10 novembre 2020
“Una vergogna”. In linea con la posizione di tutte le associazioni ambientaliste italiane e internazionali, anche Lucio Cavazzoni non utilizza mezzi termini quando gli chiediamo cosa ne pensi della riforma della Politica agricola comune (Pac) approvata lo scorso 23 ottobre dall’Europarlamento. Considerato uno dei pionieri del biologico in Italia, Cavazzoni ha iniziato la sua carriera come apicoltore nel lontano 1978. Dopo 20 anni alla guida di Alce nero e collaborazioni che vanno dall’America latina al consorzio Libera Terra Mediterraneo, è oggi presidente di Good land, impresa dedicata alle aree agricole più difficili del Paese per produrre cibo sano per l’uomo e per l’ambiente.
“Quando a maggio la Commissione ha varato la strategia Farm to fork, pensando a Ursula von der Leyen (la presidente della Commissione europea, ndr) ci siamo tutti stupiti perché lei non è certo un’ambientalista – spiega a lavialibera –. Ma mentre festeggiavamo, per esempio per la riduzione del 50% dei pesticidi in dieci anni, le multinazionali e la lobby agricola si stavano organizzando per convincere i diversi partiti politici a Bruxelles che le risorse economiche alla fine andassero incanalate nelle solite direzioni. Altro che finanziare l’agricoltura sostenibile, siamo al primitivismo agricolo europeo: con questa controriforma è sparito tutto, come se quel documento non fosse mai stato scritto".
Cos’è l’agroindustria?
È l’agricoltura delle grandi dimensioni e quantità che arriva ad avere fino a 20mila maiali ammassati o 7mila mucche o centinaia di migliaia di polli che definiamo “allevati a terra” solo perché ora invece di poggiare le zampe su una rete metallica, le poggiano a terra. Questo sistema – l’unico a cui ancora punta l’Ue – crede che i prodotti agricoli debbano essere sempre meglio utilizzabili dall’industria e così finanzia l’agricoltura di precisione, la ricerca genetica, le ibridazioni sia vegetali che animali per spingere tutto il settore alla massima produttività possibile. La differenza è tra chi la terra la vive e ci vive e chi la terra la sfrutta. Mentre gli agricoltori coltivano per le persone e non per il mercato, le multinazionali – i cui manager vengono pagati per portare a casa risultati strangolanti per la società – considerano la terra parte del processo industriale.
L’aspetto più grave di questa riforma?
La biodiversità. È stato cancellato il vincolo che doveva proteggere il 10% delle aree agricole. Non si vuole proprio capire che la Terra deve poter respirare autonomamente. In generale, poi, si continua a finanziare l’agroindustria elargendo finanziamenti in base alla quantità di terra posseduta, mentre gli allevamenti industriali devono continuare a produrre il massimo possibile. Tutte le altre misure sono caritatevoli, elemosina. In questo modo altre centinaia di migliaia di agricoltori verranno espulsi dalle campagne a favore delle grandi proprietà.
Le associazioni dei piccoli agricoltori non hanno protestato?
"Nessuno rappresenta i piccoli agricoltori. E il fatto che siano i più poveri non fa di loro né un movimento oppositivo né tantomeno ambientalista"Lucio Cavazzoni - presidente Good land
Nessuno rappresenta i piccoli agricoltori al di fuori dei grandi gruppi. Esiste solo il movimento internazionale Via Campesina che in Francia è riuscito ad avere una rappresentanza del 10-12%, ma che in questi anni è rimasto in un ambito più di protesta che non di proposta. Non esiste una sorta di sindacato nazionale dei piccoli agricoltori. E il fatto che siano poveri non ne fa di loro né un movimento oppositivo né tanto meno ambientalista, anzi: “Ci pagano il grano venti centesimi al quintale, per fortuna abbiamo il glifosato (l’erbicida più venduto al mondo, ndr) per produrre 80 quintali per ettaro”, questo è il ragionamento di molti. Il grano che ne deriva è pessimo, ma questo è quello che chiede il mercato.
