L'attore George Campbell Scott interpreta il generale Buck Turgidson nel film di Stanley Kubrick "Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba" (Wikimedia Commons)
L'attore George Campbell Scott interpreta il generale Buck Turgidson nel film di Stanley Kubrick "Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba" (Wikimedia Commons)

La guerra come tremenda libertà

Alcuni filosofi, antropologi e storici sostengono che combattere e uccidere il nemico svincola da regole morali e giuridiche che regolano la convivenza, e per questo motivo esercita ancora molto fascino. Il professore Francesco Remotti ne spiega il pensiero

Francesco Remotti

Francesco RemottiProfessore emerito di Antropologia culturale dell'Università di Torino

1 luglio 2025

Sul numero di aprile 2025 de lavialibera abbiamo pubblicato un breve scritto intitolato La guerra tra ripudio e seduzione: il ripudio è quello sancito dall’articolo 11 della nostra Costituzione, mentre la seduzione è l’amara e sorprendente constatazione di come la guerra – pur non essendo un universale culturale (ci sono società che hanno davvero ripudiato la guerra) – continui ad attrarre società e gruppi umani. Avevamo concluso sostenendo che la guerra non è una necessità ineluttabile, ma una potenzialità che ha la caratteristica di sedurre. Rimane da capire perché.

Abbiamo avanzato un’ipotesi ardimentosa, e tremenda se fosse vera, ossia che la guerra potrebbe coincidere con un incremento vertiginoso del senso di libertà, a cui – secondo quanto affermava Jean-Paul Sartre nel 1943 – gli esseri umani sarebbero condannati.

Ripudiamo la guerra perché la sua potenza ci ha sedotto

La guerra come liberazione dai vincoli morali

Partiamo da un pensiero di Blaise Pascal, che nel Seicento raffigurava questa situazione: un uomo disarmato chiede a un soldato proveniente da un paese straniero: "Perché mi uccidete?". E il soldato risponde: "Come! Non abitate forse sull’altra riva del fiume? Amico mio, se abitaste da questa parte, sarei un assassino e sarebbe ingiusto uccidervi, ma poiché abitate sull’altra riva, sono un valoroso e quel che faccio è giusto".

Come si vede, la guerra è la liberazione dalla morale, dai vincoli che stabiliscono la convivenza all’interno di un “noi”: vincoli morali, vincoli giuridici. È ben vero che esiste anche un diritto internazionale e che vi sono convenzioni che regolano e delimitano i campi dell’aggressività armata, così come è vero che si potrebbero portare una molteplicità di esempi di ritualizzazione dell’attività bellica. La stessa esistenza di convenzioni, siano esse giuridiche o rituali, pone in luce la necessità di arginare in qualche modo la libertà dell’uccidere che è a fondamento della guerra.

Mentre la pace coincide con una vantaggiosa autolimitazione, con una gratificante e consapevole rinuncia alla libertà dell’uccidere, la guerra è un’esaltazione di questa stessa libertà

Come non ammettere però – assistendo, ad esempio, a quanto si verifica in questi mesi a Gaza e in Ucraina – che la guerra tende a spingersi ben oltre i confini morali e giuridici stabiliti dalle convenzioni, specialmente quando, venute meno le ritualizzazioni, rimangono soltanto le norme giuridiche? Potremmo quindi sostenere che, mentre la pace coincide con una vantaggiosa autolimitazione, con una gratificante e consapevole rinuncia alla libertà dell’uccidere, la guerra è un’esaltazione di questa stessa libertà. Un’esaltazione morigerata, allorché è sottoposta a convenzioni rituali e giuridiche; esaltazione estrema, allorché si svincola dai limiti e dalle norme delle convenzioni.

C'è bisogno d'amore, anche in Putin

La guerra e la natura umana

Non è forse eccessivo e biasimevole ricercare le radici della guerra nella libertà, sciupare il concetto (e il valore) della libertà mischiandolo con la guerra? Non sarebbe forse meglio collegare la guerra alla natura umana, come ci suggerisce il recente libro Guerra e natura umana di Gianluca Sadun Bordoni? Chi scrive propende a considerare Homo sapiens come una specie la cui evoluzione è stata contrassegnata da un progressivo diradament6 di informazioni genetiche per quanto attiene il suo comportamento: nel bene e nel male il nostro comportamento è lasciato alquanto libero dal nostro dna. Ecco perché – per riprendere l’espressione di Sartre – siamo condannati alla libertà.

Liberi in buona parte dalle informazioni e dai vincoli genetici, organizziamo il nostro comportamento mediante informazioni culturali, quelle che inventiamo, facciamo valere e trasmettiamo sul piano sociale. Le nostre culture, sostenute dalle nostre società, sono praticamente delle gabbie e prevedono e predispongono certe vie di uscita.

Non potremmo allora interpretare la guerra come una delle più seducenti vie di fuga, da aggiungere a quelle studiate da Adriano Favole (nel suo Vie di fuga, Utet, 2018)? Si tratterebbe di un vigoroso esercizio di “libertà-da” (dalla morale e dal diritto consuetudinari) e di un altrettanto e forse ancor più vigoroso esercizio di “libertà-di”. Con grande lucidità, nel Settecento Voltaire aveva fatto coincidere la libertà con l’esercizio del “potere”. Ovviamente la libertà è concetto più grande di guerra. A causa della violenza, la guerra è una manifestazione tremenda di libertà.

Non soltanto ci si libera delle norme giuridiche e morali, ma si travalicano confini geografici, sociali, organici: con le armi si entra nel corpo dei nemici e si pone fine alla loro vita. Come non ricordare le testimonianze raccolte nel libro di Joanna BourkeLe seduzioni della guerra, dove si parla dell’"enorme potere" che la guerra conferisce ai combattenti, la "sensazione di potenza" che si ha nell’uccidere, "la profonda seduzione dell’atto di uccidere" (libertà-di), insieme all’esaltazione che si prova in seguito alla "infrazione delle più alte leggi morali" (libertà-da).

In conclusione, viene da chiedersi: in quale altra attività umana e sociale la libertà è così emotivamente esperita e quale altra libertà finisce tuttavia per tradursi in una ingabbiatura tanto difficile da sciogliere? Soprattutto con la guerra, dimostriamo di essere non solo condannati ma prigionieri della nostra stessa libertà. Tocca poi ai prigionieri tentare di liberarsi della loro libertà.

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