
Quando Catania si allaga, la crisi climatica è un alibi

10 dicembre 2021
A proposito di sogni. C’è una partita davvero importante ancora da giocare nel nostro Paese. Una partita con al centro il diritto di essere italiani per quella numerosa gioventù nata qui da genitori stranieri o che da tanti anni vive, studia, si allena nelle nostre città. Ragazze e ragazzi che rendono l’Italia una comunità più ricca, multietnica, con tutti i colori e gli sguardi del mondo. Sembrerebbe facile, normale. La realtà è che invece, a parte qualche fiammata di orgoglio in occasioni speciali (vedi il batticuore nazionale per le medaglie olimpiche), sul ponte della nostra politica pare sventoli bandiera bianca.
Ci siamo emozionati per l’oro di Marcel Jacobs nato a El Paso da padre statunitense e madre italiana e per la medaglia di Fausto Desalu nella sua splendida terza frazione della 4x100 olimpica; lui, di origine nigeriana e nato a Casalmaggiore (Cremona), è diventato italiano soltanto a 18 anni. Dovremmo emozionarci anche davanti al sogno dei tantissimi giovani che parlano bresciano, romano, torinese e aspettano un diritto che dovrebbe essere già loro: diventare italiani. Invece per loro dopo i diciotto anni inizia il lungo percorso di richiesta della cittadinanza: non proprio una passeggiata burocratica. E vallo a spiegare a chi vive di sogni.
Vallo a spiegare a Great Nnachi, nata a Torino il 15 settembre del 2004 da genitori nigeriani. Perde il padre quando lei ha soltanto cinque anni. La madre fa la badante. Lei ha in corpo un talento che ancora non conosce. Troverà qualcuno che la aiuta a coltivarlo: Luciano Gemello, allenatore di salto con l’asta del Cus Torino, una breve parentesi agonistica e una passione infinita per l’educazione fisica. Lui la accoglie nel suo gruppo e le insegna a volare: "Great è ormai la mia terza figlia. A 11 anni saltava già due metri e 70 centimetri".
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