Un indigeno Waorani davanti alla Corte costituzionale dell'Ecuador. La sua tribù rivendica il diritto delle popolazioni amazzoniche alla consultazione preventiva in progetti estrattivi (Dolores Ochoa - Associated Press)
Un indigeno Waorani davanti alla Corte costituzionale dell'Ecuador. La sua tribù rivendica il diritto delle popolazioni amazzoniche alla consultazione preventiva in progetti estrattivi (Dolores Ochoa - Associated Press)

L'ambiente nella Costituzione, Acosta avverte: "Le leggi non bastano"

Approvata al Senato la proposta di inserire la protezione dell'ambiente in Costituzione. Alberto Acosta, giudice del Tribunale internazionale per i diritti della Natura: "Le norme non cambiano il mondo, ma la loro costruzione partecipativa sì"

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

Aggiornato il giorno 11 giugno 2021

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Alberto Acosta
Alberto Acosta

Alberto Acosta, economista, è stato ministro dell'Energia e delle Miniere e presidente dell'Assemblea costituente dell’Ecuador negli anni 2007-2008. Oggi è professore universitario e giudice del Tribunale internazionale per i diritti della Natura. Desidera lo si chiami "compagno combattente dei movimenti sociali".

Acosta, lei è il padre della norma che per la prima volta al mondo, in Ecuador, ha riconosciuto la natura come soggetto di diritto. Si è rivelato uno strumento utile?

Purtroppo anche in Ecuador, dove la norma è nata come traduzione formale dell’amore delle popolazioni indigene per Madre Terra, i risultati si presentano scarsi. Dobbiamo però tenere conto di quanto sia difficile cristallizzare in una legge questi diritti. Si tratta di un’innovazione importante, un primo passo verso il superamento della civiltà antropocentrica. Tant’è che tutt’ora risulta incomprensibile per alcuni settori e inaccettabile per molti gruppi di potere. Dopotutto anche l’emancipazione degli schiavi, delle popolazioni indigene e delle donne è stata a lungo rifiutata come assurda: la storia si ripete. 

Quali Paesi l'hanno adottata da allora e con quali risultati?

A livello costituzionale, solo l'Ecuador. Tuttavia, l'esempio si sta diffondendo: in Colombia, nel novembre 2016, la Corte costituzionale ha riconosciuto i diritti del fiume Atrato e lo stesso è avvenuto nel 2018 con l'Amazzonia; nel 2016 la Corte suprema di Uttarakhand a Naintal, nel nord dell'India, ha stabilito che i fiumi Gange e Yumana sono entità viventi; nel 2017 il fiume Whanganui in Nuova Zelanda è stato riconosciuto come soggetto di diritti, rivendicabili in tribunale dagli esponenti del popolo Whanganui iwi; in Nepal è in corso un'iniziativa per riconoscere i diritti della natura attraverso un emendamento costituzionale; a Toledo, negli Usa, alle elezioni del febbraio 2019 sono stati riconosciuti i diritti del lago Erie, l'undicesimo più grande al mondo, in grado di fornire acqua potabile a milioni di americani e canadesi, mentre gruppi di cittadini nordamericani hanno intentato una causa affinché le Montagne rocciose e il deserto del Nevada possano citare in giudizio individui, società o governi. 

Il riconoscimento della Natura come soggetto è iniziato. Ora dobbiamo promuovere la Dichiarazione universale dei diritti della natura, e l'istituzione di un Tribunale internazionale per sanzionare i crimini ambientali, che ha già forma embrionale nel Tribunale per i diritti della natura nato nel 2014 grazie alla società civile. 

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Sono però stati numerosi anche i fallimenti. Quali quelli che bruciano di più?

Per quanto riguarda la giustizia ecuadoriana, il riconoscimento formale dei diritti della natura non ha risolto automaticamente il conflitto tra natura-oggetto e natura-soggetto. Non sorprende, perché le norme non cambiano la realtà, ma possono diventare strumenti utili per le società e i gruppi che vogliono avviare delle trasformazioni. A titolo di esempio, l’iniziativa Yasuni-ITT, nata dalla società civile per lasciare il petrolio nel sottosuolo amazzonico, è stata abortita nel 2013 dall’allora presidente dell’Ecuador Rafael Correa. Ma ci sono altri casi: i giudici di quel governo “progressista” si sono dimostrati molto più ligi nel colpire le piccole violazioni che nel condannare i grandi predatori. Ad esempio non sono mai state condannate le grandi miniere con capitale cinese, nella catena montuosa di El Condor, mentre lo sono state alcune piccole miniere artigianali. Il primo caso positivo è stato quello del fiume Vilcabamba, nel sud del Paese; la vicenda, pur conclusa con esito sfavorevole, ha creato un importante precedente. Oggi si contano una trentina di vertenze in tribunale, molte delle quali con risultati positivi. Il caso della British Petroleum, ovvero l'esplosione di una piattaforma e la successiva fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico nel 2010, che ha coinvolto più Stati, ha avuto esito giudiziario negativo ma è stato anch’esso foriero di conseguenze perché per la prima volta ha spostato la questione oltre i confini di un solo Paese. 

