Da sinistra a destra, i pacifisti ucraini Katya, Sergey, e Yurii Sheliazhenko davanti alla statua di Gandhi (Foto - Marco Di Marcantonio)
Da sinistra a destra, i pacifisti ucraini Katya, Sergey, e Yurii Sheliazhenko davanti alla statua di Gandhi (Foto - Marco Di Marcantonio)

Guerra in Ucraina, resistere all'invasione di Putin senza le armi

Una ricerca documenta 235 azioni nonviolente messe in atto dalla popolazione ucraina contro i soldati di Mosca dall'inizio della guerra al 30 giugno 2022. Ma il Paese non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare. La situazione peggiora in Russia, dove nelle ultime settimane in migliaia hanno chiesto aiuto per sfuggire alla mobilitazione

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

10 novembre 2022

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KYIV- Katya, esponente del movimento pacifista ucraino, non riesce a trattenere le lacrime tenendo tra le mani la bandiera della pace davanti alla statua di Gandhi nel giardino botanico Oleksandr Fomin di Kyiv. Dice che è difficile al momento mantenere una posizione nonviolenta, ma crede nella sua importanza e nel diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. Un diritto che al momento in Ucraina non è riconosciuto. Ostacolare l’invasione russa, anche senza imbracciare le armi, è possibile. Lo mostra una ricerca che documenta 235 episodi di resistenza nonviolenta avvenuti in Ucraina dall’inizio della guerra al 30 giugno scorso.

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Dire di no alle armi: un diritto da tutelare

Il 6 giugno a Kherson i dottori di un ospedale si sono rifiutati di collaborare con gli occupanti russi che volevano destinare la clinica ai militari. È un episodio raccontato in una ricerca che documenta 235 episodi di resistenza nonviolenta avvenuti in Ucraina dall’inizio della guerra al 30 giugno 2022

“Bisogna consentire agli ucraini che non vogliono unirsi all’esercito di difendere la propria patria con altri mezzi o di lasciare il Paese”, dice Daniele Taurino del Movimento Nonviolento precisando che “allo stesso modo, è necessario supportare gli obiettori di coscienza russi”. Nelle ultime settimane – assicura Taurino – sono state migliaia le richieste di aiuto arrivate alla sede internazionale del movimento da parte di persone che volevano avere informazioni su come sottrarsi alla mobilitazione militare parziale indetta dal capo del Cremlino, Vladimir Putin, poi dichiarata conclusa.

Oggi chi scappa in Europa da Mosca per evitare di andare al fronte deve seguire il normale iter previsto per i richiedenti asilo e rischia di dover rientrare in patria. “Chiediamo che l’Unione riconosca in automatico lo status di rifugiato politico a tutti gli obiettori, disertori e renitenti alla leva di questa guerra, a prescindere dalla loro nazionalità”, prosegue Taurino. Una richiesta fatta propria dalla carovana di Stop the war che è stata a Kyiv ad ottobre, guidata da Un ponte per e dal Movimento Nonviolento.

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Chiediamo che l’Unione riconosca in automatico lo status di rifugiato politico a tutti gli obiettori, disertori e renitenti alla leva di questa guerra, a prescindere dalla loro nazionalitàDaniele Taurino - Movimento Nonviolento

Slavutich è una piccola città a 40 chilometri dal confine bielorusso, che conta circa 25mila abitanti, per lo più lavoratori della centrale nucleare di Chernobyl. Il 26 marzo il suo sindaco ne annuncia l’occupazione da parte delle truppe russe e la morte di tre residenti. Una notizia che spinge la popolazione ad auto-organizzarsi, tramite chiamate e messaggi, e a scendere in piazza. “Non c’erano leader né istruzioni, ma le persone sapevano cosa fare”, ha ricordato Denys Masliy, un componente del consiglio municipale. I cittadini hanno iniziato a cantare l’inno ucraino, resistendo al tentativo dei soldati di Mosca di disperderli con la forza, fino al raggiungimento di un negoziato che ha assicurato il rilascio del sindaco di Slavutich. In cambio l’esercito russo ha ottenuto la possibilità di controllare la città per verificare che non ci fossero armi e l’ha abbandonata il 28 marzo. Il 6 giugno a Kherson, nel sud del Paese, i dottori di un ospedale hanno rifiutato di collaborare con gli occupanti che volevano destinare la clinica ai militari, rassegnando le proprie dimissioni o andando in vacanza.

