19 settembre 2022
"Il gas non può essere una scusa per rallentare la transizione energetica". Lo dice Antonello Pasini, scienziato del clima, e uno dei promotori di Scegliamo il futuro, iniziativa diretta a tutte le forze politiche che propone un incontro tra leader dei partiti e scienziati per elaborare misure concrete di contrasto alla crisi climatica ed energetica. L'appuntamento è fissato il 19 settembre nella sede del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel), a Roma. "Noi come scienziati – si legge nel testo dell'invito – metteremo a disposizione i nostri dati e le nostre conoscenze scientifiche, che possono portare a soluzioni scientificamente fondate alla crisi climatica. Voi politici, che avete il compito storico di coniugare lo sviluppo delle nostre società con la tutela e la messa in sicurezza dei loro stessi fondamenti materiali, potrete discutere apertamente le vostre visioni del futuro e confrontarvi tra voi e con noi sulla soluzione della crisi climatica".
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Una campagna iniziata quest'estate con una lettera aperta, sottoscritta da oltre 220mila persone (tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi), in cui la comunità scientifica ha chiesto alla politica di mettere il riscaldamento globale in cima alla propria agenda. Complice le difficoltà nell'approvvigionamento energetico, causato dalla guerra in Ucraina, il tema è presente nella maggior parte dei programmi elettorali. Ma alla voce energia in molti puntano su rigassificatori, estrazione e importazione di gas naturale. "Il gas può essere una soluzione d'emergenza, ma non quella definitiva", spiega Pasini, precisando che l'unica alternativa davvero sostenibile per l'ambiente sono le fonti rinnovabili. "In Italia ci sono impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici, pronti a essere installati. Avrebbero una potenza complessiva di circa 60 gigawatt. Sono fermati dalla burocrazia e vanno sbloccati subito".
"Chiediamo a tutti i partiti, se andranno al governo, di impegnarsi a creare un organismo permanente che permetta l'instaurazione di un rapporto strutturale tra istituzioni e scienziati, in particolare scienziati del clima"
Pasini, cosa chiederete ai politici nell'incontro del 19 settembre?
Vorremmo far loro sottoscrivere un documento in cui tutti i partiti si impegnano, se andranno al governo, a creare un organismo permanente che permetta l'instaurazione di un rapporto strutturale tra istituzioni e scienziati, in particolare scienziati del clima. Uno strumento fondamentale per evitare che in Italia succeda quanto già accaduto negli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump: la guida dell'Agenzia Usa per la protezione dell'ambiente venne affidata ad Andrew Wheeler, un avvocato negazionista del riscaldamento globale e sostenitore delle fonti fossili. Il nuovo organismo potrebbe assumere varie forme, come un comitato di consulenza per il ministero della Transizione ecologica, ma deciderne la natura spetta alla politica.
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In quali azioni dovrebbe impegnarsi il nuovo governo secondo gli scienziati del clima?
La strategia dovrebbe muoversi lungo due direttive: adattamento e mitigazione. L'adattamento è necessario per far fronte agli eventi climatici estremi, cui stiamo già assistendo e che si verificheranno sempre di più in futuro. Basti pensare che i ghiacciai italiani non sono ancora in equilibrio con la temperatura attuale, ma stanno rispondendo al riscaldamento avvenuto negli ultimi decenni. Questo significa che se anche riuscissimo a mantenere la temperatura al livello di oggi, entro il 2100 i nostri ghiacciai perderebbero il 30 percento della loro superficie e del loro volume, con la successiva scomparsa di alcune risorse d'acqua. Di conseguenza, bisogna adattare il nostro territorio alla siccità prendendo una serie di provvedimenti, a partire da un ammodernamento della rete idrica che eviti gli sprechi. Un'altra cosa importante da fare subito è l'approvazione del Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Abbiamo una strategia che affronta questioni di principio, ma non un piano operativo che consenta agli amministratori locali di sapere come agire in caso di calamità. Eppure, è pronto da cinque anni, ma non viene licenziato. Non costa nulla, è solo un problema burocratico. L'adattamento però non basta, dobbiamo evitare situazioni non più gestibili, cioè arrivare a scenari climatici in cui non potremo difenderci in alcun modo. Ritornando all'esempio dei ghiacciai, i nostri modelli mostrano che se non vengono ridotte le emissioni di gas serra perderanno il 90 per cento del loro volume e della loro superficie. Uno scenario in cui nessun rimedio è possibile. Saremmo spacciati. Ecco perché vanno, prima di tutto, sbloccati i 60 gigawatt di rinnovabili, oggi in attesa di autorizzazione. Se l’avessimo già fatto, avremmo evitato l’importazione di circa il 20 per cento di gas.
