
Don Italo Calabrò, pioniere dell'antimafia sociale

27 ottobre 2020
Quando muore qualcuno, i pigmei BaMbuti della foresta dell’Ituri in Congo fanno in fretta a sistemare tutto. Sul cadavere si lascia cadere la minuscola capanna in cui la persona abitava e, mentre i parenti gridano ancora il loro dolore, il gruppo raccoglie le proprie poche cose e si incammina per accamparsi in un altro luogo. Il morto viene lasciato solo, riconsegnato alla foresta da cui è nato e in cui è vissuto. Da quando il gruppo se ne va, non c’è più spazio per lacrime e pensieri di morte. Il gruppo – così esile demograficamente, così sguarnito tecnologicamente – non può sopportare oltre la morte: deve in fretta ritornare alla vita. Nel primo dei suoi Quattro quartetti Thomas Stearns Eliot scriveva: "Il genere umano non può sopportare troppa realtà". Quale realtà non riusciamo a sopportare? Per quali motivi? I BaMbuti ci suggeriscono una risposta: l’impotenza. Se ci sentiamo impotenti di fronte alla realtà preferiamo chiudere gli occhi, guardare da un’altra parte, voltare pagina, comportarci come se non ci fosse.
"La grande cecità" è la rubrica dell'antropologo Francesco Remotti. Leggi i suoi articoli
A differenza dei BaMbuti, noi ci sentiamo abbastanza potenti nei confronti della morte: disponiamo di un sapere medico senza pari e continuamente aggiornato, di capillari istituzioni sanitarie, di tecnologie raffinatissime; in molti casi riusciamo a sconfiggere la morte, quanto meno a procrastinarla. Tali vittorie fanno parte di un enorme “progresso” tecnico e scientifico, che ci ha resi dominatori del mondo e della natura: abbiamo praticamente acquisito il potere che a lungo avevamo attribuito soltanto alla divinità. In poco tempo, come dice Yuval Noah Harari nel suo Sapiens. Da animali a dèi, da animali ci siamo trasformati in dèi. Quale realtà dovrebbe mai farci paura? Non ci ha fatto paura conquistare la Terra, non ci ha fatto paura conquistare la Luna e lo spazio extra-terrestre. Ormai si parla persino di Marte come prossimo obiettivo.
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Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull'Aspromonte jonico. Tramite il "denaro volante", sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani. Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei. L'ultimo numero de lavialibera offre la mappa aggiornata degli affari della 'ndrangheta, così per come l'hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l'operazione Eureka