11 ottobre 2021
"Abbiamo avvertito l'esigenza di trovare un modo per raccontare in maniera efficace e affidabile il cambiamento climatico", così la direttrice de lavialibera Elena Ciccarello ha aperto giovedì mattina (7 ottobre) i lavori del convegno Raccontare la crisi climatica: oltre il linguaggio dell'emergenza organizzato a Torino presso la Biblioteca civica Italo Calvino nell'ambito di Biennale democrazia. Una mattinata di incontri con Carlo Verna, presidente dell'Ordine dei giornalisti, i fisici del clima Antonello Pasini ed Elisa Palazzi, l'ecolinguista Maria Cristina Caimotto, il giornalista scientifico Rudi Bressa e Federica Pecoraro, una delle coordinatrici di CasaComune.
Mentre all'estero sono ormai molte le iniziative nate per condividere buone pratiche informative per rendere più accessibile il sapere scientifico sul tema – tra tutte si ricorda quella del quotidiano britannico The Guardian che nel 2019 ha deciso di cambiare il proprio linguaggio sui temi ambientali preferendo ad esempio l'espressione "crisi climatica" al più neutro "cambiamento climatico" –, "in Italia molto è lasciato all'iniziativa e alla sensibilità dei singoli e di gruppi che si occupano di questi temi da diverso tempo", ha spiegato la direttrice Ciccarello. L'evento è nato per dare risposta a tre esigenze. Primo: trovare un lessico in grado di raccontare la complessità della crisi climatica e che tuttavia rimanga accessibile al grande pubblico. Secondo: scongiurare che sui temi ambientali si cristallizzi il discorso dell'emergenza: "Riteniamo importante sottolineare la gravità della situazione che stiamo vivendo e delle prospettive in cui stiamo incappando, ma allo stesso tempo che non si affermi una dimensione anche retorica di racconto in termini emergenziali che rischia di tradursi in delega in bianco nei confronti di chi deve assumere le decisioni, proprio perché c'è fretta e quindi non c'è tempo di spiegare", ha sottolineato Ciccarello. Terzo: "scongiurare la ricerca disperata dell'esperto di turno a cui prestare il microfono come successo con il covid. L'ha ricordato proprio qualche giorno fa il nobel Giorgio Parisi: ciò che conta non è l'opinione del singolo esperto o il singolo studio, quanto il consenso scientifico che si raccoglie attorno a determinate teorie e che viene convalidato attraverso la somma delle evidenze".
"L'idea è che l'Ordine deve essere anche una sorta di agenzia culturale – ha esordito il presidente dell'Ordine dei giornalisti Carlo Verna –. La mia posizione personale è che questa (la crisi climatica, ndr) sia la questione delle questioni: non c'è dubbio alcuno che se non si percepisce cosa sta accadendo con i cambiamenti climatici e che i nostri bisogni sempre crescenti hanno trascurato le esigenze delle future generazioni, siamo completamente al di fuori della centralità delle questioni essenziali. Questa è la mia idea personale che però è stata recepita anche dal Consiglio nazionale" dell'Ordine dei giornalisti (Odg). Più volte nel corso del suo intervento Verna ha ribadito l'impegno dell'Odg sul tema: "Sono qui a sottolineare questo nostro impegno e a cercare di spiegare perché questo nostro impegno non è un'idea del presidente Carlo Verna o dei consiglieri pro tempore: questo tema rientra esattamente nel rispetto dei nostri principi deontologici".
"Noi riteniamo che due siano i paletti fondamentali della nostra deontologia: il rispetto della verità – e i dati su questo tema danno delle risultanze incontestabili – e il rispetto della persona". Dalla Carta di Treviso sui minori alla Carta di Perugia sui malati fino a quella di Roma che tutela i migranti, Verna ha elencato le Carte fondamentali del Testo unico dei doveri del giornalista che tutelano ad oggi i soggetti più vulnerabili. Sottolineando uno dei problemi della crisi climatica: "Noi ci chiediamo: qual è il soggetto più debole da tutelare se in questo caso parliamo di persone che non sono ancora nate e che quindi non hanno nessun tipo di diritto da reclamare, nemmeno quello della soggettività giuridica? Noi però abbiamo un dovere da oggi di pensare alle future generazioni".
