16 dicembre 2020
La telefonata che abbiamo ricevuto domenica 6 dicembre alle 13, quando in Messico erano le 6 di mattina, ancora prima di rispondere ci ha fatto pensare che fosse successo qualcosa di grave. Con la voce interrotta dal pianto Erika Llanos, direttrice dell’associazione Cauce Ciudadano, ci ha informati che meno di un’ora prima due corpi erano stati dati alle fiamme, insieme a un veicolo dell’associazione, di fronte alla loro sede nel quartiere Mártires de Río Blanco, zona nord-orientale di Città del Messico.
Le immagini registrate dalle telecamere esterne mostrano tre automobili giungere sul posto alle 5.20 del mattino. Le prime due sbarrano da entrambi i lati l'accesso alla via ancora deserta, mentre dalla terza, tre persone – non riconoscibili dalle immagini – scaricano due corpi e li lasciano stesi sull’asfalto, a pochi centimetri dalla parte anteriore del veicolo dell’associazione. Poi cospargono i corpi con del liquido, gli danno fuoco, tornano alla loro macchina e si allontanano. Circa mezz’ora dopo un vicino dà l’allarme. Sul posto arrivano i vigili del fuoco e la polizia. Arriva anche Carlos Cruz, presidente e fondatore di Cauce Ciudadano, la cui prima preoccupazione è stata di assicurarsi che tutti membri e collaboratori dell’associazione stessero bene, come fortunatamente è stato possibile confermare nel corso dell’ora seguente.
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Come Libera conosciamo Cauce Ciudadano e le persone che la dirigono da oltre 10 anni, nel corso dei quali si è sviluppata una solida relazione di collaborazione, sostegno reciproco e scambio di informazioni e buone pratiche. L’associazione nasce nell’anno 2000 per lavorare sul tema della prevenzione e trasformazione della violenza con i ragazzi delle pandillas, le bande criminali giovanili molto presenti in Messico e in America Centrale. E lo fa bene in maniera eccezionale, visto che i fondatori di Cauce provengono proprio dallo stesso mondo e parlano la stessa lingua dei ragazzi che aiutano, essendo stati loro stessi membri di una pandilla che era arrivata a includere oltre 5.000 ragazzi.
Sfiniti nel morale e nel fisico da 15 anni vissuti a contatto con la violenza e la costante sensazione di insicurezza, attraverso un percorso di cambiamento individuale e collettivo, arrivano a un punto di svolta e decidono di trasformarsi in pandilleros constructores de paz. Riconoscono gli errori commessi e ne analizzano le cause e le conseguenze, ma non cercano di nascondere il proprio passato, bensì lo utilizzano per agganciare in maniera naturale i ragazzi delle pandillas ai quali vogliono far capire, innanzitutto attraverso la loro storia, che esistono alternative di vita anche fuori dai contesti criminali. Divenuta rapidamente un referente nazionale rispetto al lavoro con le pandillas attraverso interventi di prevenzione, percorsi educativi, artistici e culturali, Cauce ha dovuto però ben presto ampliare l’ambito delle proprie attività per far fronte alle nuove criticità che hanno iniziato a emergere a partire dal 2006, anno in cui l’allora presidente Felipe Calderon da avvio alla cosiddetta “guerra contro i narcos”.
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Nell’attuale scenario di conflitto interno, dove la violenza criminale e la risposta armata dello Stato negli ultimi 14 anni hanno prodotto un saldo di oltre 275.000 morti e 70.000 desaparecidos, Cauce Ciudadano è una delle realtà più attive e organizzate nell’ambito della difesa dei diritti umani e della denuncia delle relazioni che legano delinquenza organizzata, politica e mondo dell’economia in Messico.
Ma le ripetute denunce e il moltiplicarsi delle attività in favore delle vittime che non ricevono risposte adeguate dallo Stato, come la ricerca delle persone scomparse e l’accompagnamento dei collettivi dei familiari dei desaparecidos, hanno progressivamente innalzato il livello di rischio per le persone che dirigono e fanno parte dell’associazione. Infatti, anche se molto grave, quella di domenica scorsa è soltanto l’ultima di una serie di aggressioni e minacce subite dall’associazione.
“Si tratta senza dubbio di un'azione diretta contro di noi, una minaccia molto forte nei nostri confronti e di tutta l’associazione – sostengono Carlos ed Erika, da giorni in contatto costante con il settore internazionale di Libera –. Però pensiamo anche che si tratta di un delitto che deve essere analizzato da più punti di vista, guardandolo come se fosse una carambola disegnata per produrre tre risultati distinti. Un gruppo criminale decide di eliminare un paio di nemici, o due persone per qualche ragione ‘scomode’, allo stesso tempo crea un problema serio per le autorità, poiché manda un chiaro messaggio di minaccia a un'organizzazione per i diritti umani con venti anni di esperienza, che quindi inizierà a fare pressione sul governo e infine, terza sponda della carambola, il gruppo criminale continua anche a diffondere il terrore di cui ha bisogno per controllare più agevolmente i territori”.
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Cauce Ciudadano chiede alle autorità un’inchiesta che “chiarisca chi erano le due persone che sono state assassinate, che si tratti di un'indagine con una prospettiva di genere, visto che uno dei due corpi è di una donna. Quello che dobbiamo sapere è chi erano e dove vivevano, dobbiamo conoscere i loro nomi e capire che vita facevano”, spiegano i rappresentanti dell’associazione, preoccupati che questo episodio finisca nel nulla come molti altri casi. “Chiediamo che sia un’indagine seria, che si basi sulla chiara matrice della delinquenza organizzata e che non venga classificata, come troppo spesso avviene in Messico, come delitto passionale o lite fra vicini. Non vogliamo un'indagine che determini solo l'assassino di due persone, chiediamo invece che si concentri sui legami politici ed economici del gruppo criminale che ha commesso il delitto, in modo da far emergere tutti i soggetti implicati, includendo i gruppi politici che sostengono questa organizzazione criminale.
Questo episodio, che suona molto come un avvertimento, non li scoraggia. “Continueremo a fare il nostro lavoro, portando avanti la nostra azione politica e che, nonostante tutte queste circostanze, Cauce Ciudadano esisterà ancora per molto tempo. La nostra storia e le sfide che abbiamo dovuto affrontare ci hanno insegnato ad avere la mente fredda e il cuore ardente. Sì, siamo preoccupati per le persone che lavorano con noi e per le loro famiglie, ma dobbiamo avere coraggio. Dobbiamo assumerci la responsabilità storica che ci corrisponde, la violenza in Messico non è un fatto recente, fa parte della storia della nazione. Non dobbiamo affrontarla pensando di essere super eroi, ma con la consapevolezza e la responsabilità che implica essere difensori dei diritti umani, che si impegnano ogni giorno nel dare forma a quell’orizzonte di pace e giustizia sociale che sogniamo per il Messico, l’America Latina e il mondo intero”.
Per riuscire nel loro intento, l’associazione chiede di non essere lasciata sola: “Ora più che mai abbiamo bisogno di ricevere sostegno, anche a livello internazionale, poiché ciò mette pressione sul governo e sugli inquirenti che stanno realizzando le indagini. In questo momento avere visibilità diminuisce il rischio che corriamo”.
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