Manifestazione per la pace all'università La Sapienza. Foto di Stefania Sepulcri (settore Ufficio stampa e comunicazione)
Manifestazione per la pace all'università La Sapienza. Foto di Stefania Sepulcri (settore Ufficio stampa e comunicazione)

"Supportiamo russi e ucraini che si oppongono alla guerra"

Intervista a Lisa Clark, co-presidente dell'International peace Bureau: "La maggioranza di ucraini e russi porta avanti una resistenza civile contro la guerra, bisogna supportarla". A Mosca, rapper suicida per non arruolarsi

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

2 ottobre 2022

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KYIV - "La maggioranza di ucraini e russi porta avanti una resistenza civile contro la guerra, bisogna supportarla con ogni mezzo". È l'appello di Lisa Clark, co-presidente dell’International peace Bureau, componente della Rete italiana pace e disarmo e della campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari ICAN che ha vinto il Nobel per la pace nel 2017. Clark è stata tra le relatrici (in video collegamento) della conferenza organizzata nell’università di Chernivtsi dalla carovana Stop the war now diretta a Kyiv, guidata da Un ponte per e dal Movimento non violento. Una delegazione che in questi giorni in Ucraina ha incontrato esponenti della società civile. “È necessaria una resistenza che, senza imbracciare le armi, contrasti la guerra distruggendone le basi economiche”, dice Clark. Intanto – stando a Repubblica – a Mosca il rapper Ivan Petunium, in arte Walkie, si sarebbe suicidato per evitare l’arruolamento: “Non sono pronto a uccidere. Non posso prendere sulla mia anima il peccato di omicidio e non voglio”.

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In concreto, cosa può fare la società civile internazionale per fermare il conflitto?

"La società civile dei nostri paesi si rassegna all’idea miope che solo con la risposta armata si possa sconfiggere un’aggressione ingiusta. Ma la non-collaborazione con la guerra può raggiungere risultati straordinari"

È necessaria una maggiore mobilitazione internazionale della società civile contro la guerra, principalmente a livello internazionale. Dobbiamo prima di tutto informarci e costruire ponti con gli ucraini e i russi che resistono contro la guerra: sono la maggioranza. Le donne e gli uomini in Ucraina che si impegnano nella distribuzione di aiuti, che aiutano le persone ad allontanarsi dalle zone più coinvolte nella guerra, che consolano e curano i feriti e i parenti dei morti danno un loro contributo importante alla resistenza contro la guerra. E noi, che non siamo lì, abbiamo il dovere di sostenerli con ogni mezzo. Abbiamo anche il dovere di costruire ponti di solidarietà con chiunque rifiuti di prendere le armi: sia gli obiettori ucraini sia le centinaia di migliaia di giovani russi che lasciano il loro paese pur di non contribuire alla guerra che definiscono fratricida. Troppo spesso la società civile dei nostri paesi si rassegna all’idea miope che solo con la risposta armata si possa sconfiggere un’aggressione ingiusta, che viola tutti i principi del diritto internazionale. La non-collaborazione con la guerra può raggiungere risultati straordinari, ponendo le basi per il rafforzamento della coesione sociale che si rivelerà un vantaggio enorme nella costruzione di una società democratica in tempo di pace.

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Crede che i politici da ambo i lati abbiano puntato abbastanza sui negoziati? È possibile negoziare con Putin?

"Promuovere il negoziato per trovare una soluzione che non fosse la guerra era compito della diplomazia internazionale. Compito ignorato"

Da tutte e due le parti, l’aggressore e l’aggredito, si è andati avanti verso la guerra. Solo il discorso di Zelensky, pronunciato anche in russo due giorni prima dell’invasione, offriva spiragli di intesa. Ma promuovere il negoziato per trovare una soluzione che non fosse la guerra era compito della diplomazia internazionale. Compito ignorato. Sia la Carta delle Nazioni Unite sia i documenti fondanti dell’Unione europea contengono principi essenziali che esortano (anzi, ordinano) gli Stati membri a esaminare ogni più piccolo spiraglio di accordo negoziale, prima di accettare l’avvio di azioni militari. In questo, gli Stati europei sono stati negligenti. L’immediata risposta di molti Stati alle richieste del governo ucraino, con l’invio di armi, ha posto questi Stati in una situazione di co-belligeranza: posizione dalla quale era poi difficile proporre di coordinare i negoziati. E tutti i negoziati sono sempre possibili, anche con un leader che abbia ordinato un’invasione del tutto illegittima e che va contro il diritto internazionale.  

Che ruolo può avere la Nato?
Come la maggior parte degli attivisti nonviolenti della mia generazione, quando fu smantellato il muro di Berlino e finì la guerra fredda, ero certa che anche la Nato – come il Patto di Varsavia – avrebbe cessato di esistere. I due blocchi avevano vissuto di complementarietà: intendo che lo scopo dichiarato di ognuna delle due alleanze militari era di difendersi dalle aggressioni dell’altra (che poi, sia negli uni che negli altri, esistesse anche la volontà di aggredire e conquistare, lascio decidere agli storici). La Nato non aveva quindi più ragione di esistere in quanto alleanza militare. Da parte di alcuni ci fu la volontà di trasformarla in una alleanza regionale, nel quadro dei principi per tali raggruppamenti di Stati enunciati dall’Onu, e cioè di mantenimento della pace, di rispetto e sostegno dei diritti umani, di sviluppo sociale ed economico. Per me, questo sarebbe ancora l’unico ruolo che un’organizzazione come la Nato deve avere.

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Quale, invece, quello dei movimenti nonviolenti?
Credo che il compito principale sia la non-collaborazione con la guerra. Ma dobbiamo anche fare lo sforzo di costruire reti di conoscenza, di solidarietà, di sostegno umanitario a coloro che si trovano nell’occhio del ciclone, amplificando la voce di chi vuole una pace giusta. 

Molti ucraini in questo momento credono che l’unica resistenza possibile sia armata. Che risponde?
Non pronuncio nessun giudizio morale su chi prende le armi per difendersi in una situazione di palese aggressione. Dico solo che non sarebbe una mia scelta. Abbiamo visto come anche la resistenza militare ha bisogno di essere sostenuta da una resistenza molto più ampia da parte della società in generale: senza imbracciare le armi contrasta la guerra, distruggendone le basi economiche, favorendo l’emergenza di un’opposizione agli aggressori, e anche convincendo le forze militari dell’invasore a rendersi conto dell’ingiustizia che stanno commettendo. In fondo, l’aspetto fondamentale della proposta nonviolenta in una guerra è che mira a difendere la vita anche dei militari dell’aggressore. Non ha come scopo quello di uccidere, ma di convincere, perché il cessate il fuoco possa segnare l’inizio di una vita nuova, tutta da costruire, ma per tutte e tutti. 

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