Il parco nazionale Yasuni, in Ecuador, è uno dei simboli della lotta ambientalista nel Paese: una delle regioni con la più alta biodiversità al mondo, ricca di petrolio e abitata dagli indigeni. AP Photo/Dolores Ochoa
Il parco nazionale Yasuni, in Ecuador, è uno dei simboli della lotta ambientalista nel Paese: una delle regioni con la più alta biodiversità al mondo, ricca di petrolio e abitata dagli indigeni. AP Photo/Dolores Ochoa

Diritti della Natura e giustizia climatica. L'Italia a processo

Difendere in tribunale la Terra e tutelare il diritto dell'uomo al clima dall'inadempienza degli Stati. Da anni se ne discute a livello internazionale, ora qualcosa si muove anche in Italia

Francesca Dalrì

Francesca DalrìGiornalista, il T quotidiano

25 settembre 2020

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Immaginiamo un’impresa chiamata in tribunale a difendersi da una foresta o un governo citato in giudizio da un fiume. Potrebbero sembrare situazioni assurde, eppure in certe parti del mondo sono realtà. Il tema è quello del riconoscimento giuridico dei diritti della Natura, un concetto caro ai popoli andini e che si sta diffondendo ora anche ad altre latitudini. Secondo Alberto Acosta, presidente dell’Assemblea costituente che nel 2008 ha portato l’Ecuador a inserire per primo in Costituzione i diritti di Madre Terra, come la giustizia sociale è stata il cuore delle battaglie del Novecento, la giustizia ambientale sarà alla base di quelle di questo secolo. Il riconoscimento della natura come soggetto di diritto – ha dichiarato in un’intervista a lavialibera – è “un’innovazione importante, un primo passo verso il superamento della civiltà antropocentrica. Tant’è che tutt’ora risulta incomprensibile per alcuni settori e inaccettabile per molti gruppi di potere”.

Nel frattempo, in Italia si agisce su un altro fronte, quello del riconoscimento del diritto umano – di cittadine, cittadini e generazioni future – al clima. Dopo i blocchi dovuti a Covid, è ripartita Giudizio universale, la campagna promossa da A Sud e sostenuta da un centinaio di associazioni, comitati territoriali e singoli, che si prepara a gennaio a fare causa allo Stato italiano. “Quando parliamo di cambiamento climatico ci riferiamo a un bene comune per eccellenza, l’atmosfera, che non è circoscrivibile a un determinato territorio – spiega Luca Saltalamacchia, avvocato civilista esperto di diritto ambientale e responsabile del team legale della campagna –. Si tratta di problemi completamente nuovi dal punto di vista giuridico e molti miei colleghi pensano che io sia pazzo”.

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Diritti della Natura: cosa sono e cosa comportano

Parlare di diritti della Natura significa riconoscere a tutte le forme viventi, alla biosfera e ai suoi ecosistemi – alberi, oceani, animali, fiumi, laghi, montagne – gli stessi diritti giuridici inviolabili di cui godono gli esseri umani, come il diritto a esistere, mantenersi e rigenerarsi. In concreto, significa una tutela rafforzata per l’ambiente che smette di essere proprietà di individui, entità giuridiche o imprese, unita alla possibilità di far valere questi diritti in tribunale.

Difendere legalmente la natura non è cosa semplice e varie sono le questioni tutt’ora dibattute: chi dovrebbe rappresentarla in tribunale? E che fare qualora il diritto della natura dovesse confliggere con quello umano? Ciò su cui insistono i teorici della earth jurisprudence (la giurisprudenza della Terra) è tuttavia l’importanza di sradicare il paradigma giuridico ed economico alla base dell’attuale sfruttamento e distruzione dell’ambiente per passare dall’antropocentrismo all’ecocentrismo.

Per il sociologo portoghese De Sousa Santos si tratta di "un'innovazione giuridica che solleva numerosi problemi, ma percorribile se c’è una volontà politica orientata a farlo"

Non bastava l’introduzione dei diritti ambientali? No, secondo i teorici di questo approccio. Per il diritto ambientale – si sostiene – la natura è protetta solo nel caso in cui la sua distruzione minacci la sopravvivenza umana. Di fatto, il suo sfruttamento non è contrastato, ma regolamentato da leggi e contratti che, sancendo i diritti dei proprietari della natura, legalizzano i danni ambientali entro certi limiti (come i livelli di inquinamento consentito o le porzioni di foresta disboscabili) o in cambio di compensazioni economiche qualora i danni superino le soglie autorizzate.

