Il palazzo di giustizia di Milano. Foto: F. Romero/Flickr
Il palazzo di giustizia di Milano. Foto: F. Romero/Flickr

Bindi: "Quello che resta della mafia è conseguenza di Tangentopoli"

Solo recuperando l'occasione mancata di Mani pulite, la politica potrà sconfiggere la criminalità organizzata, che oggi spara meno anche perché incontra interlocutori disponibili agli affari

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra della Salute, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

17 maggio 2022

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Il 1992 è uno di quegli anni che non si possono e non si devono dimenticare. È l’anno delle stragi di mafia ed è l’anno di Tangentopoli.Tutti ricordano cosa è accaduto. Ricordiamo gli arresti dei politici, le aule di tribunale, le folle osannanti i magistrati e quelle infuriate contro i corrotti. Ricordiamo le macerie di Capaci e di via d’Amelio. Ricordiamo lo sdegno e il dolore, la disperazione e la voglia di riscatto. Su Tangentopoli si è detto molto in questi mesi. I più si sono soffermati sulla vicenda giudiziaria, ci siamo interrogati sul ruolo della procura di Milano, ci siamo chiesti se ci sia stato un uso corretto delle procedure o se piuttosto siano state sospese alcune garanzie giuridiche poste a tutela degli inquisiti. Sono stati giustamente ricordati i tanti suicidi durante il periodo della carcerazione preventiva. Soprattutto ci siamo chiesti se per mano della magistratura si sia realizzata una vera e propria decapitazione della politica e quindi una impropria invasione di campo tra poteri dello Stato.

Mani pulite, trent'anni dopo

Tangentopoli non è stata una vicenda giudiziaria

Non ho letto e ascoltato commenti politici su quella vicenda, tanto triste, della nostra vita democratica. Si è ripetuto l’errore di quei difficili mesi, quando tutto sembrava ridotto a una vicenda giudiziaria. In realtà quella che fu definita Tangentopoli fu una vicenda soprattutto politica. Le inchieste delle procure portarono alla luce un costume corrotto insospettato per i cittadini e tollerato come “normale” da una parte rilevante del sistema partitico e imprenditoriale del tempo. Le opere pubbliche erano fonte di improprio arricchimento per imprese e partiti. La politica aveva perso autorevolezza ed era diventata costosa perché pensava di recuperare potere con la forza del denaro. Anche la democrazia interna dei partiti era drogata da una competizione non più fondata sul confronto delle idee e dei programmi o sulla capacità delle classi dirigenti, ma sui pacchetti di tessere fasulle procurate con il denaro delle tangenti e con cui si vincevano i Congressi e si distribuiva potere nel governo centrale e locale. Perché, eccezioni a parte, la politica non ha avuto la forza di guardarsi dentro? Perché si è limitata a subire il giudizio della magistratura e non ha avuto il coraggio di emettere un giudizio politico sul proprio operato? Perché alcuni politici sfidarono la magistratura e molti altri si nascosero in attesa che passasse la bufera e solo pochi ebbero il coraggio di affrontare la questione morale come questione politica?

Si è parlato del pool di Milano e del processo ma non della politica e dei partiti. Penso che Tangentopoli sia stata un’occasione mancata, che l’Italia ha pagato molto cara

Il falso cambiamento

Anche quest’anno ricordando quel 1992 si è parlato del pool diMani pulite, dei magistrati appunto, ma non della politica e dei politici, dei partiti e della loro crisi. Alcuni hanno definito Tangentopoli un’occasione mancata. Anch’io penso che sia stata una straordinaria occasione mancata. E l’Italia ha pagato molto cara quell’occasione mancata. Mentre le aule giudiziarie decapitavano un’intera classe dirigente e spazzavano via un intero sistema partitico, le italiane e gli italiani si indignavano e chiedevano un rinnovamento vero e profondo della politica, invocavano giustizia, onestà, competenza, dedizione alla cosa pubblica. La mancata iniziativa politica portò allo scioglimento anticipato del Parlamento e alla vittoria, nelle elezioni del 1994, di Silvio Berlusconi. Una novità nella politica italiana, certamente, ma non altrettanto la novità auspicata e attesa. Non abbandonerò il “politicamente corretto” che mi sono imposta e che questa rivista merita se mi permetto di affermare che le elettrici e gli elettori italiani dovranno prima o poi ammettere che decisero di affidare il futuro dell’Italia a chi, più di molti altri, era il prodotto di quella politica e di quel costume che volevano superare e che le inchieste giudiziarie avevano portato alla luce. Fu un’occasione mancata che stiamo ancora pagando.

Strage di Capaci, minori della giustizia riparativa in campo per ricordare

L’occasione colta e quella mancata

Ma veniamo all’altro capitolo di quel 1992: le stragi di mafia. A partire dal mese di maggio in ogni parte del nostro Paese faremo memoria del sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non saranno soltanto celebrazioni per lavare le nostre coscienze: dovranno essere una straordinaria occasione per cercare la verità, per capire le mafie di oggi e per rinnovare il nostro impegno per combatterle e sconfiggerle. Il dolore e lo sdegno di quel martirio non è stata un’occasione mancata. Lo Stato reagì, le nostre coscienze reagirono. Quella mafia l’abbiamo combattuta e sconfitta. Nessun capo di Cosa nostra che ordinò o eseguì quelle stragi è ancora tra noi. C’è un’Italia che è nata in quegli anni, che ha rinnovato l’impegno per una democrazia più forte. Libera è nata in quegli anni, la legislazione e gli strumenti per combattere le mafie si sono perfezionati dopo quel terribile 1992. Nessuno dopo Capaci e via D’Amelio ha potuto più negare l’esistenza della mafia. Tutti noi ricordiamo la disperazione di Caponnetto e le sue parole: è tutto finito. In realtà molto è incominciato. L’occasione mancata e l’occasione non sprecata possono e devono ancora parlare alla politica di oggi e alle nostre coscienze.
Se la mafia di oggi, come si afferma, spara meno perché corrompe di più, è perché trae sempre di più la sua forza dalla disponibilità della politica e dell’economia a intessere rapporti illeciti con i poteri mafiosi. Verrebbe da pensare che solo recuperando l’occasione mancata di Tangentopoli la politica potrà davvero combattere e sconfiggere la mafia, non solo quella delle stragi, ma anche quella degli affari, quella che oggi è più forte perché la politica è ancora debole.

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