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Sono due esempi di resistenza nonviolenta che si sono verificati in Ucraina dal 24 febbraio, giorno di inizio dell’invasione russa, al 30 giugno 2022. Li documenta una ricerca condotta da Felip Daza, professore di trasformazione sociale e diritti umani a Sciences Po, per l’International Catalan Institute for peace e l’International institute for nonviolent action. “Come una colonia di api, la società ucraina ha organizzato in maniera spontanea e coraggiosa centinaia di azioni nonviolente, da atti di disobbedienza civile alla protezione e all’evacuazione dei civili”, scrive Daza nell’introduzione del report, precisando che “la resistenza civile nonviolenta di massa può essere decisiva nel mettere fine all’occupazione russa e a far avanzare il processo di democratizzazione e consolidamento di un’identità ucraina multiculturale”. Lo studio, condotto in parte sul campo, ricorda come nel Paese la resistenza civile abbia una lunga tradizione e individua tre tipi di azioni nonviolente messe in atto dall’inizio della guerra: le più numerose sono state le proteste, diventate col tempo e l’aggravarsi della repressione sempre più silenziose. Un esempio è l’iniziativa lanciata sui social network, e poi tradotta in realtà dagli abitanti di decine di città occupate, di indossare un nastro con i colori della bandiera ucraina.

"La resistenza civile nonviolenta di massa può essere decisiva nel mettere fine all’occupazione russa e a far avanzare il processo di democratizzazione e consolidamento di un’identità ucraina multiculturale" Felip Daza - professore di trasformazione sociale e diritti umani a Sciences Po

“Manifestare è diventato sempre più difficile”, confermano a lavialibera due attivisti provenienti dai territori occupati dalla Russia, incontrati a Kyiv. “I soldati adesso arrestano tutti, usando qualsiasi pretesto. Una donna ci ha detto che suo figlio è finito in prigione per due giorni solo per aver messo mi piace a delle foto su Facebook”. Se le dimostrazioni pubbliche hanno dominato la scena nella prima fase del conflitto, nella seconda, che ha coinciso con l’istituzione di un sistema di occupazione militare in alcune regioni come Kherson e Zaporizhzhia, sono iniziate le azioni di non cooperazione. La prime sono state registrate a Berdyansk e Kherson, dove la popolazione ha rifiutato gli aiuti umanitari di Mosca.

Un ruolo chiave l’ha svolto, e continua a svolgerlo, il corpo docente: dagli insegnanti che hanno scelto di non adottare il programma russo nelle proprie classi ai professori che hanno abbandonato il lavoro. A partire da fine marzo sono state organizzate anche forme di non cooperazione economica e politica. Ci sono stati casi in cui i politici locali si sono dimessi e altri in cui i cittadini non hanno pagato le tasse rendendo impossibile agli occupanti portare avanti la normale amministrazione cittadina. Non sono poi mancati gli episodi di interposizione, soprattutto nei primi giorni dell’invasione. Video che sono stati pubblicati sui social mostrano uomini e donne avanzare a braccia alzate verso i carri armati per ostacolarne l’avanzata.

Per l’autore della ricerca, uno dei principali impatti di queste forme di resistenza civile è stato di contenere le ambizioni a lungo termine delle autorità di Mosca nei territori occupati. Da una parte, nel primo periodo di occupazione, le manifestazioni quotidiane hanno costretto le autorità russe a impiegare più truppe di quante programmate per consolidare la propria presenza nelle città. Una situazione che le ha indebolite, riducendo la loro possibilità di impiegare forze nell’est del Paese e di difendersi dalla controffensiva ucraina. Dall’altra parte, le azioni di non cooperazione sono state cruciali per fermare l’istituzionalizzazione dell’occupazione militare nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia. Inoltre, la società civile organizzata ha creato un complesso sistema di protezione della popolazione, consentendo l’evacuazione dei civili così come la denuncia dei crimini di guerra.

