Great Nnachi, nata a Torino nel 2004 da genitori nigeriani, ha il record nazionale nel salto con l'asta ed è Alfiere della Repubblica come atleta. Ma aspetta ancora il passaporto italiano
A proposito di sogni. C’è una partita davvero importante ancora da giocare nel nostro Paese. Una partita con al centro il diritto di essere italiani per quella numerosa gioventù nata qui da genitori stranieri o che da tanti anni vive, studia, si allena nelle nostre città. Ragazze e ragazzi che rendono l’Italia una comunità più ricca, multietnica, con tutti i colori e gli sguardi del mondo. Sembrerebbe facile, normale. La realtà è che invece, a parte qualche fiammata di orgoglio in occasioni speciali (vedi il batticuore nazionale per le medaglie olimpiche), sul ponte della nostra politica pare sventoli bandiera bianca.
Ci siamo emozionati per l’oro di Marcel Jacobs nato a El Paso da padre statunitense e madre italiana e per la medaglia di Fausto Desalu nella sua splendida terza frazione della 4x100 olimpica; lui, di origine nigeriana e nato a Casalmaggiore (Cremona), è diventato italiano soltanto a 18 anni. Dovremmo emozionarci anche davanti al sogno dei tantissimi giovani che parlano bresciano, romano, torinese e aspettano un diritto che dovrebbe essere già loro: diventare italiani. Invece per loro dopo i diciotto anni inizia il lungo percorso di richiesta della cittadinanza: non proprio una passeggiata burocratica. E vallo a spiegare a chi vive di sogni.
Vallo a spiegare a Great Nnachi, nata a Torino il 15 settembre del 2004 da genitori nigeriani. Perde il padre quando lei ha soltanto cinque anni. La madre fa la badante. Lei ha in corpo un talento che ancora non conosce. Troverà qualcuno che la aiuta a coltivarlo: Luciano Gemello, allenatore di salto con l’asta del Cus Torino, una breve parentesi agonistica e una passione infinita per l’educazione fisica. Lui la accoglie nel suo gruppo e le insegna a volare: "Great è ormai la mia terza figlia. A 11 anni saltava già due metri e 70 centimetri".
La prima volta che Great capisce di non essere italiana è quando stabilisce il nuovo record di salto con l’asta (3,70 m), ma non le viene riconosciuto
Liliam Thuram, campione di calcio, ha detto: "Non sapevo di essere nero. L’ho scoperto la prima volta a nove anni quando qualcuno me l’ha detto". La prima volta che Great capisce di non essere italiana è quando, da cadetta, stabilisce il nuovo record di salto con l’asta (tre metri e 70), ma non le viene riconosciuto, in quanto "straniera". Il suo allenatore però non si arrende e grazie alle continue richieste e sollecitazioni all’ex presidente della Federazione italiana atletica leggera (Fidal), Alfio Giomi, nel 2019 arriva una norma deliberata dal Consiglio federale in base alla quale "gli atleti stranieri cadetti e allievi possono concorrere all’ottenimento delle migliori prestazioni italiane di categoria, ove siano tesserati per una società affiliata, siano residenti in Italia e nel nostro Paese frequentino gli istituti scolastici". E così Great torna in pista, si riprende titolo e record, migliorandolo di altri 10 centimetri.
Ecco la storia di Great Nnachi, comune a tantissime altre non soltanto nello sport: lei è per sei volte campionessa italiana, ha il record nazionale ma continua a non essere cittadina italiana. Questo significa, per lei atleta, che non può rappresentare il Paese in cui è nata, vive, studia, e che sente nell’anima nelle competizioni internazionali. Aggiungiamo anche che le è stato conferito, quando aveva 15 anni, dal presidente Sergio Mattarella, il riconoscimento di Alfiere della Repubblica "per le sue qualità di atleta, affinate pur tra difficoltà, e per la disponibilità che mostra nell’aiutare i compagni e nel collaborare alla formazione e all’allenamento dei più piccoli". Bene, grazie, un onore, ma continua a non essere italiana.
Great oggi ha 17 anni, manca poco all’inizio della procedura ufficiale. Ma per uno sportivo un anno può essere un’eternità
Great oggi ha 17 anni, quindi manca poco all’inizio della procedura ufficiale. Ma per uno sportivo un anno può essere un’eternità. Questa impossibilità di vestire la maglia azzurra non le consente di confrontarsi con le migliori al mondo e di crescere nell’esperienza internazionale. Ma nonostante tutto ciò, a sentire l’entusiasmo del suo allenatore, Great non perderà comunque un grammo di motivazione per continuare a volare sempre più in alto. Un modo anche per avvicinarsi un po’ di più a suo papà che la guarda dall’alto, come disse dopo il primo record a soli 15 anni.
A tutti noi, e per noi intendo la rete allargata di Libera, con le tante realtà che si spendono con passione anche per accogliere minori che vivono, studiano, praticano sport nel nostro Paese, resta l’amarezza di non poter cambiare subito le cose e la paura che un diritto (dovuto) possa diventare un’ennesima pretestuosa prova di forza politica. Vogliamo però continuare a credere a quella Italia bella che non si arrende, che sa dimostrare che l’impossibile è possibile (Bebe Vio insegna), e che quindi la partita della riforma della cittadinanza non resterà confinata in panchina. Perché Great e le tante altre Great che vivono nel nostro Paese possano sentirsi al più presto semplicemente come noi. Italiane, italiani.