Il climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) Antonello Pasini ha incentrato il suo intervento sulle difficoltà comunicative che incontra da scienziato: "Innanzitutto, la mancanza quasi totale di una cultura scientifica in Italia. Poi il fatto che il clima è un sistema complesso e la scuola non fa un'alfabetizzazione sui sistemi complessi, per me la didattica è l'anello mancante. Eppure, non sappiamo come agire con questi sistemi senza combinare guai; la mancanza di cultura scientifica ci porta a percezioni erronee di determinati problemi come la pandemia e i cambiamenti climatici". Alcuni esempi rendono bene l'idea: "la fusione dei ghiacci al polo nord può portare siccità nel Sahel – ha spiegato mostrando la seguente slide –. Non possiamo pensare, come facciamo di solito per le cose meccanicistiche semplici, di guardare a un palmo dal nostro naso".
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"Il vero problema è armonizzare la nostra dinamica con la dinamica della natura. Abbiamo innescato una dinamica naturale che sembra lenta ma potrebbe diventare inesorabile. Pensiamo agli oceani: si riscaldano piano piano perché hanno una capacità termica alta, ma una volta che si sono riscaldati non si raffreddano, l'inerzia continua per molto tempo. La percezione che abbiamo dei problemi deve essere basata sulla scienza altrimenti siamo fregati. Se guardiamo a quello che è successo con il covid, inizialmente qualcuno parlava di un problema solo cinese, ma gli scienziati (in questo caso gli epidemiologi) hanno subito detto: attenzione, perché la dinamica del fenomeno è esponenziale. L'andamento iniziale delle morti cumulate nella prima fase del covid in Italia è assolutamente equivalente a un andamento esponenziale ed è molto simile alla curva dell'aumento della temperatura storico e previsto qualora non facciamo niente per limitare le emissioni di anidride carbonica. Perché allora ci siamo preoccupati tanto del covid e poco del cambiamento climatico? Perché qui l'evoluzione del fenomeno è di 10 giorni in 10 giorni, dall'altra è di 10 anni in 10 anni. Ma attenzione: la dinamica è la stessa".
"Esiste infine il problema della polarizzazione che per noi che facciamo divulgazione è una tragedia – ha concluso Pasini –. Se fai un sondaggio a un campione di popolazione (chiedendo ad esempio: è vero che il riscaldamento globale recente è causato in massima parte dagli influssi umani?), e lo somministri a un campione di democratici e a uno di repubblicani con vari stadi di cultura scientifica, chi risponde esattamente (ovvero: sì) non è chi ha la cultura scientifica più alta, ma chi appartiene a un gruppo di opinioni. Questo fenomeno si rafforza ulteriormente con le camere dell'eco sul web: il messaggio scientifico viene o accolto, o negato, o ancora peggio distorto".
Maria Cristina Caimotto, ricercatrice dell'università di Torino, nonché una delle autrici della guida linguistica e scientifica Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico, ha parlato di ecolinguistica, ovvero dello studio di come il linguaggio parla di ecologia al fine di individuare le tendenze distruttive che ci portano a non capire la crisi climatica e le strategie positive che possiamo invece adottare per rendere la comprensione e l'azione più efficaci.
"L'espressione 'parole tossiche' nasce da un articolo di George Lakoff pubblicato nel 2010 che parla del perché è importante come inquadriamo l'ambiente. Lakoff afferma che il disastro ecologico e quello economico hanno la stessa causa, ma ci mancano le strutture mentali per comprendere questa complessità". Il punto è: per far capire una verità complessa bisogna scegliere i frame giusti, ovvero le strutture inconsce e radicate nella mente umana che utilizziamo per parlare di ambiente. Per esempio: perché usiamo molti anglicismi quando parliamo di questioni legate al clima e all'ambientalismo? "Perché in realtà stiamo parlando di questioni legate al business, al marketing e a tutto quello che gira intorno al mondo della finanza – spiega Caimotto –. Se nell'Accordo di Parigi si cercando i vocaboli che hanno come prefisso 'eco', nella stragrande maggioranza dei casi la parola che viene fuori è 'economia', non 'ecologia'. Il tentativo sottostante è ottenere legittimità, approvazione e comprensione".