Eppure le violenze contro gli attivisti ambientali, in America latina, continuano a essere frequenti e spesso cruente.

La criminalizzazione e le persecuzioni dei difensori della natura in America, come in altre regioni del mondo impoverito, sono all'ordine del giorno, anche se spesso vengono ignorate o minimizzate dai media. Sono gli stessi governi “progressisti” e neoliberali a violare i diritti e indebolire la democrazia, ad esempio facilitando l’espansione delle industrie estrattive. Questa è la ragione per cui parlando di natura non possiamo non parlare anche di giustizia sociale e diritti umani. Non dobbiamo dimenticare che esiste una sorta di correlazione tra l'accumulazione di capitale e la distruzione violenta della natura. La violenza – quasi sempre accompagnata da atti di corruzione e abusi – non è una semplice conseguenza degli estrattivismi, dell’imposizione di gigantesche opere infrastrutturali o dello svuotamento dei territori: è spesso una condizione necessaria alla loro realizzazione. 

In Colombia continuano le violenze contro chi difende i diritti ambientali, leader indigeni e rappresentanti degli studenti

Anche in Italia alcuni movimenti nati in difesa di specifici territori continuano a non avere vita facile. Che opinione se ne è fatto?

In Italia – come ho osservato personalmente durante una breve visita compiuta l'anno scorso in Salento – ci sono molteplici casi di criminalizzazione di chi difende la natura. Proprio nella penisola salentina le emergenze ambientali complesse si susseguono l’una dopo l'altra: lo stabilimento petrolchimico Eni, la centrale termica di Brindisi, l'acciaieria del gruppo Ilva di Taranto, le conseguenze della costruzione del gasdotto TransAdriatic Pipeline dall’Azerbaijan all’Italia. E ancora: la guerra agli ulivi, anche centenari e millenari, per la mercificazione del territorio. Situazioni simili si riscontrano anche in altre parti del Paese, a partire dalla lotta di diversi comuni contro il treno ad alta velocità in Val di Susa. L'elenco è lungo anche in altre nazioni; per citare solo tre casi: la difesa della foresta di Hambach contro l'estrazione mineraria in Germania, la lotta dei Sioux contro la costruzione di un oleodotto in Dakota, le battaglia nella Polonia meridionale per fermare l'estrazione mineraria. Se la violenza estrattiva emerge e si espande in tutto il mondo, lo stesso vale per i movimenti che vi oppongono resistenza. 

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Cosa pensa della proposta di Emmanuel Macron di introdurre l'ecocidio nel diritto internazionale?

Nel bel mezzo della pandemia da coronavirus, i risultati elettorali francesi hanno segnato l’ascesa delle forze ecologiche. Il presidente francese Macron, che non è noto per le sue posizioni ambientaliste, sta forse cercando di ingraziarsi questa tendenza. Tuttavia, se anche si trattasse solo di una reazione temporanea, la sua dichiarazione contribuisce a consolidare la crescente richiesta di sanzionare i crimini contro Madre Terra, che sono anche crimini contro l'Umanità. Chissà che questa dichiarazione presidenziale non apra la possibilità di un riconoscimento dei diritti della natura nella Costituzione francese. È possibile che l'eco delle Ande abbia ripercussioni nel cuore dell'Europa? Da quel che vedo la questione sta progressivamente prendendo corpo in diverse parti del mondo. 

È possibile insegnare ad amare la natura attraverso la legge?

Le leggi da sole non cambiano il mondo. Ma la loro costruzione partecipativa, come parte di processi sociali e azioni politiche, può scatenare trasformazioni che permettono di assicurare rapporti di giustizia, uguaglianza e libertà. Può essere la legge un modo in più per l'essere umano di ricongiungersi alla Natura? La domanda andrebbe posta soprattutto nelle società in cui l'essere umano, con la sua organizzazione sociale antropocentrica, si pone al di fuori della Natura, non considerando l'Umanità come parte integrante di essa. Spero che tutti avvertano l’urgenza di riannodare il nodo gordiano della vita, spezzato dalla voracità del capitale; quel nodo vitale che mette in relazione tutti gli esseri – umani e non umani – raccogliendoli nell’unità della vita di Madre Terra.

Da lavialibera n°4 luglio/agosto 2020

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