Guardia costiera greca respinge i migranti a bordo di una barca. Credits: Mark Stone, via Twitter
Guardia costiera greca respinge i migranti a bordo di una barca. Credits: Mark Stone, via Twitter

Unhcr: "5500 bambini non accompagnati profughi in Grecia, l'Europa li accolga"

Boris Cheshirkov, portavoce dell'alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, è a Lesbo dove nelle scorse ore è morto un bimbo curdo-siriano: si trovava su una barca che si è capovolta nel tentativo di raggiungere l'isola

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

3 marzo 2020

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"L'Unione europea deve aiutare la Grecia con un programma di ricollocamento dei rifugiati. Inizi dai 5500 bambini, senza genitori né parenti, che si trovano nel paese. L'Europa li accolga". A dirlo a lavialibera, raggiunto telefonicamente, è Boris Cheshirkov, portavoce dell'Unhcr (l'alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) che si trova a Lesbo per monitorare la situazione, dopo che il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha annunciato di aver aperto i confini del paese ai migranti intenzionati a raggiungere l’Europa.

La decisione è arrivata in seguito all'uccisione di 36 soldati turchi vicino a Idlib, l'ultima zona della Siria rimasta nelle mani dei ribelli, dove continua l'assedio delle forze del regime di Bashar al-Assad e nelle ultime ore sarebbero morti nove civili, tra cui cinque bambini. La scelta ha determinato la partenza di migliaia di migranti, che in queste ore stanno cercando di entrare in territorio greco.

600 nuovi arrivati a Lesbo negli ultimi giorni. Un bimbo è morto nel tentativo di raggiungere l'isola

Sull'isola di Lesbo negli ultimi giorni sono arrivate 600 persone e ieri un bambino curdo-siriano di cinque anni è morto a causa del capovolgimento della barca in cui si trovava. "Ancora una volta è un bambino a pagarne le conseguenze - commenta Cheshirkov -. Una morte che ricorda quanto sia pericolosa la traversata dalla Turchia alla Grecia e che dietro questa traversata ci sono i trafficanti, che mettono a rischio la vita delle persone usando barche in condizioni precarie".

Cheshirkov, qual è la situazione a Lesbo?
"Negli ultimi giorni sono sbarcate, in totale, 600 persone e il picco degli arrivi è stato registrato sabato. La principale differenza rispetto al passato è una: se prima i migranti venivano portati nei centri di accoglienza e avevano l'opportunità di presentare richiesta d'asilo, adesso il governo ha deciso di sospendere per un mese la presa in carico di nuove domande. Una decisione che viola la convenzione sullo status dei rifugiati e le leggi europee, che impegnano gli Stati dell'Unione a predisporre un'adeguata procedura per chi vuole chiedere asilo. Senza, il rischio è che le persone arrivate vengano mandate indietro, dove la loro vita è in pericolo".

"Il campo di Moria è al collasso. La maggior parte dei migranti va trasferita subito, a chi resta bisogna assicurare la possibilità di chiedere asilo"

Ci sono diversi fronti aperti: da un lato, le frontiere della Grecia che in queste ore sono state prese d'assalto; dall'altro, i centri d'accoglienza, sovraffollati. Ci descriva la situazione.
"Il confine terrestre tra Grecia e Turchia è quello che sta subendo maggiore pressione, mentre sulle isole al momento non stiamo registrando un flusso particolarmente forte. Gli 800 arrivi complessivi - numero che comprende anche i migranti sbarcati su altre isole e non solo a Lesbo - vanno messi in prospettiva: tra il 2015 e il 2016, sono arrivati sulle isole greche circa 10mila profughi nel giro di trenta giorni. Qui l'emergenza rimangono i sovraffollati centri di accoglienza. La struttura di Moria (a Lesbo, ndr) è al collasso: ci sono più di 18mila persone in uno spazio che è stato costruito per 2.200 individui. Molte di loro sono famiglie afghane e siriane che vivono in condizioni degradanti: non hanno riscaldamenti, né cibo, né acqua. Per andare in bagno sono necessarie file di ore e l'accesso alle cure è limitato: i dottori sono troppo pochi e oberati di lavoro. Chiediamo alla Grecia di trasferire la maggior parte di queste persone sulla terraferma e assicurare a coloro che restano una procedura d'asilo giusta e veloce. Queste sono le misure essenziali che andrebbero prese nei prossimi giorni".