Caimotto si è poi soffermata su quattro caratteristiche della grammatica delle lingue europee (Halliday, 2001):
Cosa fare allora? "Evitare di negare questi frame, fare leva sulle emozioni e sottolineare come noi umani siamo parte dell'ambiente: non stiamo proteggendo il povero orso polare sul ghiaccio che fonde, è proprio che noi siamo parte dell'ambiente. Bisogna infine sganciarsi dall'idea dominante della questione economica". Caimotto ha concluso raccontando la storia dell'espressione "cambiamento climatico". Introdotta da scienziati ed esperti perché il problema non era più solo di riscaldamento globale ma di cambiamento del clima, è divenuta di uso comune grazie allo scrittore dei discorsi di Bush: una precisa strategia politica per non far sembrare la crisi climatica un problema grave.
"La scienza del clima è la scienza dell'incertezza: non ci dà quasi mai una risposta chiara, ma previsioni – Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all'università di Torino e divulgatrice scientifica ha messo subito le cose in chiaro –. Per un pubblico non esperto incertezza vuol dire non affidabilità: il fatto che i modelli climatici possano avere delle incertezze (e ce le hanno certamente!), il fatto di non sapere tutto su qualcosa viene preso come un 'allora non si sa niente'. Questo è il tipico approccio dei negazionisti climatici che spaccano in quattro il capello su un unico processo difficilissimo anche da comprendere e puntando solo su quel minuscolo aspetto annullano tutta la robustezza che abbiamo raggiunto come scienziati del clima". Tradotto nella pratica per i giornalisti che in platea ascoltano il convegno: "Ci sono argomenti per cui voci diverse non hanno ragione di esistere. Un errore che il giornalismo scientifico in Italia ha fatto spesso sul cambiamento climatico è quello di contrapporre coloro che sostengono la matrice antropica del riscaldamento globale a coloro che pensano che sia tutta colpa del Sole, come se esistesse un dualismo nel mondo scientifico sul tema. Quello è un falso equilibrio nelle fonti: il dibattito è morto e sepolto da secoli nella comunità scientifica e quindi non è corretto riportarlo nell'articolo o nel servizio televisivo. Le opinioni vanno bene sui fatti opinabili". Ma attenzione: "l'incertezza in realtà è un punto di forza: ci permette di avere uno spazio in cui muoversi e questo dovrebbe essere di aiuto ai decisori politici".
Un altro problema evidenziato nel comunicare la crisi climatica dal punto di vista scientifico è che "la scienza del clima è controintuitiva, va contro il nostro sentire comune e le nostre percezioni: l'ondata di gelo viene presa come prova del fatto che non siamo in un regime di riscaldamento globale e che quindi non ce ne dobbiamo preoccupare. A volte viene fatto apposta, altre volte per semplice ignoranza. Invece la scienza ci dice che in un mondo che si scalda di più possono esistere ancora gli eventi estremi freddi, possono essere persino più intensi, ma sono meno frequenti". Così com'è controintuitivo pensare all'aumento della temperatura media del pianeta di circa 1° in un secolo e mezzo: "Di cosa ci stiamo preoccupando se la differenza di temperatura nell'arco di una giornata ha delle deviazioni ben maggiori di 1°? Questo è quello che pensa la maggior parte della gente. Ma metereologia e climatologia sono due cose completamente diverse. Un grado centigrado in un sistema complesso pieno di catene circolari causa-effetto, pieno di meccanismi di retroazione che possono amplificare l'effetto di una perturbazione iniziale seppur piccola, un grado centigrado in media significa tre gradi o più in alcune regioni sentinella come l'Artico, il Mediterraneo, le montagne e significa la possibilità di superare le soglie critiche".
"Infine l'ultimo problema che rende complicato comunicare la crisi ambientale è che non è concepita come una crisi, ovvero come qualcosa che ci può far male da dentro come poteva essere la pandemia. Eppure, l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riconosce il cambiamento climatico come una delle cause principali, se non la causa principale, di disagi sanitari nel futuro prossimo".
