28 novembre 2020
Esce il 3 dicembre in libreria Narcotica. Lungo le rotte della morte di Valerio Cataldi (Edizioni All Around), inviato speciale della Rai, che raccoglie i suoi reportage tra Centro e Sud America, nei luoghi chiave del narcotraffico. Ne pubblichiamo un'anticipazione
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I bambini sono in fila nel cortile. Cantano l‘inno nazionale mentre la bandiera viene issata da un uomo in divisa. È giorno di festa in Messico, la festa della bandiera. Il canto dei bambini pervade la valle di baracche della periferia di Tlacotepec (nel Messico centrale, ndr). Lo sentiamo sempre più nitidamente mentre attraversiamo la città e risaliamo la collina lungo la strada che si affaccia sulla distesa di lamiere. Quando arriviamo sono le sei di mattina. Le nuvole sono ancora poggiate sulle montagne, ben visibili sul fondo della valle. L’aria è fresca anche se il caldo si fa già evidente con il sole che da poco ha iniziato a sorgere, colorando di rosso il panorama.
Ci fermiamo di fronte ad una casa bianca e rosa. Una casa vistosa, a due piani, che spicca in mezzo alle case diroccate che la circondano. Il nostro contatto, con uno sguardo, ci dice di aspettare. Scende dall’auto e parla con un uomo calvo, grossa corporatura. Si asciuga il sudore con un fazzoletto poi estrae da una borsa delle palle di oppio avvolte in fogli di plastica trasparente. Poco distante ci sono gli operai, un gruppo di ragazzi pronto a guadagnarsi una manciata di pesos raffinando l’oppio in eroina. Bussano ripetutamente alla porta della casa bianca.
Dopo un po’ esce un uomo che si aggiusta i capelli mentre sistema una pistola automatica nella cintura dei pantaloni. Si accende una sigaretta. Parla con gli operai che salgono su un pick up bianco come il nostro, butta la sigaretta, prende la borsa con l’oppio e sale a bordo della nostra auto. È il cocinero, il cuoco, uno dei più bravi della regione. I cartelli lo pagano bene per raffinare l’eroina più potente, la più ricercata dai consumatori, la china white. Al collo porta due catene d’oro con due grandi effigi di Santiago Apostolo, patrono di Tlacotepec, e della Vergine di Guadalupe. Mentre usciamo dal centro abitato e ci inoltriamo in una strada nella campagna polverosa, il cocinero fruga nella borsa, tira fuori le palle di oppio, le pesa con la mano. Cinque chili per lui sono molto pochi, ci tiene a dircelo con chiarezza: "In una giornata di solito faccio 50 chili. Questa miseria ci farà perdere un sacco di tempo. Ma il problema non è mio. 50 o 5 chili voglio essere pagato allo stesso modo".
Dopo questa frase il cocinero ci dice di non fare domande e di tenere spente le telecamere. Non possiamo riprendere nulla finché arriveremo a destinazione. Seguiamo il pick up nella campagna intorno Tlacotepec. Ci fermiamo una prima volta vicino a un corso d’acqua. Gli operai scendono e recuperano, dietro a dei cespugli, delle grosse pentole e una pesante pressa saldata artigianalmente. Proseguiamo e ci fermiamo ancora in una piccola fattoria. Delle galline escono da un pollaio dentro una baracca dove c’è una donna che non si fa vedere. Gli operai le parlano, poi escono con altri strumenti per la raffinazione dell’eroina. Li hanno nascosti in diversi punti per evitare sorprese della polizia. Ci rimettiamo in moto per rientrare in città. Risaliamo una strada che ci porta in cima a una collina, dove, al termine di una piccola discesa, inizia la recinzione del cortile coperto di un’altra fattoria. Ha una sola strada di accesso, è possibile controllare chi arriva con discreto anticipo.
Un uomo anziano, il padrone di casa, fa strada verso una stanza buia e senza finestre. Il cocinero dice che non va bene, i fumi degli agenti chimici necessari al processo di raffinazione sono nocivi, serve aria. Improvvisano il laboratorio nel cortile, dove scorrazzano galline e bambini. L’uomo anziano si siede all’esterno per tenere d’occhio la strada. Aspetterà lì di essere pagato a fine lavoro. Poi iniziano a sciogliere l’oppio con dell’acqua, dentro a un pentolone. Gli operai e il cocinero si sono coperti il viso con delle mascherine mimetiche per non essere riconoscibili. Hanno tra i 15 e i 20 anni. Il cocinero ha 27 anni, lo chiamano el patrón.