Che cosa deve fare l'Unione europea?
"Deve sostenere la Grecia, ma anche altri paesi come l'Italia, con un programma di ricollocamento per i rifugiati. Seppur con dei problemi, ne abbiamo avuto uno attivo fino al 2017, che successivamente non è stato rimpiazzato. Ora è necessario. Il programma di ricollocamento può iniziare sin da subito con i bambini non accompagnati. In questo momento in Grecia si trovano 5500 bambini profughi, senza parenti né genitori. Ci sono adeguate strutture solo per il 20 percento di loro, mentre gli altri sono esposti ad abusi e sfruttamento".

Nelle scorse ore abbiamo visto i video che mostrano la guardia costiera greca (a Kos) sparare e prendere a bastonate i migranti su un gommone, l'utilizzo di gas lacrimogeni da parte dei militari alla frontiera terrestre, e le immagini di un ragazzo siriano ucciso al confine che il governo greco ha bollato come "fake news" ma poi si sono rivelate vere. Come giudica l'operato delle autorità greche?
"La nostra posizione al riguardo è chiara: condanniamo l'uso eccessivo e sproporzionato della forza, seppur riconosciamo che ogni Stato abbia il diritto di esercitare il controllo delle proprie frontiere".


A Lesbo nei giorni scorsi un gruppo di abitanti ha respinto un gommone che ha tentato di attraccare alla banchina dell'isola. Inoltre, sono stati picchiati operatori umanitari e giornalisti. 
"Episodi preoccupanti. Un nostro collega è stato aggredito sia fisicamente sia verbalmente domenica pomeriggio e una struttura di transito per i nuovi arrivi, collocata nel nord dell'isola, è stata bruciata domenica notte. Ma per fortuna sono casi isolati. Invitiamo a mantenere la calma".

L'appello dei siriani a Idlib

Intanto a Idlib continua l'assedio. Secondo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, nove civili - tra cui cinque bambini - sarebbero morti nelle ultime ore a causa di un razzo che ha centrato una strada nel centro cittadino. Gli abitanti della città hanno lanciato un appello, ripreso dall'associazione Operazione colomba. Ecco il testo integrale:

Noi civili della provincia di Idlib chiediamo di essere ascoltati!
Chiediamo che ci aiutiate a fermare questa guerra che si sta abbattendo su di noi!
Chiediamo che ci aiutiate a rimanere nelle nostre case!

Proprio in questi giorni decine di famiglie hanno lasciato la propria casa dopo gli attacchi diretti ai civili da parte dei russi e delle forze del regime sostenuti dalle milizie iraniane.