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Nei programmi elettorali di centro-destra si punta molto sul gas naturale italiano. Calenda, invece, spinge sui rigassificatori. Cosa ne pensa?
È una soluzione utile a tappare i buchi conseguenti all'invasione russa dell'Ucraina. Ma il gas non è sostenibile per l'ambiente. L'unica strada percorribile sono le fonti rinnovabili.
"Il gas è una soluzione d'emergenza. Vanno subito sbloccati i 60 gigawatt di rinnovabili, oggi in attesa di autorizzazione. Se l’avessimo già fatto, avremmo evitato l’importazione di circa il 20 per cento di gas"
Sostenete che occuparsi della crisi climatica sia vitale per la democrazia. Perché?
Se non interveniamo subito, non avremo abbastanza risorse per assicurarci un futuro. Sarà il clima a decidere per noi il nostro avvenire.
Qual è al momento lo stato dell’arte nel Mediterraneo?
I Paesi del Mediterraneo si trovano in una sorta di pungiball climatico: vengono presi a pugni una volta da sud e l’altra da nord. Da sud subiamo gli effetti degli anticicloni africani, che causano ondate di calore e siccità. Da nord arrivano le correnti fresche che, incontrando un mare, un’aria e un suolo così caldo, danno origine a enormi nubi temporalesche. Il risultato: alluvioni lampo, chicchi di grandine grandi come palle da tennis e così via. Si tratta di una diretta conseguenza del riscaldamento globale di origine antropica, che ha determinato l’espansione verso nord della circolazione equatoriale e tropicale: gli anticicloni che prima permanevano solo al di sopra del deserto del Sahara, oggi arrivano da noi e stanno distruggendo tutto perché non siamo preparati. In Italia la situazione è persino peggiore perché per anni si è costruito dove non si dovrebbe, ad esempio su terreni pericolanti e alvei dei fiumi. I danni sono evidenti anche per la salute umana, soprattutto per anziani, asmatici e bambini. Alle ondate di calore, infatti, si associano nuove forme di inquinamento che altrimenti non ci sarebbero. Gli inquinanti normali, come quelli che fuoriescono dalle marmitte delle macchine, reagiscono alla luce solare creando altri inquinanti come l’ozono. L’ozono è pericoloso per i polmoni e non può essere respirato in grandi concentrazioni, soprattutto da soggetti già fragili.
Effetto guerra, effetto fuga: dietro le grandi migrazioni climatiche c'è il cambiamento climatico
In Italia, lei è stato tra i primi a puntare i riflettori su un un nuovo tipo di migrazione: la migrazione climatica. Quest’estate i risicoltori del Nord Italia hanno battagliato per l’acqua. Potremmo essere costretti a migrare anche noi?
Negli scenari peggiori, alcune zone del Sud Italia diventeranno invivibili, quindi sì. Ma potrebbe porsi il problema di dove emigrare per essere al sicuro, come ci hanno dimostrato le difficoltà dei risicoltori. Ogni porzione del nostro Paese ha delle caratteristiche peculiari, su cui il cambiamento climatico sta avendo un impatto. Consideriamo, allora, l’ipotesi di spostarci in Scandinavia: andrebbe bene se la situazione rimane stabile e non si ferma la corrente del Golfo. In quest’ultimo caso, tutta l’Europa settentrionale diventerebbe freddissima e quella meridionale bollente. Sembra una barzelletta, invece si tratta della drammatica realtà.
Quest’estate si è parlato molto dei jet privati, ma quanto incidono davvero?
Sono uno spreco incredibile, ma si tratta solo della punta di un iceberg. Oggi l’un per cento più ricco della popolazione mondiale emette il doppio del 50 per cento più povero.
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