
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
10 settembre 2020
Mathare è una palestra di vita, una baraccopoli di cinquecentomila persone che convivono in un’area di tre chilometri quadrati. Uno degli slum più antichi della capitale Nairobi, in Kenya. Denominatore comune è la mancanza di accesso ai servizi di base come l’acqua e l’elettricità, a cui si accede informalmente seguendo le regole imposte dalla strada. A Mathare, però, non esiste solo la cronaca della violenza di bande criminali e forze dell’ordine impunite. "Mi chiamo Lavender, ho 17 anni e sono una studentessa e una appassionata giocatrice di basket. Ho studiato alla Whynot academy nello slum Mathare, dove ho avuto l’opportunità di far parte del progetto di basket SlumsDunk. Sono stata brava nel mio percorso scolastico e attraverso il basket ho ottenuto una borsa di studio per proseguire i miei studi in una buona scuola". Lavender è una delle tante voci che affollano i campi da gioco della baraccopoli, l’occasione di una vita differente per migliaia di ragazzi.
Non sappiamo se Lavender sia una promessa del basket, ma sappiamo che a Mathare, nei campetti della Whynot academy, ci sono persone che offrono a lei e a tanti altri ragazzi un bene prezioso: la possibilità di scegliere. Uno tra tutti, Dominic Otieno, allenatore e direttore dell’associazione Whynot: "Quando andavo a scuola ero un grande appassionato di calcio. Avevo tre sogni: diventare un giocatore professionista, un manager e un politico. Ma soprattutto rendermi utile, offrire un’opportunità alla mia comunità". Alla fine ha realizzato quest’ultimo sogno, offrendo ai ragazzi dello slum la possibilità di cambiare attraverso lo sport i propri destini scritti in quelle strade dissestate. Qui, tra campi per il calcio e il basket, fin da piccoli i bambini imparano i valori della convivenza e della collaborazione nel rispetto gli uni degli altri.
"Corruzione, impunità, violenza, droghe e povertà dal volto miserevole. Volevo combattere queste parole, cambiare il vocabolario della comunità. All’inizio degli anni Novanta ho intravisto come lo sport potesse creare un forte senso di comunità tra i ragazzi, garantendo così anche un sistema educativo di qualità. Lo sappiamo: i percorsi formativi sono la vera chiave contro povertà e miseria e lo sport rappresenta la miglior prevenzione al rischio che i più giovani finiscano in balia di bande e droghe. Lo sport è stato capace di rendere la mia comunità, Mathare, pulita, sicura, salva ora e in futuro. Ma per arrivarci è stato necessario costruire infrastrutture come la Whynot academy. Nei nostri campetti oggi non solo centinaia di giovani comprendono il valore della giustizia sociale e dei diritti umani, ma hanno l’opportunità di dimostrare il proprio talento".
Con la voce orgogliosa di un padre, Dominic snocciola alcuni nomi di ragazzi oggi lontani da Mathare, testimoni viventi un’alternativa possibile per l’intera comunità. "Sfortunatamente nessuno gioca nelle competizioni internazionali, non ancora. C’è Javan Oila Opiyo, classe 2004, che gioca al Novipiù campus Piemonte basketball. Milton Ochieng, 17 anni, studia per la Renaissance academy in California. E poi c'è Teddy Ochieng, 21 anni, all’università di Los Angeles. Dai tempi della baraccopoli è cambiato molto e oggi è un giocatore completo, capace di farsi notare".
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