Una maestra controlla la temperatura a un alunno. Credits:Emergency
Una maestra controlla la temperatura a un alunno. Credits:Emergency

Scuola conforme, pensiero cadavere

Per la ripresa in classe si parla molto di norme anti-covid, di ristrutturazione di edifici e potenziamento del corpo docente. Tutte cose condivisibili, per carità, ma siamo sicuri che la scuola, così com'era, andasse bene?

Fabio Cantelli Anibaldi

Fabio Cantelli AnibaldiScrittore

Aggiornato il giorno 14 settembre 2020

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“La scuola è l’agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com’è”

Ivan Illich, autore di Descolarizzare la società

Concluso il periodo di lockdown si parla molto di scuola. Della necessità di riaprirla, di un piano di protezione da eventuali ritorni del virus, di ristrutturazione di edifici e potenziamento del corpo docente. Tutte cose condivisibili, per carità, ma che lasciano un senso di sconcerto e rassegnazione: siamo sicuri che la scuola, così com’era, andasse bene? E non sarebbe proprio questa l’occasione per rifondarla o almeno ripensarla? Cosa dovrebbe insegnare la scuola a un bambino, a un ragazzo, a un giovane? Qual è insomma la sua funzione, diciamo pure la sua missione? Niente: questioni simili non paiono interessare la classe politica.

Aveva ragione Ivan Illich quando già nel 1970 rappresentava la scuola come un’agenzia pubblicitaria, veicolo di promozione del potere. Perché parliamoci chiaro: che cosa dovrebbe insegnare la scuola per dirsi tale? Io credo a pensare, cioè a porsi domande, essendo la domanda la madre del pensiero. È quello che i bravi insegnanti ed educatori fanno da sempre – suscitare e ascoltare le domande, perché si formi un pensiero critico – e che la scuola occidentale non fa più da quando il sapere tecnico-scientifico si è imposto come base di qualsiasi formazione. Senza evocare la chiaroveggenza di Nietzsche, che già nell’Ottocento parlava dei "nostri spensierati tecnici e ingegneri", mi limito a dire che il sapere tecnico-scientifico ammette solo le domande a cui sa già rispondere. Ma un sapere che evita domande fuori dagli schemi forma solo bravi esecutori. I dubbiosi, gli scettici, i perplessi, gli inquieti restano ai margini. Come chiunque non cessi di porsi domande perché ha imparato a vivere senza temere l’ignoto, in quell’eterna ricerca che rende la vita degna d’essere vissuta, come diceva quel tale giustiziato ad Atene perché insegnava ai giovani a fare e farsi domande scomode.

"La scuola – ha detto ancora Illich – seleziona livello dopo livello coloro che nelle fasi precedenti hanno dato prova di non rappresentare un rischio per l’ordine costituito". La scuola è insomma scuola solo se non seleziona in base alle ideologie dominanti – oggi è quella del mercato – per risvegliare le menti alle storture del mondo e alla sua eterna perfettibilità. Ugualmente una società può dirsi illuminata solo se incoraggia l’anomalia della propria scuola, proteggendola dai poteri che vorrebbero ricondurla nei ranghi e racchiuderla nei protocolli, disinnescandone il potenziale creativo. Una scuola non eretica è una contraddizione in termini. Ecco perché certi modi innovativi di fare scuola sono sorti in luoghi disabitati e selvatici, sfuggiti all’occhiuta vigilanza del potere costituito: non è un caso del genere la Barbiana di don Milani?

I docenti dovrebbero insegnare a pensare e porsi domande. Una scuola non eretica è una contraddizione in termini

Seconda questione, il modo di fare scuola. Quel “come” che non è semplice rivestimento del “cosa” ma sua sostanza: non si possono trasmettere saperi non scaturiti da esperienza diretta. Se il maestro, insegnando, non rivive e trasmette le emozioni provate imparando, potrà al massimo istruire, mai formare. Come può accendere la scintilla della conoscenza un sapere freddo, liofilizzato, slegato dalla vita di chi lo enuncia? Tutta la questione della didattica a distanza sorvola bellamente su tale cruciale questione. Sia chiaro che non si parla di metodo, parola ormai gravata da un sinistro accento burocratico laddove metodo significa letteralmente "ciò che sta oltre la via" (e le fa da orizzonte) e non, burocraticamente, vademecum per percorrerla senza incidenti e con la garanzia di arrivare a destinazione. Il metodo va adattato di volta in volta, perché la conoscenza non è un rettilineo ma una strada in salita che a ogni curva riserva sorprese.

Chi l’ha compreso e meravigliosamente espresso è stato Pier Paolo Pasolini. Rievocando la sua giovanile esperienza d’insegnante di scuola media, Pasolini riflette sulla propria idea di scuola. La scuola deve essere liberata da feticci e idoli, il primo dei quali è l’insegnante medesimo, restio a mostrarsi "in tutta la sua umanità immediata e quasi informe". Insegnante la cui funzione dovrebbe essere quella di depurare la natura dell’adolescente da categorie, assiomi e obbedienze, pena il diventare "una specie di demiurgo dell’angoscia e dell’infelicità". Per suscitare nel ragazzo il gusto della critica bisogna "metterlo in un clima di scandalo e incertezza, in cui le cose eterne non siano quelle imparate a memoria ma quelle che più somigliano alle vocazioni che sono in lui". Ma per farlo non bisogna facilitarlo: "Bisogna al contrario essere difficili (…) perché ciò che egli ricerca non è nel suo mondo ma nel nostro". Conclusione: "I fanciulli detestano le cose ragionevoli: ed è per questo che i ragazzi non studiano (…). La scuola oggi è terribilmente ragionevole, è una specie di palestra dove il ragazzo è costretto a una ginnastica che non lo conferma in altro che nel distinguere subito il rispettabile e l’autorevole dallo scandaloso e dall’originale, considerando che la Verità sia da rinvenirsi nei secondi termini di questa distinzione".

Si dirà: non si può portare a esempio Pasolini perché oltre che insegnante era poeta, cioè uomo dalla sensibilità scorticata e dall’immaginazione non comune. È vero, ma in fondo anche lui non faceva che assolvere alla funzione di ogni vero maestro educatore: suscitare domande. Perché resta questa la via della conoscenza. Come per altro sapeva bene un altro poeta immenso, Rainer Maria Rilke. A un giovane che gli chiese come diventarlo rispose: "Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che non possono esserti date poiché non saresti capace di viverle. E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta".

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