L'obiezione di coscienza al servizio militare in Ucraina e Russia

Nelle conclusioni, la ricerca non nega che ci siano state situazioni in cui è stato impossibile organizzare una resistenza civile nonviolenta a causa dell’alto livello di violenza esercitato dai soldati russi che hanno massacrato la popolazione, però chiede di non considerare la risposta armata come l’unica possibile, di promuovere anche le forme di resistenza nonviolenta e di proteggere i diritti civili e politici di pacifisti, obiettori di coscienza e cittadini che decidono di contribuire alla difesa del Paese senza l’utilizzo delle armi. Una tutela che – precisa lo studio – adesso non è garantita, anzi: “L’obiezione di coscienza al servizio militare porta con sé uno stigma sociale”. In Ucraina l’obiezione di coscienza al servizio militare non è un diritto riconosciuto.

Prima dell’invasione russa, i giovani tra i 18 e i 25 anni avevano la possibilità di evitare la leva obbligatoria di un anno, sostituendola con un servizio non militare alternativo, solo per motivi religiosi. “Bisogna far parte di una delle organizzazioni religiose inserite in una lista approvata dal governo, un criterio talmente stringente da escludere molti – spiega Yurii Sheliazhenko, esponente ucraino dell’European bureau for conscientious objection, organizzazione europea che sostiene gli obiettori di coscienza –. Tutto questo viola gli standard internazionali dei diritti umani, costringendo la maggior parte delle persone che non vogliono fare il servizio militare a usare vari trucchi e a sottostare alle estorsioni di medici e ufficiali”. I disertori venivano criminalizzati e, stando ai dati ufficiali, nel 2020 sono state 165 le persone imprigionate, otto hanno ricevuto una sentenza disciplinare dal proprio battaglione, 67 sono state arrestate, 148 multate, e 1202 poste in libertà vigilata.

"In caso di mobilitazione, sottrarsi al servizio militare può costare dai tre ai quattro anni di carcere. Siamo a conoscenza di almeno quattro casi di uomini imprigionati per essersi rifiutati di uccidere. Uno di loro si è descritto come cristiano, l’altro come pacifista. Il pacifista ha ricevuto la sentenza più dura: è stato condannato a quattro anni di cui tre ai domiciliari"Yurii Sheliazhenko - Esponente ucraino dell’European bureau for conscientious objection

Dopo il 24 febbraio 2022, con la dichiarazione della legge marziale, “l’obiezione di coscienza non è più consentita per alcuna ragione  – prosegue Sheliazhenko –. In caso di mobilitazione, sottrarsi al servizio militare può costare dai tre ai quattro anni di carcere. Siamo a conoscenza di almeno quattro casi di uomini imprigionati per essersi rifiutati di uccidere. Uno di loro si è descritto come cristiano, l’altro come pacifista. Il pacifista ha ricevuto la sentenza più dura: è stato condannato a quattro anni di cui tre ai domiciliari”.

"Supportiamo russi e ucraini che si oppongono alla guerra"

La situazione peggiora in Russia, dove in condizioni normali il diritto all’obiezione di coscienza è previsto dalla carta costituzionale, ma ha un carattere punitivo: il servizio militare dura 12 mesi mentre l’alternativa civile ne dura quasi il doppio e “si fa fatica a evitare strutture paramilitari”, dice Daniele Taurino, del Movimento Nonviolento. Post invasione dell’Ucraina, i giovani in leva hanno fatto sempre più fatica a vedere riconosciute le loro richieste di obiezione. “All’inizio abbiamo suggerito di cercare di ottenere l’esenzione per motivi medici. Adesso consigliamo di presentare la domanda di obiezione di coscienza a tutti i vertici della gerarchia militare e anche di diffonderla pubblicamente. L’obiettivo è duplice: informare della propria decisione quanta più gente è possibile e mettere al corrente i giovani che si può dire di no alle armi”. Quando è stata indetta la mobilitazione parziale, poi rientrata, il Movimento degli obiettori di coscienza russi ha indetto una riunione online durata più di dieci ore: “Decine di persone si collegavano per chiedere come non andare al fronte. Bisogna supportarle e concedergli lo status di rifugiato in Europa”, conclude Taurino.

*Questo approfondimento è stato realizzato in occasione della carovana in Ucraina di Stop the war now, dal 26 ottobre al 3 novembre 2022, guidata da Un Ponte per e dal Movimento nonviolento.

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