Uno degli operai ha il braccio pieno di tatuaggi. Gli chiedo cosa siano. Allunga il dito sulle foglie verdi che ricoprono la spalla. "Guarda, questa è marijuana. Questa invece è amapola, il fiore del papavero. Vedi, questa è una capsula già incisa da cui esce l’oppio, questo prodotto che stiamo lavorando adesso". Perché te li sei tatuati sul braccio? "Perché questo è il mio lavoro, questa è la mia vita. Lavoro nel campo di amapola di mio padre ma ora voglio imparare a raffinare, si guadagna molto bene. Ci sono molti cartelli che la comprano: la famiglia Michoacana, i Guerreros Unidos. Come sai in questa zona ci sono molti cartelli, ma non sono cartelli grandi come in Sinaloa dove controllano interi municipi e ordinano decine di tonnellate di eroina per volta. Qui si lavorano quantità più piccole, si esportano quasi tutte e quello che resta si vende in città come Cuernavaca, o altre in questa parte del Messico. Si possono fare un bel po’ di soldi"
"Questo è il mio lavoro, la mia vita. Lavoro nel campo di amapola di mio padre ma ora voglio imparare a raffinare, si guadagna molto bene"
Nello Stato di Guerrero si produce il 60 per cento dell’eroina messicana che arriva negli Stati Uniti e la squadra di questo cocinero è la più richiesta, sono i più bravi. I cartelli dei narcos gli affidano l’oppio che loro trasformano in eroina. Sono free lance, pagati a prestazione. È la prima volta che lasciano assistere degli estranei a tutte le fasi di raffinazione. Ci hanno dato il permesso perché il cocinero è vanitoso e la tv straniera che lo riprende mentre lavora gli fa una grande pubblicità. E poi si tratta solo di una cocina improvvisata. Quelle industriali che lavorano decine di chili al giorno sono guardate a vista da uomini armati. I cartelli non lasciano avvicinare nessuno.
Nello Stato di Guerrero si produce il 60 per cento dell’eroina messicana che arriva negli Stati Uniti
"Stiamo lavorando la gomma di oppio. La sciogliamo nell’acqua per poi metterla a bollire, in modo che esca il prodotto". Il cocinero spiega tutto quello che sta facendo. Lo fa con grande cura come se stessimo girando una specie di format televisivo di cucina. Si toglie la pistola dalla cinta e la lascia a uno dei ragazzini. Prende il pentolone e lo porta al centro del cortile, dove hanno già acceso un fornello a gas, attaccato a una bombola. Il vapore gli sale sul viso, inizia a mescolare e guarda dritto in camera. "Questa è la prima fase. Da questo primo procedimento esce quella che si chiama 'base'. In tutto ci sono tre procedimenti. Il secondo produce la cosiddetta 'm' e, alla fine, il terzo procedimento è quello finale, che produce la china white. Ma non tutti conoscono il giusto dosaggio. In questa regione siamo solo in cinque a saper fare la china white". Il fumo sale dal pentolone e appanna i Rayban del cocinero. Indossa un cappello rosso da baseball dei New York Yankees e una maglia grigia Calvin Klein. Nessun tatuaggio in evidenza. El patrón si comporta come il padrone, fiero di quel nomignolo che richiama il rispetto e la deferenza che si deve a un capo.
“Don Corleone. Conosci don Corleone? Siete italiani, conoscete la mafia, vero?”. Si mettono tutti a ridere quando uno dei ragazzini mi fa questa domanda. "El padrino", dicono pronunciandolo un po’ come fosse el patrón. Gli chiedo cosa sanno della mafia italiana, rispondono che la conoscono solo dai film che hanno visto on line. Sono qui solo per guadagnarsi la giornata ma sono cresciuti respirando la violenza sanguinaria dei cartelli messicani, anche quella dei piccoli cartelli come Los Tlacos, il Cartel del Sur o i Guerreros Unidos di questa regione. Hanno visto quanti soldi si possono fare con la marijuana, con l’amapola, raffinando eroina, trafficando cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti. Hanno annusato l’odore della polvere da sparo e del sangue e nelle orecchie hanno continuamente i versi dei narcocorridos, i gruppi di musica tradizionale messicana che da tutte le radio cantano le gesta di uomini come El Chapo Guzmán, el patrón.
Gli chiedo cosa sanno della mafia italiana, rispondono che la conoscono solo dai film che hanno visto on line. Sono qui solo per guadagnarsi la giornata ma sono cresciuti respirando la violenza sanguinaria dei cartelli messicani
Gli Enigma Norteño sono di Culiacán, capitale dello Stato di Sinaloa e suonano proprio in quel momento: Atterra un aereo su una pista segreta/le mitragliatrici sono tutte nascoste/tutti scortano El Chapo su moto e Suv/è ben protetto dai sicari El Fantasma ed El Bravo/quindi fate molta attenzione nel caso vogliate prenderlo e rinchiuderlo/farete fatica a trovarlo/è una persona importante/di professione trafficante/la sua gente è ovunque a Culiacán/ma non solo è il capo/dei capi è il più grande". Quelle note risuonano nel cortile tra i pentoloni e i fumi di acetato e ammoniaca mescolati alla miscela di acqua e oppio che ribolle nella pentola.