Le grandi lobby invece chi sono?
Le grandi strutture di rappresentanza agricole, quelle che noi chiamiamo “associazioni di sudditanza” perché tengono gli agricoltori e i contadini come sudditi, vivendo delle percentuali dei finanziamenti che ricevono le grandi aziende. In Francia c’è la potentissima Fnsea. Sono loro che hanno la forza di condizionare le istituzioni europee, non le imprese.
In Italia?
Non mi faccia fare nomi.
La Coldiretti?
Sicuramente non si è mossa per tutelare i piccoli agricoltori da questa riforma.
Pensa che Covid-19 ci abbia distratti da quello che stava succedendo attorno alla riforma della Pac?
Beh, sicuramente ha influito perché nessuno ha potuto protestare. Senza contare che ora i soldi sono solo per sopravvivere. Abbiamo già visto ridursi gli investimenti sul fotovoltaico. In questa fase la sostenibilità è a rischio.
Molti durante la prima ondata hanno creduto che fosse l’occasione per un cambio di passo radicale. Lei era tra questi?
"Eravamo tutti convinti che la pandemia sarebbe stata l'occasione per un vero cambiamento"
Eravamo tutti sicuri che fosse l’occasione per il cambiamento. Ma chi governa non ha intenzione di mantenere quei canali che faticosamente abbiamo aperto e costruito in questi anni come la vendita diretta. Basti pensare che in questi giorni si è parlato di chiudere i mercati – che sono pure all’aria aperta – a favore dei supermercati. C’è proprio un’intenzionalità a farti rimanere dentro un determinato circuito. Però il covid è stata anche l’occasione per una rinnovata consapevolezza. Sui quotidiani non è uscita una riga su questa riforma, ma le associazioni, in primis i Fridays for future, si sono subito schierate con forza. Ecco, questo mi dà speranza.
Vede spiragli a livello politico?
Sinceramente no. Il partito dei verdi non c’è, le divisioni sono troppe, il mondo politico è scarsamente sensibile e lo scollamento con la società civile è ancora profondo. Com’è possibile che tutto il Pd si sia schierato compatto a favore di questa riforma? E che nel Movimento cinquestelle solo in cinque si siano tirati indietro? Gli unici a mettersi di traverso sono stati i verdi europei, ma questo non è mica un problema da ambientalisti. Quello che è successo la dice lunga sulla qualità dei nostri parlamentari. Però non sono pessimista. Il livello di gravità è così profondo che non possiamo far altro che cambiare.
In chi ripone dunque la sua fiducia? Nel singolo consumatore?
Preferisco chiamarlo cittadino perché consumare è sinonimo di distruggere. Abbiamo bisogno di utilizzatori dei prodotti, di persone che pongono attenzione a ciò che mangiano. Certo, gli agricoltori devono organizzarsi e darsi una veste politica, ma dall’altra parte dello scaffale mangiare il cibo dei piccoli agricoltori è davvero un contributo importante. L’unica possibilità oggi è la società civile.
Solo la società benestante, però. Come pretendere questo cambiamento da chi, soprattutto in questa crisi, fatica di più?
"Il 20% della popolazione italiana vive di prodotti comprati nei discount"
È vero che in Italia il 20% della popolazione vive di discount e non possiamo sperare in loro per la rivoluzione. Ma attenzione: non potersi permettere prodotti sostenibili non significa non pretendere un cambiamento. Di sicuro non saranno le grandi organizzazioni agricole o le case automobilistiche a cambiare. Loro si pongono solo il problema della propria sopravvivenza.
La prossima battaglia ambientale in agenda?
È sulla consapevolezza. Non basta più essere consumatori critici, dobbiamo diventare tutti attivisti, soggetti partecipanti al cambiamento. Il re è nudo. Ci sono due agricolture: una si chiama agroindustria, l’altra custodisce la terra. Sta a noi scegliere quale sostenere.
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