Rudi Bressa, giornalista scientifico e ambientale da oltre 10 anni, ha analizzato lo stato dell'arte del panorama della comunicazione scientifica e del giornalismo scientifico in Italia partendo da una considerazione: nelle redazioni italiane manca la figura del giornalista scientifico. Quindi si è focalizzato sulle parole del cambiamento climatico: "Crisi climatica è l'espressione migliore, soprattutto perché la crisi può essere risolta: significa che c'è speranza. È necessario invece evitare espressioni come 'apocalisse climatica', 'fine del mondo' o 'guerra': sono concetti polarizzanti che spingono le persone a non ascoltare".
Per rimanere sulla cronaca, Bressa ha poi citato la dichiarazione del ministro della Transizione ecologicaRoberto Cingolani sull'aumento delle bollette: "Subito è passato il concetto che la causa fosse la transizione energetica, ma questa è una notizia falsa. Il prezzo della CO2 non incide sulla bolletta finale del consumatore: il prezzo dell'anidride carbonica sul mercato ETS delle emissioni è fisso da anni a circa 50 dollari a tonnellata. L'aumento delle bollete è stato causato da un aumento dei prezzi delle materie prime, in primis petrolio e gas. Molto spesso chi scrive probabilmente non è nemmeno preparato. Bastava fare una ricerca per verificare che oggi il prezzo al chilowatt delle rinnovabili è più economico di quello dell'energia prodotta da fonti fossili".
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Mostrando la classica foto dell'orso polare morente nei ghiacci che fondono, Bressa ha poi parlato del pericolo di continuare – com'è stato fatto per anni – a raccontare il cambiamento climatico con immagini emotivamente forti ma geograficamente distanti dal lettore. "L'epoca degli orsi polari che stanno morendo a causa della fusione dei ghiacci è finita. Oggi per raccontare bene queste tematiche è necessaria la prossimità, per esempio occupandosi dei piani di adattamento al cambiamento climatico delle nostre città". "Tra l'altro – ha detto Bressa – l'immagine spacciata da alcuni media come la fuga di un orso dalla banchisa in cerca di cibo per sostenere la tesi del cambiamento climatico, è in realtà – come spiegato dallo stesso fotografo e dai ricercatori della Groenlandia dove la foto è stata scattata – l'immagine di un esemplare o di femmina denutrita in seguito al periodo di allattamento dei piccoli o addirittura di un esemplare anziano: in ogni caso non aveva niente a che fare con il cambiamento climatico".
È infine importante contrastare la narrativa dell'apocalisse raccontando storie positive. In inglese è chiamato "solution journalism", un giornalismo costruttivo che si basa sulla segnalazione di notizie incentrate sulla soluzione. "Ormai il tempo di impedire il cambiamento climatico è finito, ora si parla di mitigazione. La politica e le istituzioni pubbliche dovranno attivarsi per dei progetti di adattamento e su questo abbiamo eccellenze di ricerca che stanno lavorando alacremente per ridurre i rischi".
"Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un approccio ecologico è anche un approccio sociale: parliamo di un'unica crisi socioambientale – ha detto Federica Pecoraro, una delle coordinatrici dell'associazione CasaComune –. Non parliamo solo di crisi climatica, ma anche di peridita di biodiversità: le attività umane fanno perdere ogni anno dalle 30mila alle 60mila specie all'anno. L'Italia è uno dei Paesi con la maggior biodiversità al mondo a rischio di estinzione. C'è poi la complessa questione dei migranti ambientali per i quali ad oggi ancora non esiste una definizione giuridica: entro il 2050 saranno circa 216 milioni, provenienti non solo da territori lontani, noi stessi finiremo per essere migranti ambientali".
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In quasi tre anni di attività CasaComune ha lavorato alla risignificazione delle parole comunemente usate per parlare di crisi climatica: "Spesso le parole usate finiscono per rappresentare l'opposto di quello che vorrebbero comunicare". L'associazione ha individuato tre categorie di parole:
Infine Pecoraro ha ricordato che "le crisi sistemiche hanno sempre bisogno di soluzioni sistemiche" e parlato della necessità di dare dignità giuridica alla Natura: "la tutela dell'ambiente e della Natura dovrebbero entrare a far parte delle Costituzioni e dei grandi trattati internazionali, cosa che negli Stati occidentali non è minimamente presa in considerazione, mentre lo è in alcuni Stati sudamericani".
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