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Il cocinero ha delle strisce di cartoncino con cui controlla a tempi regolari il grado di acidità della miscela. Strappa un lenzuolo bianco a strisce. Rovesciano il contenuto del pentolone in un’altra pentola, filtrandolo con una delle strisce di lenzuolo dove si fermano i residui dell’oppio. Strizzano il lenzuolo molto energicamente. Il cocinero guida tutte le fasi. Apre il lenzuolo mostra il contenuto e torna a spiegare alla telecamera. "Questo è un primo scarto. I campesiños spesso mescolano l’oppio con biscotti triturati per aumentarne il volume, ci mettono segatura o altro. In questo caso non ci sono molti residui. La qualità è buona, dovremmo ottenere il dieci per cento di china white rispetto al peso dell’oppio".
I ragazzini operai che raffinano eroina nel cortile di quella casa hanno una visione naif della polvere che producono, che a loro frutta pochi spicci ma che arricchisce i cartelli. Cosa pensate di questo lavoro?, domando. Uno di loro fa un passo avanti, si aggiusta la mascherina mimetica sul viso e si abbassa il cappello. Il cocinero non approva e lo guarda storto mentre inizia a parlare davanti alla telecamera. "Come business è molto buono, si fanno molti soldi. Se non fosse che si tratta di distribuzione di droga e visto che la droga fa male... Diciamo che l’aspetto negativo è che arriva nelle strade, tutto quello che produciamo qua arriva nelle strade e lo consuma la gente. Credo che questo sia l’unico aspetto negativo del narcotraffico". Il piccolo produttore di droga dice che la droga fa male. Mi spiega che nessuno di loro fa uso di eroina. È vietato consumare eroina. Le punizioni stabilite dai cartelli sono molto, molto severe. Possono fumare tutta la marijuana che vogliono e possono sniffare cocaina, che aiuta a stare svegli, ma l’eroina è proibita.
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La raffinazione dura sei, sette ore. Il cocinero ogni tanto versa un po’ di polvere bianca su un tavolino, prepara le strisce di cocaina e fa avvicinare i ragazzini, uno alla volta. La china white è l’eroina più potente sul mercato, spesso mescolata con il fentanyl, un potentissimo oppioide sintetico. È quella che negli Stati Uniti e in Canada sta facendo strage di tossicodipendenti che non sono abituati a quel grado di purezza.
Il cocinero strizza per la terza volta il lenzuolo. Lo apre e con un coltello raccoglie al centro tutta la polvere bagnata. Dice che quella è el producto, la china white. Raccolgono con cura quella fanghiglia e la versano in una grande pentola che mettono sul fuoco basso, per farla seccare. Con un cucchiaio raschiano continuamente il fondo per non farla bruciare. I bambini attraversano di corsa tutto il cortile, saltando e schivando pentole e fornelli. Il cocinero lancia un urlo per farli fermare ma loro non si fermano. Corrono fino al muro in fondo. Subito dietro la grande pressa c’è un congelatore, una bimba si infila quasi completamente dentro e ne esce con due gelati. Poi si allontanano, stavolta senza correre. Passano accanto agli operai che stanno rovesciando in una buca nella terra il liquame tossico degli scarti, fatto di acetato di sodio e ammoniaca che finiscono in fondo alla spaccatura, inquinando tutto il terreno.
Il cocinero travasa in un sacchetto trasparente la polvere che si è seccata ed è diventata grigio chiaro. La versa con cura con un cucchiaio. Poi prende il sacchetto e lo mostra alla camera. Volto coperto e cappello calato sugli occhi, guarda dritto nell’obiettivo. "Come vedi, questa è la fase finale, è già quella finita, il prodotto finale. Da cinque chili abbiamo fatto cinquecento grammi di china white, quella grigia, la più potente".
Ci sono volute sei ore di lavoro per raffinare mezzo chilo di eroina china white. Vale circa tremila euro ma è pura e sarà tagliata almeno sei volte prima di essere venduta nelle strade degli Stati Uniti. Quella che abbiamo visto è una piccola produzione “casalinga”. Laboratori mobili come quello ce ne sono a centinaia in Messico. Sono una fonte di lavoro formidabile che impiega migliaia di persone.
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