegnare in filigrana protagonisti e geografie, per ritessere le trame che tengono insieme le complessità. Poiché il senso più vero di quel 1982 è che esso consacra, dopo alcuni anni di delitti eccellenti, il ruolo di Palermo come capitale dell’Italia illegale descritta in un suo libro recente (Italia occulta) da Giuliano Turone. Un’Italia in cui nascono per ragioni e spinte diverse disegni e progetti ad alto tasso di illegalità. Che si incontrano, si alleano, si scambiano risorse dentro un grande network illecito. Sta a noi ora cercare di vederli, inquadrarli tutti. Per capire perché a Palermo poté succedere quel che non era e non è mai più accaduto in alcuna democrazia occidentale. Certo, vi fu la nuova, sanguinaria egemonia dei corleonesi, perno della mafia più forte al mondo, insieme a quella dei cartelli colombiani. Ma fu solo quello? O anche il fatto che Palermo fosse diventata il punto di incrocio di una impressionante pluralità di poteri illegali, quasi tutti – fra l’altro – perfettamente visibili? A Palermo guarda Michele Sindona latitante, a difesa dei suoi interessi di finanza criminale; come pure, da Milano, Roberto Calvi, destinato negli stessi anni a incontrare i clan per restarne “suicidato” a Londra. A Palermo, come gli ricordano i boss in un drammatico incontro dell’80, sta anche il forziere di voti decisivo per l’uomo politico più potente della Repubblica, Giulio Andreotti, punto di intreccio strategico di molti disegni, tra cui quello della P2 (di nuovo Sindona e Calvi). Senza contare che a Palermo opera anche il gruppo della destra eversiva più forte in Italia dopo quello romano. E che in quel tempo vanno affiliandosi alle famiglie palermitane perfino i clan di camorra in lotta con la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Ripercorrere, documentare, sarebbe lungo. Ma la foto di gruppo illumina da sé il ruolo giocato dalla Sicilia in una nazione in bilico, dove al Nord va iniziando l’ascesa di quello che entro una decina d’anni si configurerà come il regime della corruzione di Tangentopoli.
I delitti Terranova, Costa e Mattarella sono il simbolo di una rottura tra mafia e Stato, che fino ad allora avevano convissuto in una pacifica divisione di ruoli
Ecco, è questa concentrazione di poteri illegali (finanziario, politico, massonico, criminale) che diventa terreno ospitale per i delitti che, da Mattarella a La Torre a dalla Chiesa, devono tenere il Paese da una certa parte del crinale della storia. Un crinale che viene splendidamente descritto da Italo Calvino nel suo Apologo sull’onestà pubblicato su Repubblica nel marzo del 1980. Nulla sa dei corleonesi, Calvino. Ma l’epoca in cui essi possono dilagare e trovare collegamenti fino a Milano, inondandone l’economia di narcodollari, quella viene descritta mirabilmente. Come anche lo spirito di coloro che la sfidano, "la controsocietà degli onesti". Il 1982, insomma, segna il trionfo di un potere che opera dentro la Repubblica proprio mentre – ecco qui le complessità della storia – ai vertici della Repubblica sta uno degli uomini più adamantini prodotti dalla vicenda politica postbellica, Sandro Pertini. La lotta tra società illegale e controsocietà degli onesti si sviluppa per un decennio e le sue premesse vanno cercate proprio nel 1982, con l’approvazione della legge Rognoni-La Torre e la nascita di un movimento antimafia nazionale.
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