Queste famiglie non sono state in grado di trovare neppure una tenda che li ospitasse!
I feriti, dopo aver ricevuto le cure, rifiutano di lasciare l'ospedale perché non hanno dove andare!
Una paziente, malata di cancro al seno, ha interrotto i trattamenti per poter comprare il pane per i suoi bambini e la sua famiglia.
Quel che stai leggendo non è finzione!
Sono storie vere di persone reali che vivono a Idlib, non lontane dall’Europa : tutto questo sta succedendo oggi, non nel Medioevo!
Ci sono molte più storie di quanto queste pagine siano in grado di contenere!
Alcune statistiche dell'ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari mostrano che, in seguito agli attacchi da parte delle forze del Governo Siriano e degli aerei militari russi, più di 800.000 persone sono state evacuate nel nord-ovest della Siria dal dicembre 2019 al 9 febbraio 2020, numero che include mezzo milione di bambini, sfollati con le proprie famiglie. Le statistiche mostrano che durante i giorni scorsi (9-12 febbraio), 142.000 persone sono state evacuate nel nord-ovest della Siria.
Questo significa 1.290 famiglie ogni ora o 21 famiglie al minuto solo tra il 9 e il 12 febbraio.
Ad esempio, la città di Idlib presenta, oggi, più di 1.100.000 persone terrorizzate dai bombardamenti degli aerei militari russi e siriani e dalla continua avanzata del regime siriano verso la città, cosa che li costringe a fuggire verso il confine turco, provocando una crisi umanitaria.
Lo stesso accade in città di altre regioni vicine.
Le condizioni di vita quotidiane sono molto critiche e in continuo peggioramento a causa delle operazioni militari e del rigido inverno.
Nonostante, in questi giorni, le temperature abbiano raggiunto i 6 gradi sotto lo zero e le persone sfollate siano senza riscaldamento o senza un riparo, la risposta umanitaria internazionale alla crisi si è rivelata più volte fallimentare e inefficace.
Recentemente, le organizzazioni operative sul campo hanno riportato casi di bambini morti a causa del freddo, così come casi di morte per soffocamento per l'inalazione di gas tossici emessi da materiali bruciati, non adatti ad essere utilizzati come combustibile per riscaldamento.
I civili sono stati evacuati dal proprio territorio non solo a causa delle operazioni militari ma perché rifiutano di sottostare all'autorità di Assad.
Tra queste persone c'è chi si è chiuso la porta alle spalle, chi ha bruciato la propria casa con le sue stesse mani e chi ha portato con sé la lapide dei propri cari dopo aver visto i soldati del regime rovinare le tombe nella zona di Khan Al-Sabil, qui nella provincia di Idlib.
Le persone preferiscono vivere in tende o all'aperto piuttosto che tornare sotto il regime di Assad e, se impossibilitati, pensano a fuggire dal proprio Paese per poter assicurare ai figli ciò che a loro è stato negato, per trovare rifugio dal freddo dell'inverno e sollievo dal calore dell'estate, per dare ai bambini la possibilità di frequentare scuole e Università e per vivere una vita dignitosa e libera dalla tirannia, dalla morte, dalla paura di essere arrestati.
Gli sfollati sono emigrati verso aree vicine al confine turco dove potrebbero essere al sicuro.
Tuttavia, le forze del regime hanno bombardato i campi profughi al confine nella zona di Sarmada, nei pressi del confine.
Per quanto riguarda le scuole, il processo di formazione scolastica è stato quasi totalmente interrotto dall'inizio di gennaio; gli sfollamenti e la paura dei bombardamenti hanno portato alla chiusura di diverse scuole.
Alcune statistiche fornite dalla Direzione Generale per la Salute e l'Organizzazione Sanitaria della Provincia di Idlib affermano che più di 53 strutture sanitarie sono state chiuse in seguito ad attacchi diretti.
La presenza di sfollati interni in aree non adeguatamente equipaggiate e prive di strutture sanitarie funzionanti, rende queste stesse persone più vulnerabili alla diffusione di malattie ed epidemie.
Abbiamo bisogno di far sentire la nostra voce all'interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per porre fine a questa guerra.
Abbiamo bisogno di supporto immediato per poter essere in grado di offrire protezione a bambini, donne e a tutti gli sfollati, dalla morte, dal freddo, dalla fame e dalle malattie.

Firmatari:
- Ghassan Hamra, direttore del Consiglio locale della provincia di Idlib
- Atef Zureik, direttore della Commissione Politica della provincia di Idlib
- Raeifa Samie, membro del Comitato Costituzionale
- Nada Aswad, membro del consiglio di Women’s Advisory alle Nazioni Unite come inviata speciale per la Siria
- Sawsan Al-Saeed, membro del consiglio di Glimpse of Hope Organization nella città di Idlib
- Munther Khalil, direttore della Direzione per la Salute di Idlib
- Yasser Al-Sayed, direttore del centro di riabilitazione siriano
- Mahmoud Aswad, direttore esecutivo di Doctors and Lawyers for Human Rights
- Ali Al-Zeer, direttore esecutivo di Elaf Organization
- Muheib Qaddour, direttore dell'ospedale di Aqrabat
- Qutaiba Sayed Issa, direttore esecutivo di Violet Organization
- Raed Al-Saleh, direttore di Syrian Civil Defense
- Aisha Qassas, Program Manager di UOSSM
- Yassin Al-Yassin, ex direttore della Direzione dell'Educazione di Idlib
- Osama Al-Hussein, direttore di Starting Point Organization
- Ahmed Moubayed, attivista civile

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