31 marzo 2022
La memoria delle vittime delle stragi diventa una maglia da indossare su un terreno di gioco. L’agonismo un modo per onorare chi si è sacrificato. Anche lo sport vuole ricordare le vittime innocenti delle mafie. Lo ha dimostrato il 21 marzo scorso, quando molti atleti hanno pubblicato sui loro social network un’immagine, un sorriso, un gesto, un passo di danza, un posa di karate o un video. Tra di loro, c’era anche la pattinatrice Arianna Fontana, reduce dai Giochi olimpici invernali di Pechino con un oro e due argenti che fanno di lei l’italiana più medagliata di sempre alle Olimpiadi. Tutti questi gesti avevano un significato, cioè dirci: "Cari, ci siamo anche a noi! A ricordare. A stare al vostro fianco". L’hashtag ideato per l’occasione, #losportnonvidimentica, è entrato in tanti campetti, palestre, oratori. Che cosa ci indicano tutte quelle foto? Sono tasselli che alla fine compongono un puzzle, ci suggeriscono che memoria e sport possono giocare insieme la stessa partita. Portare all’attenzione dei giovani qualcosa che non li riguarda così da vicino è una missione complessa, ma perché non provarci mentre si divertono a palleggiare in un campo?
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C’è un’altra iniziativa che ci proverà a breve. Tra poco saranno trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 1992 è stato un anno tragico per il nostro Paese e per la nostra democrazia. I fatti del 23 maggio e del 19 luglio ci hanno ferito il cuore, hanno rischiato di distruggere per sempre la speranza. Ci hanno lasciato numeri e nomi che non si possono dimenticare, come quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il 22 maggio prossimo li “porteremo” proprio sulle nostre gambe: loro che si sono conosciuti giocando a calcio, i giudici coraggiosi, per sempre nostri eroi popolari, ai quali – se potessimo vederli ancora giocare – doneremmo la maglia numero 10 ad honorem, più la vittoria della Champions League e un doppio Pallone d’oro. Motivazione: per aver disputato la partita più dura, purtroppo ancora in corso, contro Cosa nostra, contro le mafie, e per non aver mollato di un centimetro l’avversario, anche quando in campo non tutta la squadra faceva lo stesso gioco, quando qualcuno si era venduto la partita.
"Un po’ ti emozioni sapendo che sulle spalle hai il cognome di una persona uccisa dalla mafia, ma ti senti anche fiero che si parli ancora di lui"
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino e gli agenti di polizia Emanuela Loi, Agostino Catalano, Antonio Montinaro, Walter Eddi Cosina, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina torneranno quindi in campo “sulle gambe” di tanti giovani a Milano, proprio il giorno prima dell’anniversario di Capaci, in un torneo di calcio, basket e beach volley pensato e voluto per non dimenticare. E si parlerà di ciascuno di loro, delle loro storie, che sono la storia ferita della nostra Italia.
Una maglia da indossare, un nome da ricordare, un racconto da ascoltare. Sarà un’edizione speciale, non solo per i trent’anni da quella strage, ma perché a giocare, insieme ai volontari di Libera, ci saranno i minori della giustizia riparativa del progetto nazionale “Amunì”, giovani che riscoprono con Libera il senso dello Stato e di un percorso diritto nella legalità. È anche occasione di incontro e confronto con “compagni di viaggio” che vivono gli stessi percorsi riparativi a centinaia di chilometri di distanza e di culture di riferimento.
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"Siamo partiti con la convinzione che le attività sportive possano prevenire i rischi e sostenere la crescita dei giovani – racconta Barbara Pucello, coordinatrice del progetto –. Lo sport ha una forte valenza sociale perché capace di influire positivamente sulla qualità della vita dei giovani. Inoltre attraverso lo sport è più facile veicolare i concetti di cultura, di salute e benessere, di rispetto delle regole e dell’avversario, di confronto con i propri limiti, di consapevolezza delle proprie potenzialità, e anche di inclusione, integrazione sociale, aggregazione".
Indossare una maglia coi cognomi delle donne e degli uomini uccisi nelle stragi di Capaci e via D’Amelio diventa anche un’opportunità di memoria, una testimonianza di coraggio, di dedizione e di rispetto verso quelle persone che non hanno esitato nel momento più disperato e che sapevano esattamente cosa rischiavano e quanto fosse importante il loro impegno. "Un po’ ti emozioni sapendo che hai sulle spalle il nome di una persona uccisa dalla mafia, però ti senti anche fiero che si parli ancora di lui", dice Francesco, che ha partecipato a una precedente edizione del torneo. Il senso è proprio questo: educare i giovani al valore della memoria, all’eredità che ci consegna e alla responsabilità che ne consegue. Sentirsi un po’ in debito aiuta, perché fai più attenzione a restituire ciò che hai ricevuto. In fondo, basta poco. Per esempio svegliarsi la mattina e pensare: oggi posso essere un cittadino migliore, uno studente migliore, uno sportivo migliore.
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