Ecuador e Bolivia: due esperienze apripista

La natura, o Pachamama, dove si riproduce e si realizza la vita, ha diritto al rispetto integrale della sua esistenza e al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, delle sue strutture, delle sue funzioni e dei suoi processi evolutivi. Ogni persona, comunità, popolo o nazionalità potrà pretendere dall’autorità pubblica l’osservanza dei diritti della natura Art. 71 Costituzione Ecuador

Il 20 ottobre 2008 entrava in vigore la nuova Costituzione dell’Ecuador con la quale il Paese sudamericano diventava il primo Stato al mondo a riconoscere alla Pacha Mama – il nome con cui i popoli andini chiamano la Madre Terra – diritti inalienabili. Alla base c’è una concezione del rapporto dell’uomo con la natura fondato sul principio del buen vivir (o sumak kawsay), una proposta di vita per recuperare l’armonia tra gli uomini e tra gli uomini e la natura, in contrasto con il concetto di sviluppo, per quanto sostenibile, tipico del mondo occidentale. Due le tipologie di diritti riconosciuti in Costituzione: quelli relativi all’esistenza della Natura (art. 71) e quelli riguardanti la sua restauración (art. 72).

All’Ecuador è poi seguita l’esperienza della Bolivia dove, nell’aprile 2010 a Cochabamba, in occasione della prima Conferenza mondiale dei popoli sui cambiamenti climatici e i diritti della madre Terra (Cmpcc), convocata dall’allora presidente boliviano Evo Morales, venne redatta la prima Dichiarazione universale dei diritti della Madre Terra, poi presentata alle Nazioni unite. L’accordo dei popoli, adottato al termine della Conferenza, denunciava il sistema economico capitalista come principale responsabile del cambiamento climatico e l’imposizione della logica del progresso come crescita illimitata. Da allora, moltissimi altri Stati e regioni hanno adottato l’approccio andino. Da ultimo il Bangladesh dove nel 2019 la Corte suprema ha riconosciuto a tutti i fiumi del Paese lo stesso status giuridico degli esseri umani stabilendo che chi li danneggerà potrà essere processato in tribunale.

Sull’onda verde che si sta diffondendo a livello globale lo stesso Emmanuel Macron, dopo la disfatta alle elezioni locali francesi dello scorso giugno, ha aperto alla possibilità di introdurre nel Paese il reato di ecocidio (una vasta distruzione o perdita di un determinato territorio, causato dall’uomo e tale da minare il pacifico godimento della natura da parte degli abitanti locali). Fu l’avvocata scozzese Polly Higgins che per prima nel 2010 chiese alle Nazioni unite di includere questo reato nello Statuto di Roma del 1998 che istituì la Corte penale internazionale. Morta nell’aprile 2019 a causa di un cancro, non è riuscita a vederne l’attuazione.

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E in Italia?

Nonostante le pressioni di associazioni ambientaliste come Extinction Rebellion perché l’ecocidio venga introdotto anche nel nostro Paese, i diritti della natura non sono ancora entrati nell’agenda politica italiana. Tuttavia, qualcosa si muove, seppur su un altro fronte.

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Forti dell’esperienza olandese dove la Fondazione Urgenda e 886 cittadini il 20 dicembre 2019 hanno definitivamente vinto (la prima sentenza risale al 2015) la causa climatica contro lo Stato obbligandolo così legalmente a proteggere i propri cittadini e le generazioni future dai cambiamenti climatici, il 5 giugno 2019 l’associazione A Sud ha dato il via alla campagna Giudizio Universale per promuovere la prima causa climatica contro lo Stato italiano. Dopo lo stop dovuto al covid, si sta perfezionando ora la strategia.

"La parte legale è rimasta immutata, ma i mesi di lockdown ci hanno costretti a riaggiornare i dati scientifici su cui ci basiamo – spiega Saltalamacchia che alle ultime elezioni regionali in Campania era in corsa per la presidenza con una lista di associazioni ambientaliste –. L'obiettivo è depositare la causa al tribunale di Roma a gennaio. Sarà una causa civile indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri in qualità di rappresentate di tutto il governo. In questo caso non parliamo di diritti della natura, ma di diritti umani: l’inerzia dei governi nei confronti del cambiamento climatico incide pesantemente sui diritti delle persone”.

Quali sono le probabilità di un esito positivo? “Cosa intendiamo per esito? – risponde prontamente –. In Italia non è concepito cominciare un processo non tanto per vincerlo ma anche solo per sollevare un caso come avviene invece con le strategic litigation nei Paesi anglosassoni. Se riusciremo anche solo a polarizzare l’attenzione su questi temi dando informazioni corrette ai cittadini italiani, sarà già una vittoria. Per quanto riguarda l’esito processuale, invece, non ci fermeremo e andremo fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo dove mi sembra difficile che non ci diano ragione. Sarà una battaglia per gradi”.

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